L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 368. Parigi, 8 marzo 1879, ore 14,50 (per. ore 16,25).

Je viens de recevoir votre télégramme de ce matin (1), et j'en ferai mon profit pour mes entretiens avec Waddington; mais il devient de plus en plus difficile de l'aborder et de lui parler de nos affaires. La situation s'aggrave ici de jour en jour, d'heure en heure. Malgré l'opposition du président de la République et du Ministère, la commission d'enquéte à majorité a décidé hier la mise en accusation des ministres du 16 mai. Le rapporteur déposera aujourd'hui ou lundi son rapport aux bureaux de la Chambre et le débat commencera mardi ou jeudi prochain. Toutes les haines politiques se rallument. On se flatte d'en finir par un vote de blàme très-accentué. Il parait difficile qu'on s'en tienne là. Le Ministère en fera question de Cablnet de la mise en accusation; par conséquent si celle-ci venait à étre votée par la Chambre, elle entrainerait la ch·O.te du Ministère et pourrait bien entrainer aussi la démission de M. Grévy. Il faut espérer encore qu'on s'arréte devant la gravité de c es conséquences (2).

L'AMBASCIATORE A LONDRA, MENABREA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS (1)

R. CONFIDENZIALE 173/208. Londra, 8 marzo 1879 (per. l'11).

A confermare il mio telegramma n. 231 (2) accennerò succintamente la conversazione che, in seguito al telegramma di V. E. del 2 corrente (3), io ebbi, il giorno 5 corrente, con Lord Salisbury, intorno all'andamento delle cose di Egitto ed all'importanza che vi attribuiva giustamente l'Italia.

Feci osservare che l'incidente che cagionò la recente caduta di Nubar Pacha era la conseguenza della costituzione stessa del nuovo ministero essenzialmente composto, oltre Nubar Pacha, di due altri Ministri l'uno Francese e l'altro Inglese i quali, anziché rappresentare gli interessi generali in Egitto erano considerati piuttosto come mandatari! di una categoria di creditori.

Che la cosa potesse apparire tale lo si desume dalla non esecuzione delle sentenze de' Tribunali per cui molti interessi trovansi lesi *fra i quali quelli de' numerosi Italiani stabiliti in Egitto *. Io non mancai di fare osservare che questi costituiscono la più forte colonia esistente in Egitto, paese col quale. stante la sua prossimità, l'Italia ha sempre avuto grandi relazioni. L'influenza diretta degli italiani sopra le popolazioni egizie è assai più grande di quella degìi altri europei perché la lingua vi rende i loro rapporti più facili ed a motivo delle industrie che da essi vengono esercitate. Epperciò, essendosi voluto costituire in Egitto un Governo stabile. fu grande errore quello di averne escluso l'elemento italiano che oltre di tutelare i proprii interessi sarebbe stato anche una garanzia per tutti gli altri che non sono esclusivamente quelli dei possessori di titoli egiziani.

Se poi nel ricostituire l'amministrazione disorganizzata dalla demissione di Nubar Pacha si volesse mantenerla sempre in mani dei francesi e degli inglesi ed inoltre rendere illusorio il potere del Kedive, ciò sarebbe un errore ancora più grande imperocché il Governo egizio cesserebbe di avere un capo effettivamente responsabile e non offrirebbe le debite garanzie alle altre potenze.

In conseguenza per dare a quell'amministrazione un carattere più imparziale, tale da essere accettata da tutti gli interessati di qualsiasi categoria e di rendere per cosi dire le potenze europee mallevadrki per gli interessi de' proprii nazionali, il miglior modo è quello d'introdurre nel ministero qualche altro elemento europeo che non sia né inglese né francese, e siccome l'Italia rappresenta il maggior numero d'interessi all'infuori di quelli che si riferiscono a titoli egiziani, l'ammissione di un italiano è quella che, più evidentemente, è consigliata. Che se, anziché seguire quel dettame della prudenza, la nuova amministrazione si manterrà nello esclusivismo in cui si è rinchiusa fin dal suo esordire, il nostro Governo che è pure desideroso assai che tutte le cose vengano assestate in Egitto. non potrebbe rispondere delle difficoltà che gli italiani offesi ne' loro interessi potessero arrecare a detta amministrazione.

Portai eziandio l'attenzione di Lord Salisbury sulla importanza, per l'Inghilterra, di dare soddisfazione all'Italia; i due paesi hanno interessi comuni che sono quelli di mantenere nel Mediterraneo libera la navigazione e di propugnare

* ivi ed altrove * i sani principii della libertà del commercio. L'accordo fra queste due potenze è una garanzia affinché non siano lesi i principii anzi accennati. Lord Salisbury accolse con molta attenzione e benevolenza le mie osservazioni. Egli si mostrò convinto della giustezza de' nostri reclami e della opportunità di darvi ascolto; ma egli mi disse che, mentre egli desiderava che si ottemperasse alle nostre domande, sussistevano pur troppo, come per l'addietro, i medesimi ostacoli cioè, da una parte l'opposizione de' ministri attuali, e dall'altra il timore che, ove si ammetta un italiano, le altre potenze europee pretendano di essere anche rappresentate nel ministero, alle quali obiezioni io aveva già anticipatamente risposto. Tuttavia Lord Salisbury terminò col dirmi che egli era compreso di tutta l'importanza delle ragioni che io gli aveva esposto e che avrebbe per parte sua fatto il possibile affinché fossero prese nella più seria considerazione.

Credo col mio linguaggio moderato ma ben esplicito, di aver corrisposto a quanto desiderava la E. V. come d'altronde lo posso arguire dall'ultimo di lei telegramma in data del 5 marzo (1).

IL CONSOLE A FIUME, REVEST, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 94. Fiume, 8 marzo 1879 (per. il 14).

A misura che si avvicina la primavera, prende consistenza la voce che circola già da qualche tempo, e specialmente dall'epoca del Gran Consiglio Militare tenuto a Vienna, di una più estesa invasione del territorio turco per parte delle truppe austro-ungariche, anzi l'opinione è radicata presso il partito militare che l'occupazione debba estendersi non solo nel Sangiaccato di Novi-Bazar, ma bensì fino a Salonicco. L'idea però non è popolare nel paese e tanto gli Austriaci che gli Ungheresi la combattono ad oltranza, deplorando tuttavia l'occupazione della Bosnia ed Erzegovina che si continua a ritenere fatale all'Impero. Si attribuisce alla Germania e per essa al Principe di Bismarck la machiaveUica politica di spingere l'Austria verso una nuova occupazione per alienarle sempre più gli animi dei suoi sudditi tedeschi, e sfruttando il loro malcontento, attrarli nell'orbita dell'Unità Germanica. L'odio quindi contro il

Cancelliere Bismarck è vivissimo anche nelle sfere più alte, malgrado l'apparenza in contrario. Non meno eccitato è lo spirito pubblico delle diverse razze che compongono l'Impero, essendo tuttodì testimone delle aspre polemiche dei partiti, e delle censure che si scagliano a vicenda, fino a scendere a volgari ed abbiette personalità.

Questa città si prepara a festeggiare il doppio avvenimento del centenario della prammatica di Maria Teresa che l'univa al Regno d'Ungheria, e delle nozze d'argento della coppia Imperiale. Intanto la stampa croata non cessa dal censurare la condotta del partito Ungherese di Fiume, ed i giornali di Zagabria pubblicano articoli violentissimi contro i Fiumani Italiani maggiarizzati. Non è improbabile che in occasione delle suddette feste non avvenga qualche dimostrazione ostile in senso slavo, come sempre in circostanze simili.

Altro fatto importante che si svolge in questi giorni, è il ritiro della carta moneta di piccolo taglio, sostltuendola con gli spezzati d'argento. Il popolo minuto è favorevole alla misura, non così le classi dei banchieri e degli affaristi, le quali prevedono che stante il depreziamento dell'argento, malgrado il doppio tipo sia tuttora vigente nell'Impero, l'argento stesso non tarderà a fare un aggio maggiore della carta verso la valuta metallica in oro (1).

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 377. Cairo, 9 marzo 1879, ore 18,30 (per. ore 21,10).

Les Gouvernements anglais et français ont fait déclarer aujourd'hui au Vice Roi 1o qu'ils prennen t acte expression sa volonté de se soumettre Ieur décision; 2° Vice Roi pourra discuter avec le Conseil des ministres, mais ne pourra pas assister à Ieurs délibérations; 3° prince héréditaire, président du Conseil; 4° Ies deux ministres étrangers auront dro:t de veto pour toute mesure qu'ils refusent approuver; 5° on désiste exiger rentrée de Nubar pacha; 6° Vice Roi sera responsable marche régulière administration, sécurité publique.

IL MINISTRO AD ATENE, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 299. Atene, 9 marzo 1879 (per. il 18).

Il Signor Cumunduros, che per una temporaria assenza non avea potuto darmi subito udienza, mi ha ricevuto ieri in seguito ad apposito appuntamento.

Dopo avermi caldamente ringraziato per l'atteggiamento generoso serbato dall'Italia verso la Grecia dal Congresso di Berlino in poi, egli entrò nel vivo della questione territoriale, su cui si fondano le ultime speranze della Nazione Ellenica, la quale, ove fosse anche in questo frustrata, si troverebbe davvero ridotta a una posizione di umiliantissima inferiorità, rispetto agli altri popoli della Penisola Balcanica.

Il primo Ministro del Re Giorgio, meco si diffuse soprattutto sul grave argomento della rettificazione di frontiera in Epiro, poiché, sapendo essere questo un soggetto di preoccupazioni pel Governo Italiano, egli teneva naturalmente a fornirmi tutte quelle spiegazioni atte. secondo lui, a porre V. E. in guardia contro i maneggi, messi presentemente in opera, per rappresentare lo stato degli animi in quella provincia, come avverso ad un'annessione alla Grecia.

Era questo un terreno molto delicato per me, avvegnaché io non possa fare a meno di confessare, esser tale la unanimità di giudizio con cui, da quando son tornato ad Atene, da ogni classe di persone, private altrettanto che uffi

ciali, indigene al par di straniere, ho udito dipingere la situazione dell'Epiro in senso diametralmente opposto a quello a noi riferito, che le impressioni colle quali son partito da Roma, sono necessariamente alquanto scosse. Siccome però l'ansietà del Governo Italiano su codesto punto, scaturisce unicamente da un sentimento di schietta simpatia, e dal desiderio di trattenere la Grecia dal buttarsi incautamente in un pelago di difficoltà e di dolorose sorprese, io, ponendo la questione in modo netto e preciso sotto questo suo vero e indiscutibile aspetto, mi assicurai il vantaggio di dare al mio discorso col Signor Cumunduros quel carattere intimo ed amichevole, che accorda una mutua fiducia. E non è stato senza motivo che impiegai ogni studio a impartire alle mie parole l'accento della più aperta franchezza, imperocché non avevo tardato ad accorgermi che il Signor Cumunduros era in sulle prime alquanto impacciato, e come un uomo che, avanti di abbandonarsi alle confidenze, vuole scoprire in quali disposizioni di spirito sia il suo interlocutore. In Grecia, più che altrove, aveva per lo passato avuto corso la voce degli assurdi disegni attribuiti all'Italia sull'Albania, e fuvvi un tempo, codesto R. Ministero lo deve ricordare, in cui tali dicerie trovarono qualche credito persino nelle sfere officiali. Se di questo fortunatamente oggi non s'incontra più traccia alcuna, è innegabile però che la via è tuttora schiusa ai sospetti, i quali facilmente insorgono alla più lieve occasione. Laonde, io fallirei di certo al compito m:o ove non palesassi a V. E., in conformità di quanto ebbi a fare in antecedenti rapporti, che l'attitudine apparentemente poco benevola di taluno nostro ufficiale consolare in Epiro, di cui poi, come succede sempre, si esagera anco la portata, ripristina la diffidenza, e si presta a essere commentata in mille guise dalle masse, che non indagano le cause, ma solo restano colpite da quanto cade sotto i sensi.

Il Presidente del Consiglio, adunque mi comunicò i suoi riflessi sull'Epiro, esponendomi coscienziosamente le condizioni peculiari in cui versa quella contrada. Mi affermò che, essenzialmente per ragioni politiche la linea di rettificazione proposta a Berlino, e sovra ogni cosa l'occupazione di Janina eran indispensabili a rendere la Grecia in istato di difendere i suoi diritti nei rimescolamenti che il futuro tiene in serbo per l'Oriente. Un ingrandimento in Tessaglia, osservavami il Signor Cumundros, assicurerebbe al Regno Ellenico il possesso di fertilissimi distretti, ma in nessuna guisa lo rafforzerebbe. Mentre che l'annessione delle bellicose popolazioni dell'Epiro formerebbe, d'ora innanzi, il nerbo principale della Grecia. «Non è da Volo~. soggiungeva il Presidente del Consiglio, «che potremo considerare di esserci avvicinati a Salonicco, o che saremo in grado di contestarne ad altri il passo; ma solo in Janina si troverebbe la base capace a costituire un ostacolo di cui dovrebbe tener conto qualunque novello invasore della Penisola Balcanica che mirasse

all'Egeo~

Anche al punto di vista di mantenere buoni e cordiali rapporti coll'Albania, circostanza importantissima per le soluzioni dell'avvenire, il primo Ministro Ellenico sostiene con fervore l'utilità di avere l'Epiro, e cosi egli spiega questa teoria, che, a prima giunta, può parere un paradosso. Nella opinione di lui, colla occupazione di quella provincia da parte della Grecia i due elementi di diversa nazionalità, e in !specie di religione, conoscerebbero in modo definitivo quali sieno rispettivamente i loro limiti, dietro ai quali ognuna delle due razze saprebbe di essere al sicuro. Inoltre, i musulmani, che, anche dopo l'annessione alla Grecia, rimarrebbero in Epiro, non indugerebbero a toccar con mano la valida protezione che accordano le leggi Elleniche ai diritti di tutti i cittadini. Il nuovo e prospero stato di cose, che in codesta maniera verrebbe a inaugurarsi colà, eserciterebbe una salutare influenza anche all'infuori del proprio raggio, e propagherebbe come un'aura di conciliazione alle circostanti regioni. Per guisa che, l'Albania la quale, a parere di molti qui, non potrà mai, malgrado le apparenze contrarie, avere una vera vita autonoma, sarebbe piuttosto att1rata il giorno dello sfacelo dell'Impero Ottomano, verso quel paese che già possedesse l'Epiro, anzi che verso l'Austria-Ungheria, nelle cui braccia però dovrà pur troppo ineluttabilmente cadere, se o in una foggia o in un'altra non unisce i suoi destini con quelli del Regno Ellenico, entro i cui conf1ni attuali già esistono sì numerose colonie Albanesi. Con siffatto abile argomentare, il Signor Cumunduros trae la conclusione che l'Italia e la Grecia hanno nella quest.one Albanese vitali interessi comuni, a tutelare i quali nulla maggiormente varrà quanto il passaggio dell'Epiro sotto lo scettro di Re Giorgio. E a dimostrarmi viemmeglio il suo asserto, il Presidente del Consiglio si era procurato per sottopormelo confidenzialmente, un notevole rapporto, in data del 3 corrente, del Console Generale di Grec1a a Costantinopoli, in cui venivano denunziate, con abbondanti prove in appoggio, le mene anti-elleniche degli Agenti Consolari Austro-Ungarici ad Arta ed a Prevesa. Egli menzionò infine con amarezza come il Conte Zichy a Costantinopoli fosse stato, fra tutti gli Ambasciatori, quello che avesse risposto in senso meno favorevole alla Grecia, circa la domanda della Porta, sulla interpretazione a darsi al Protocollo n. 13 del Congresso di Berlino. Tal fatto era per lui un indizio sign.ficantissimo degli

ulteriori progetti del Conte Andràssy nella penisola Balcanica.

Rimaneva al mio interlocutore ancora un punto da esaminare e una obiezione da confutare. Se cioè sia vero che l'anness.one dell'Epiro alla Grecia non sia conforme ai voti degli abitanti, se questi perciò si appresterebbero a far resistenza. Il Signor Cumunduros naturalmente sostiene a tutt'oltranza la tesi contraria e asserisce che il sembiante di agitazione che si vorrebbe colà introdurre, sia opera dei Turchi altrettanto che degli Austriaci, e che entrambi, sebbene con iscopi diversi, sfruttino pei loro fini particolari il fanatismo della Lega Albanese. Non negò che, sino ad un certo punto, codesti raggiri avessero conseguito l'intento di gettare il dubbio e lo sconforto, non solo nella parte musulmana delle popolazioni, ma anche fra non pochi cristiani, fuorviando così i criteri di vari Consoli Esteri. Che però tutto questo era un lavoro fittizio, e che il preteso fermento anti-ellenico cesserebbe come per incanto appena fosse avverato che l'unione di quelle contrade alla Grecia è stata decisa dall'Europa e consent:ta dalla Turchia. A persuadermi di ciò il Presidente del Consiglio mi fece vedere un rapporto del proprio Console a Janina, in data del 28 febbraio, che pure s'era fatto rimettere dal Signor Delyanni. Con tale ufficio il citato funzionario trasmetteva a questo Ministero degli Affari Esteri una lista di categoriche e formali entrature stategli fatte dai principali Capi Albanesi,

sia con animo di assicurarsi la protezione delle sostanze loro, sia per stabilire

le ricompense, mediante le quali essi promettevano il più leale appoggio alla

bandiera Ellenica.

Qui acchiuso mi pregio trasmettere un notamento dei principali paragrafi

consegnati in quel documento.

Per non dilungare di soverchio questo rapporto, accennerò in breve alla

E. V. qualmente io abbia tranquillato il Signor Cumunduros sul vero movente che induce il Governo del Re a esigere dai suoi Agenti Consolari a Janina e a Prevesa le più scrupolose relazioni su quanto avviene nei loro distretti, in vista di rendere, se possibile, un serviz'o alla Grecia istessa.

La conversazione di cui ho l'onore di render conto essendosi sempre man

tenuta con quella impronta di cordialità ch'io ebbi cura di darvi fin dall'esor

dio, ho schiettamente additato alla gravità dello scandalo che nascerebbe se,

realizzandosi la tanta vagheggiata annessione, succedesse poi che i greci fos

sero ricevuti in Epiro come gli Austriaci lo furono in Bosnia, o a un dipresso.

Anche ammettendo in s:ffatta ipotesi la circostanza attenuante che tale sup

posta resistenza fosse per essere suscitata dalla Lega Albanese e sostenuta da

Agenti venuti da fuori, l'effetto che ne proverebbe l'Europa sarebbe tuttavia dei

più deplorevoli, potendo ciò dimostrare che esistano in Epiro abbastanza ele

menti discordi, da permettere di organizzare una formidabile opposizione.

Senza la menoma esitanza il Signor Cumunduros qualificò assolutamente

infondate codeste sinistre previsioni, e nel darmi incarico di farne parte all'E. V.,

emise la speme che il Governo del Re smetterebbe ogni inqu:etudine a tale ri

guardo, e continuerebbe ad appoggiare le giuste aspirazioni della Grecia.

Ad onor del vero deggio eziandio aggiungere che nessuno, fra quanti uomini autorevoli ho avvicinato, dimostra di nutrire apprensione di sorta, che siena per incontrarsi oltre ai confini del Regno Ellenico le difficoltà che a noi vengono segnalate.

ALLEGATO

CONFIDENZIALE.

I Capi Albanesi accetterebbero l'annessione dell'Epiro alla Grecia alle seguenti condizioni: 1° Che a ciascheduno di essi sia dato il rango di Maggiore nell'esercito ellenico, e un grado di più ai già militari.

2° Che sia concessa a tutti la decorazione del Salvatore.

3° Che siano rispettate le proprietà e la religione di ciascheduno.

4° Che sia accordata una indennità legale per tutte le proprietà occupate dal Governo Ellenico.

5° Nel caso che, il Governo dovesse occupare l'Epiro colla forza, i capi suddetti promettono di prendere le armi in favore del Regno Ellenico, purché da questo siano loro fornite le armi e le munizioni.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI (2)

D. 789. Roma, 10 marzo 1879.

Giuntami col rapporto del 23 febbraio n. 1409 (3) la nota della Sublime Porta, relativa alle osservazioni da noi presentate circa la combinazione Tocqueville, mi reco a premura di porgerle secondoché mi riservai di farlo col dispaccio del 25 febbraio n. 782 (4) istruzioni ulteriori e atte a meglio chiarire il pensiero del R. Governo.

Anzi tutto, la Sublime Porta non sta precisamente nel vero quando afferma che il Gabinetto di Roma sembra considerare come pericolosa, per gli interessi dei portatori italiani, la presenza di quattro specialisti stranieri nella Commissione che sarebbe incaricata della gestione dei cespiti assegnati al servizio del debito pubblico ottomano. Il Governo del Re non ha mai concepito, né poteva concepire un simile pensiero. Bensì è a nostra notizia che l Comitati del portatori italiani non paiono disposti ad accogliere la combinazione dei Tacqueville, od altra consimile, se non alla condizione che la presenza di specialisti italiani, nella Commissione d'amministrazione delle rendite vincolate, fornisca

ad essi quelle stesse guarentigie che la presenza di specialisti inglesi e francesi

porge ai creditori di quelle due nazionalità.

Soggiunge la Sublime Porta, nella sua nota, che, se fu rivolta ai Governi di Francia o d'Inghilterra la preghiera di designare due specialisti per l'amministrazione delle rendite vincolate, ciò avvenne a rich~esta del signor de Tocquevllle e con l'intento di garantire gli interessi dei portatori d'ogni nazionalità.

Noi non contrastiamo che così sia accaduto. Però a noi consta che, cosi il signor de Tocqueville, come i Governi di Francia e di Inghilterra non farebbero punto opposizione alla partecipazione dell'elemento italiano, la quale, invece, è avversata dalla Sublime Porta.

Posto così in sodo che la partecipazione di specialisti italiani è voluta dai nostri nazionali, portatori di rendita ottomana, e non è punto contrastata, né dai Governi di Francia e d'Inghilterra, né dai mandatari dei portatori appartenenti a quelle due nazionalità, non si scorge perché la Sublime Porta voglia persistere nella sua opposizione. Imperocché, trattandosi di un mandato di fiducia, quale è quello che sarebbe conferito agli amministratori delle rendite vincolate, è naturale che i portatori italiani intendano di attribuirlo a tali che rappresentino direttamente i loro interessi, e non già a delegati scelti da altri Governi.

La Sublime Porta rammenta che la Commissione additata dal protocollo XVIII del Congresso di Berlino non dovrebbe avere altro scopo all'infuori della ricerca di un accordo tra l'erario ottomano e i suoi creditori, ed afferma non essere il caso di ricorrere a tale Commissione, dal momento che siffatto accordo è già in buona via di formazione. Ora non è a conoscenza nostra che, tra i numerosi possessori di rendite turche in Italia, esista anche un solo gruppo che finora siasi associato al mandato conferito al signor de Tocquevllle, o che ne abbia ratificato la divisata combinazione. E, come il capitale di rendita turca esistente in Italia non potrebbe valutarsi a meno di settecento milioni, ben si scorge quanto sia problematico il valore della affermazione della Sublime Porta, potersi cioè già considerare come assenziente la massa dei suoi creditori.

Certo non può essere intendimento del Governo italiano di alterare, con la intromissione di considerazioni d'ordine politico, il carattere che deve essere proprio di provvedimenti essenzialmente finanziari. Ma il Governo del Re non può disconoscere che il protocollo XVIII del trattato di Berlino ha per l'appunto preveduto la contingenza di reclami per parte dei detentori di rendita ottomana, e, nella previsione di tale ipotesi, i plenipotenziari furono concordi nel deliberare che la ricerca dei mezzi più efficaci per soddisfare a tali reclami, compatibilmente con le condizioni finanziarie della Sublime Porta, dovesse affidarsi ad una Commissione di specialisti nominati dai Governi firmatari del trattato di Berlino.

La contingenza che a Berlino erasi prevista accenna, per l'appunto, a verificarsi. Oramai consta (astraz:one fatta dai reclami che sono venuti da altra parte) che i portatori italiani non hanno favorevolmente accolto i provvedimenti divisati dalla Turchia per regolare la questione del suo debito. Molti di essi hanno, anzi, già fatto pervenire istanza al Governo del Re per una più

efficace tutela dei loro interessi, e per attenerne più valida guarentigia. Il Governo del Re deve adunque mantenere ferme le riserve enunciate nella nota del 21 febbraio né può dichiararsi pago delle spiegazioni contenute in quella a lei diretta il 23 febbraio dal ministro degli affari esteri di S. M. il Sultano, alla quale prego la S. V. di voler replicare, conformando il suo linguaggio al contenuto del presente dispaccio.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, MENABREA, E A PARIGI, CIALDINI (l)

D. Roma, 11 marzo 1879.

Ho l'onore di trasmettere qui unita all'E. V. copia di un telegramma (2) testé pervenutomi da Parigi, dal Comitato generale dei portatori anglo-francesi di rendita turca, ove si cerca di rassicurare i portatori italiani circa il significato e lo scopo della convenzione stipulata tra la Sublime Porta ed il signor de Tocqueville.

Il Comitato dei portatori italiani, istituito a Roma, deve avere aperto, a quanto pare, trattative con i firmatari del predetto telegramma per concretare un accordo, che guarentisca ai primi la parità di trattamento coi francesi e cogli inglesi. È stato, d'altra parte, affermato a Costantinopoli che il signor de Tocqueville abbia avuto pure facoltà di rappresentare gl'interessi italiani.

Ora codesta affermazione non ha fondamento veruno: ed il R. Governo

ha bensì ogni ragione di credere che qualora non si desse agl'Italiani la gua

rentigia di essere rappresentati da un delegato italiano nella Commissione am

ministratrice delle tasse ottomane vincolate, i nostri portatori domanderebbero

probabilmente che ad ogni altro accordo o componimento finanziario debba

-·-·

precedere l'esame da farsi dalla Commissione internazionale, preveduta dal protocollo XVIII del Congresso di Berlino.

Frattanto questo Ministero non ha stimato opportuno di mettersi in diretta corrispondenza coi firmatari del telegramma in d~scorso, e ciò in omaggio alle ragioni di ordine generale che regolano le relazioni ufficiali di un Governo con privati stranieri. Qualora però essi si rivolgessero a codesta Ambasciata, ovvero se V. E. ne ravvisasse l'opportunità, io La autorizzo a voler dar loro le spiegazioni che precedono per farli convinti dei veri propositi degl'interessati italiani.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 383. Vienna, 12 marzo 1879, ore 17,22 (per. ore 18,20). Schwegel est venu me lire un télégramme Andrassy, dans lequel il est dit que

S. M. l'Empereur ayant apprécié le langage tenu par V. E. en réponse à interpellations sur la politique étrangère qui ont eu lieu dans nos Chambres, ainsi que l'attitude énergique prise par le Gouvernement du Roi en face du parti qui avait provoqué !es manifestations si hostiles à !'Autriche année dernière, se plait accepter invitation de faire représenter son armée à la pieuse cérémonie du 23 mars à Novare comme témoignage sentiments d'amitié qui lient maintenant Ies deux pays, et donne ordre en conséquence. Trouvant pour mon compte un peu superflues toutes ces considérations, je me suis borné à remercier de vive voix pour communication, disant que j'aurais informé V. E. de l'envoi d'un délégué armée autrichienne à la dite cérémonie, et me suis abstenu de demander copie du télégramme, voyant qu'on était disposé à me la donner, si j'en

avais exprimé désir. Maintenant il faut empécher que toute démonstration hos. tue à l'Autriche puisse se produire à cette occasion, car après notre invitation, la moindre chose serait absurde.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, TORNIELLI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, DE LAUNAY, A LONDRA, MENABREA, A PARIGI, CIALDINI, E A VIENNA, DI ROBILANT

T. 140. Roma, 13 marzo 1879, ore 13,30.

La Porte vient de nous faire une communication télégraphique de laquelle il ressort qu'elle considère comme contraires à ses droits et à sa dignité les quatre articles du projet de la constitution bulgare dont l'indication suit: article ler où il est dit que ce territoire de la Bulgarie ne pourra étre agrandi ou diminué sans l'a$sentiment de la grande assemblée nationale -article 2 d'après lequel une rectification de frontière pourra s'effectuer avec l'autorisation de

l'assemblée nationale ordinaire -article 3 où il est dit que la principauté de Bulgarie est un Gouvernement constitutionnel se trouvant dans des rapports de vassalité envers la Sublime Porte au lieu de dire tout simplement que la Bulgarie est sous la suzeraineté de la Parte-article 22 où il est ovit que la dignité princière est héreditaire dans la descendance du premier prince elu. La Porte considère comme étant en opposition formelle avec l'article 3 du traité de Berlin toute disposition du statut bulgare concernant le droit d'hérédité de la dignité princière.

Je prie V. E. de s'informer si la mème communication a déjà été faite au Cabinet ... et de me télégraphier le sens de la réponse que le Cabinet a faite à la Porte (1).

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 394. Berlino, 14 marzo 1879, ore 15,20 (per. ore 17,40).

Ambassadeur ottoman a fait hier à M. de Blilow méme communication que

V. E. m'a télégraphiée (3) au sujet de la Bulgarie. M. de Blilow a demandé à

ambassadeur ottoman un pro-mémoire et s'est réservé de répondre après examen. Il va sans dire que le Gouvernement impérial n'a encore pris aucune résolution. Il m'a promis de me renseigner en son temps.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, MENABREA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 400/234. Londra, 15 marzo 1879, ore 19 (per. ore 20,30).

Salisbury a reçu de la Porte une communication semblable à celle qui forme l'objet du télégramme de V. E., en date du 13 courant (1), et qui se réfère à quatre articles du projet de la nouvelle constitution de la Bulgarie contre lesquels le Gouvernement ottoman proteste. Salisbury m'a dit qu'il donnait raison à la Turquie, sauf à ce qui se réfère à l'hérédité princière. Il réserve son opinion à cet égard, quoique il penche pour l'hérédité, vu que ce serait un élément de stabilité pour le Gouvernement de ce pays, qui plus que tout autre en a besoin.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 474. Parigi, 15 marzo 1879 (per. il 18).

Dacché il Signor Waddington divenne Presidente del Consiglio riesce ditllcilissimo di potergli parlare ed impossibile quasi sempre di ottenere risposta sul momento e nemmeno più tardi. Si direbbe che il Ministero degli Esteri non funziona più. Ciò spieghi all'E. V. come e perché io abbia taciuto sin'ora intorno alle gravi questioni che furono argomento di lettere e telegrammi suoi.

Mercoledì scorso, avendo ottenuto un colloquio col Signor Waddington ne approfittai per rendermi ben conto del suo pensiero relativamente alla delimitazione della nuova frontiera turco-greca.

Anzi tutto, in onore del vero, devo rettificare il concetto in cui sembra tenuto a Costantinopoli. Egli non parteggiò mai per la cessione dell'Epiro alla Grecia; e ricordo benissimo che ritornando da Berlino il Signor Waddington disse meco: «Converrà dare alla Grecia buona parte della Tessalia e poca dell'Epiro ».

Oggidì, quantunque desideroso di risolvere la quistione greca e di allontanare così la causa o il pretesto di nuove possibili complicazioni Egli ritiene però che non sì possa arrivare ad una soluzione praticamente accettabile e durevole se non si proceda a previo accordo coll'Inghilterra, la quale ora si mostra più sollecita degli interessi turchi di quanto lo sia degli interessi greci. Stabilito l'accordo coll'Inghilterra sulla base predetta, di annettere, cioè, alla Grecia una grossa parte della Tessalia e poco o nulla dell'Epiro s'inviterebbero allora le grandi Potenze segnatarie del trattato di Berlino ad esercitare una pressione collettiva sulla Turchia e la Grecia onde la progettata frontiera fosse accolta da ambe le parti interessate.

n Signor Waddington aveva conoscenza del magnifico rapporto del Signor De Gubernatis (1), pregevolissimo per forma e sostanza. Come poi codesto rapporto gli fosse noto non disse. Il fatto sta che le sagge considerazioni di che va ricolmo lo avevano grandemente impressionato. La razza albanese (an

24 -Documenti diplomatici -Berle Il -Vol. XI

dava dicendo il Signor Waddington) è sommamente fiera e non conviene metterla a dura prova disponendo dell'Epiro a suo malgrado. Gli Albanesi sono molto avidi di denaro e forse per mezzo di spontaneo contratto cederebbero quella parte di Epiro che non vogliono accordare alla prepotenza ed all'ambizione altrui. Ma ad ogni modo torna meglio lasciar l'Eplro in disparte e tentare, se pur riesce, di ottenere dalla Turchia la cessione di una gran parte della Tessalia. Per doloroso che ciò le sia, le parrà sempre sacrificio minore della perdita di Janina e delle valli d'Arta del Frai, e del Kalama.

Al punto di vista italiano questa soluzione risponderebbe meglio d'ogni altra, se non erro, agli interessi nostri. L'Italia proteggerebbe nei limiti del possibile l'aggrandimento greco, elemento che deve contrapporre all'elemento slavo. Lo potreggerebbe allontanandolo con saggia previdenza dalla costa adriatica; risparmiando così la suscettività albanese, che forse ne rimarrebbe a noi riconoscente e ciò che più monta spingendolo attraverso i campi di Farsaglia, che il genio di Cesare rese immortali, per la valle del Salambria, o Selimbria, oltre Larissa, sino alle pendici dell'Olimpo quasi a tutela di Salonicco, quasi a minaccia dell'Austria, che volesse impadronirsene.

Giacché venni a parlare dell'Austria finirò col dire che il Signor Waddington ammette bensì essere l'occupazione di Salonicco un desiderio del Conte Andrassy: ma lo considera di attuazione assai dimcile e problematica, sembrando sin d'ora poco probabile che l'Austria avanzi quest'anno sino a Novi-Bazar.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, MENABREA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 190/211. Londra, 16 marzo 1879 (per. il 20).

Ieri, nel parlarmi degli affari di Turchia, Lord Salisbury mi disse nuovamente che la proposta Tocqueville poteva considerarsi come intieramente fallita. Io risposi che gli affaristi non si disgustano così facilmente e che probab~lmente essi ripiglieranno la questione sotto un'altra forma. A questo proposito i'J accennai al nobile Lord il telegramma dei presidenti dei comitati francese ed inglese dei portatori del 6 % e del 5 % Turco, indirizzato a V. E. e comunicatomi con dispaccio di codesto Ministero di questa serie n. 543 in data 11 corrente (l), notando che se i capi di questi comitati avevano potuto indurre alcuni dei portatori italiani ad acconciarsi a rimettere i proprii interessi in mani di commissari francesi ed inglesi, il nostro Governo non la intendeva in questo modo. Il Signor Tocqueville non aveva avuto a Costantinopoli facoltà di rappresentare gli interessi italiani, e qualora non si desse agli italiani la guarentigia di essere rappresentati da un delegato italiano nella commissione amministratrice delle tasse ottomane vincolate, i nostri portatori domanderebbero senza dubbio, che ad ogni accordo o componimento finanziario debba precedere l'esame da farsi dalla commissione internazionale preveduta dal protocollo XVIII del Congresso di Berlino, domanda che il nostro Governo dovrebbe sostenere.

Dalle poche parole che mi disse Lord Salisbury non mi pare che egli nutra grande simpatia per la combinazione Tocqueville od altre consimili.

IL MINISTRO AD ATENE, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 406. Atene, 17 marzo 1879, ore 8 (per. ore 20,05).

Je remercie V. E. de son télégramme du 15 (l) et je crois inutile d'ajouter que tout en considérant mon devoir d'exposer situation telle qu'on la juge ici, je ne manquerai pas de prendre point de V'Ue des intérets italiens pour règle invariable de ma conduite. Par mon rapport qui vous arrivera demain (2), j'ai exposé de nouveau impossibilité dans laquelle se trouve la Grèce de s'écarter de son chef du programme de Berlin. Par conséquent toute entente directe avec la Turquie est aujourd'hui impossible. Ministre de France avec lequel j'ai eu long entretien partage tout-à-fait ces idées. Appel à médiation se présente donc comme seule issue. Si V. E. croit pouvoir le faire, service à rendre en ce moment à la Grèce serait de provoquer d'accord avec la France une entente des Puissances pour arriver à une solution. Voilà ce que pour le moment Gouvernement grec attend de nous.

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 1432. Costantinopoli, 17 marzo 1879 (per. il 26).

Nei passati giorni corsero strane voci circa negoziati segreti che sarebbero stati intavolati fra la S. Porta ed una grande Potenza che da taluni dicevasi essere la Francia, da altri la Gran Brettagna. Si sarebbe trattato della cessione dell'isola di Creta mediante una somma considerevole, l'isola sarebbe stata ce

duta alla Grecia, la Grande Potenza conservata la baja della Suda. Alla S. Porta non si sapeva nulla di queste trattative, però l'origine delle voci veniva tracciata al Palazzo e certi indizii le avvaloravano. Il modo con cui furono condotti i negoziati che ebbero per effetto la cessione di Cipro all'Inghilterra ha reso la diplomazia oltremodo diffidente e sospettosa, ed una viva emozione si manifestava senz'altro nei circoli politici bene informati. All'Ambasciata d'Inghilterra soprattutto si sospettava la Francia; il Signor Malet correva alla S. Porta per domandare categorici ragguagli, ed il Gran Vizir dichiarava nulla esservi di vero, non essere venuto lui al potere per procedere ad una distribuzione di isole. All'Ambasciata di Francia si accusava la perfidia dell'Inghilterra la quale non cessava di lavorare per addivenire a nuovi acquisti territoriali. Feci pronte indagini affine di appurare il vero, e ne venni al convincimento quelle dicerie non avere alcun fondamento di fatto. Non v'ha dubbio che dei sospetti si fece parola da alti funzionarii del Palazzo, ma la versione più verosimile è che le voci fossero messe in circolazione dai nemici del Gran Vizir allo scopo di screditarlo e di rovesciarlo dal potere. Di esse non diedi contezza telegrafica alla E. V. poiché mio officio è di comunicarle solo le notizie che hanno un fondamento di vero.

I giornali d'Europa invece hanno fatto menzione di Rodi come d'oggetto di aspirazioni francesi. Ma anche di questa voce qui non si riscontra finora alcun indizio. Senonché ciascuno avendo a proteggere i proprii interessi e la cupidigia essendo talvolta inspirata dall'esempio, è dovere della diplomazia d'essere sempre più vigilante sulle eventualità possibili. Quello che non è oggi che fumo può essere realtà l'indomani.

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI E STERI, DEPRETIS (2)

R. 1434. Costantinopoli, 18 marzo 1879 (per. il 26).

Mi giunse regolarmente il telegramma che l'E. V. mi faceva l'onore di rivolgermi il 14 del presente (3) per significarmi il Signor Waddington essersi dichiarato favorevole alla partecipazione dell'Italia all'amministrazione finanziaria che sarebbe stabilita in seguito ad una combinazione del genere di quella del Conte di Tocqueville. E per siffatta comunicazione mi pregio offrire all'E. V. i miei distinti ringraziamenti.

Facendo seguito al mio rapporto delli 7 corrente n. 1424 (3) m'incombe ora di ragguagliare l'E. V. che la Sublime Porta spediva indi al suo Ambasciatore a Parigi l'ordine di significare al Conte di Tocqueville nella giornata del 14 marzo, in cui spirava il termine prefisso pel deposito della prima rata dell'1mprestito, che se entro quattro giorni egli non effettuava il deposito dei 50.000.000 montante di quella rata, il Governo Imperiale considererebbe il contratto come nullo e non avvenuto. Era dunque una dilazione di quattro giorni che la Sublime Porta accordava al Signor di Tocqueville. E di questi fatti io aveva l'onore di dare contezza aU'E. V. pel mio telegramma deUi 14 stesso (3).

Veniva poscia a mia conoscenza il Signor di Tocqueville avere risposto a quella intimazione la Sublime Porta non avere il diritto d'imporgli alcun termine, imperocché essa non era ancora stata in grado d'ottenere dai Governi di Francia e d'Inghilterra la designazione dei due Commissarii, quando essa avesse adempito a queste condizioni egli sarebbe pronto a fare il deposito prescritto. Della quale notizia diedi avviso telegrafico all'E. V. li 16 del presente (3). Questa dilazione avrebbe dunque a spirare nella giornata d'oggi, e nessuno si fa illusioni sulla probabilità che il Signor di Tocqueville si trovi in grado di addivenire al versamento dei 50.000.000. Né aggiungerò parola per rilevare l'assurdità della pretesa del Signor di Tocqueville di volere fare cadere sulla Sublime Porta la responsabilità di atti i quali non potevano in alcun modo dipendere dalla sua volontà.

E ieri *comparvero i due riveriti dispacci del lO corrente n. 789 ( 4) e 790 (3) pel primo dei quali* (5) l'E. V. m'ingiungeva di replicare alla nota della Sublime Porta del 23 febbraio, *pel secondo mi forniva notizie sulla materia, e per queste prego l'E. V. di aggradire i miei distinti ringraziamenti*.

Non ho frapposto indugio all'invio alla Sublime Porta della nota di cui ho l'onore di trasmettere qui unita copia all'E. V. (1). Ed essa porta la data di ieri stesso. Il Cavalier Graziani la consegnava al Signor Ministro degli affari Esteri, il quale osservava l'affare Tocqueville potersi ora considerare come completamente caduto. E mezzo scherzando, mezzo sul serio, soggiungeva l'Italia avere ottenuto il suo intento di farlo mancare. Replicavagli il Signor Graziani il H. Governo avere per lo contrario desiderato il successo della combinazione però essersi limitato ad interporre quelle riserve che la protezione dovuta a considerevoli interessi Italiani gli imponeva. E della consegna della nota in discorso al Signor Ministro degli Affari Esteri diedi senza indugio avviso telegrafico alla E. V. Cl).

L'affare Tocqueville può dunque considerarsi come mancato. Né io intendo che altri si mostrino attualmente disposti ad intavolare trattative finanziarie colla Sublime Porta, il che io non posso a meno di attribuire all'impressione le condizioni finanziarie dell'Impero essere si gravi che sia preferibile d'aspettare che la crisi si faccia più matura. Le case bancarie si potranno indi decidere a fare nuove proposte ma credo si tratterà allora piuttosto di operazioni di credito aventi per iscopo il vantaggio delle due parti contraenti, che d'assumere impegni pel servizio degli antichi imprestiti.

Ora, sta di fatto che la Sublime Porta è completamente priva di mezzi per provvedere alle spese necessarie ai pubblici servizi. Le casse dello Stato sono vuote, ed a grave stento si poterono raggranellare in questi giorni 150.000 L.T. presso i banchieri di Galata a condizioni eminentemente onerose.

Che verrà appresso? Già si buccina che il Ministro delle finanze vagheggi il progetto di decretare che tutte le tasse si pagheranno d'ora innanzi in oro all'eccezione del 20% che sarebbe pagato in carta, versando però per esso il 400%, e questa carta sarebbe ritirata di modo che il Caimè avrebbe a scomparire in due anni; nel qual caso i funzionarii dello Stato sarebbero pure pagati in oro. Altri vanno ancor più lontano nelle loro previsioni e credono che lo Stato non potrà a meno in un avvenire non remoto di dichiarare tutta la carta priva di valore. Né ho bisogno di rilevare quale scossa economica e sociale verrebbe da siffatta eventualità soprattutto nelle provincie dove la moneta metallica è oltremodo rara. Ed allora la crisi sarebbe probabilmente considerata come sufficientemente matura per addivenire a serii negoziati finanziarli.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI

D. 422. Roma, 19 marzo 1879.

V. E. mi ha riferito, per sommi capi, col Rapporto del 7 di questo mese,

n. 471 (l) il pensiero del Signor Waddington circa la questione del confine turco-ellenico.

Le notizie che di poi ci sono pervenute, circa i negoziati di Prevesa e circa le disposizioni della Turchia, confermano le previsioni del Signor Waddington tispetto al ricorso che ben presto verrà indirizzato alle Potenze. Qui si porrà la questione pregiudiziale se cioè la Turchia possa essere costretta a sottomettersi alle risoluzioni delle Potenze mediatrici. Non si potrebbe, stando alla lettera del Trattato di Berlino, dissimulare che ivi si è solo trattato dell'offerta di una vera e propria mediazione. Anzi dagli atti del Congresso risulta che la Turchia non ha voluto accettare questa pacifica forma d'intervenzione collettiva. Che cosa intenderà fare la Francia nel caso in cui la Turchia mantenesse il rifiuto categoricamente opposto, dai suoi Plenipotenziarii a Berlino alle proposizioni delle Potenze?

Prima di esaminare con quali intenti ed entro quali limiti avrebbe ad esercitarsi la mediazione europea, pare a noi che la questione pregiudiziale sovra esposta debba essere esaminata e risoluta in guisa che sovra di essa siano anticipatamente concordi tutte le Potenze mediatrici. Resterebbe inoltre ancora a vedere se alla mediazione tutti i Governi siano disposti a dare altra efficacia allo infuori di quella puramente morale che potrebbe risultare dall'accordo unanime

del Gabinetti. Ma anzi tutto noi opmwmo che di questo accordo converrebbe avere la certezza, poiché in caso diverso, la autorità dei mediatori potrebbe trovarsi esposta a spiacevole disinganno.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO (l)

D. 269. Roma, 19 marzo 1879.

Col dispaccio del 9 di questo mese n. 268 (2), già feci conoscere alla S. V. Illustrissima il nostro pensiero, circa la fase presente delle cose egiziane, trasmettendole copia di un dispaccio che, sotto quella stessa data, io aveva diretto agli ambasciatori di S.M. a Londra ed a Parigi (3).

Tuttavia la lettura del rapporto di Lei, in data del 2 marzo n. 561 (2) mi suggerisce ancora alcuna avvertenza che mi sembra utile di qui esporre, a complemento delle istruzioni già impartitele.

Dalla nota che S. A. il Khedive rimise, il 2 marzo, agli agenti di Francia c d'Inghilterra, rimane oramai assodato che Sua Altezza non avrebbe, eventualmente, difficoltà alcuna ad ammettere nel Suo Gabinetto un terzo ministro europeo. Le due potenze che ebbero parte nell'accomodamento dell'agosto 1878, hanno invece persistito a mantenere l'ordinamento ministeriale quale fu allora ideato, ed a continuare cosi una esperienza che finora non aveva dato effetti soddisfacenti. Noi abbiamo fatto osservare ai Gabinetti gli inconvenienti che la esperienza aveva rivelato e dimostrato. Senza interporci fra il Khedive ed i suoi ministri, abbiano additato le cause della mala riuscita della prova fatta, ed abbiamo fatto sentire come ci paresse inaccettabile un regime, dal quale risultava la irresponsabilità del Governo egiziano, non potendo questo essere, per noi, rappresentato da altri fuorché dal Khedive.

Sua Altezza non ha stimato conveniente di insistere sulla proposizione fatta, con la nota del 2 marzo, ai Gabinetti di Londra e di Parigi. L'ordinamento ministeriale stabilito nell'agosto 1878 sembra, così dover, almeno per ora, essere mantenuto senza variazione per ciò che riguarda i due ministri stranieri, uno francese e l'altro inglese. Però il regime stesso é stato modificato in guisa da meglio definire il limite di azione tracciato ai membri stranieri che fanno parte del Gabinetto egiziano.

Ancorché si possa sperare che alcuni degl'inconvenienti, verificatisi durante la prima prova, abbiano ad essere attenuati dopo che è stato eliminato ciò che tendeva a creare la irresponsabilità del Vicerè, senza sostituirvi nessun'altra responsabilità effettiva, noi dobbiamo tuttavia mantenerci fermi nella opinione già manifestata circa uno stato di cose contro il quale non abbiamo mai cessato di enunciare le più giustificate osservazioni. E di tale nostro atteggiamento non abbiano ragione di dolerci, poiché con esso abbiamo cooperato ad impedire almeno che il regime creato nell'agosto 1878 volgesse a costituire, nello Stato egiziano, una situazione che avrebbe potuto condurre, in poco tempo, a ben più gravi e radicali conseguenze.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 2274. Berlino, 19 marzo 1879 (per. il 22).

Je remercie V. E. d'avoir bien voulu par sa dépèche n. 786 Cl) me communiquer des documents qui me mettent à mème de régler mon langage selon !es vues du Gouvernement du Roi. Je me suis prévalu de ces données dans une conversation récente avec M. de Biilow sur !es trois circulaires russes qui signalent aux Puissances l'urgence d'un accord sur diverses questions encore en suspens.

S. E. m'a dit que jusqu'ici le Cabinet de Berlin n'avait pas répondu à ces communications; mais que s'il répondait il ne manquerait pas de mettre de plus en plus en évidence:

l) so n vif désir de l'exécution du Traitè du 13 juillet dans chacune de ses parties;

2) la certitude de son concours et de ses meilleurs efforts pour chercher dans un esprits d'équité et de conciliation à aplanir !es difficultés.

En principe, il n'était pas favorable camme nous à ce que !es commissions fussent autorisées à résoudre, à la majorité des volx, !es points contestés. Si tous !es autres Cablnets se montraient disposés à l'accepter, l'Allemagne s'abstiendrait sans doute de lancer une note discordante, mais camme la Russie déclare nettement ne pas vouloir consentir à établir un tel précédent, il ne faut plus y songer. D'ailleurs il semblerait plus pratique que les Cabinets eux-mèmes cherchassent à s'entendre quant aux points sur lesquels l'unanimité des votes aurait fait défaut dans le sein des commissions.

Dans ce travail de révision sur l'ensemble des points en litige, on pourrait plus facilement, sans blesser aucune susceptibilité, arriver à un rapprochement des idées par des concessions mutuelles, par un système de transactions et de compensatio ns.

Le Secrétaire d'Etat ne voyait cependant pas approcher sans quelque appréhension le moment où la responsabilité du maintien de l'ordre et de la tranquillité passera dans la Roumèlie Oriéntale entre les mains de la Turquie. Il prévoyait qu'on finirait par en venir à l'occupation mixte.

Dans ce cas, lui ai-je demandé, est-ce que l'Allemagne consentirait à fournir un contlngent de mousquetaires Poméraniens? Le Prince de Bismarck, durant la guerre, avait déclaré au Reichstag que !es affaires d'Orient ne touchaient pas d'assez près l'Allemagne, pour qu'on leur sacrifiat les os d'un seul Pommerschen Musketier. Le sourire sur les lèvres, S. E. a répondu évasivement. A cet égard et pour ce qui concerne l'Italie, j'ai exprimé le mème avis que j'avais eu l'occaS!ion d'émettre dans un entretien avec le Comte Schouvaloff (rapport

n. 2268) (1). J'ai aussi insistè sur l'accomplissement des clauses du Traité de Ber

lin. Une seule brèche faite aujourd'hui a cette oeuvre qui a couté tant de labeurs et de sacrifices dictés exclusivement par la nécessité de l'affermissement de la paix générale en Europe, menacerait de détruire cette oeuvre. Il ne faut pas que la diplomatie encoure le reproche que certains journaux adressent sans doute à tort au Gouvernement Hongrois qui, se berçant d'une fausse sécurité, a négligé de songer à temps à la régularisation de la Theiss, à la protection des villes et des habitants exposés aux inondations. La catastrophe de Szegedin est un terrible avertissement à qui ne sait pas agir au moment opportun.

Mon Collègue d'Angleterre trouve que le Cabinet de Berlin témoigne d'une certaine indifférence pour activer l'exécution du Traité de Berlin dont la Grande Bretagne persiste à prétendre l'accomplissement ponctuel. Il en manifeste quelque surprise. Le Congrès présidé par l'Allema.gne dont l'influence alors s'est largement exercée, ayant reconnu la nécessité de maintenir l'Empire Ottoman en Europe, a voulu laisser à cet Empire des frontiéres militaires et faciles à défendre. Voilà pourquoi il n'a pas accepté la formation d'une grande Bulgarie prévue dans les préliminaires de S. Stefano. En avançant les frontières du nouvel Etat presque jusqu'aux portes de Constantinople, l'Europe aurait prononcé l'arret de mort de la Turquie. La décision du Congrès est dane le produit de mures réflexions; elle répond aux conditions de l'équilibre en Orient, et par conséquent aux intérèts généraux. Lord Odo Russell n'entendait pas élever des doutes sur l es intentions correctes de telle ou te !le autre Puissance; mais le fait est que le 3 Mai, terme de l'évacuation s'avance et que des population armées et organisées s'agitent contre tout retour de la domination turque. Cette agitation menace de se transformer en résistance. Le Comte Schouvaloff tàche en ces jours de faire prévaloir à Pétersbourg un projet d'occupation mixte par des contingents des différentes Puissances. L'Angleterre y serait disposée. Aussi longtemps du moins que le parti Tory restera au pouvoir, Lord Beaconsfield et le Marquis de Salisbury ne conseilleront pas à la Reine de déplacer une des pierres angulaires de la politique qu'ils ont soutenue au Congrès, à savoir la frontière des Balkans. Les négociations au sein des commissions, dans des conférences d'Ambassadeurs, ou dans des pourparlers de Cabinet à Cabinet ne peuvent porter que sur des questions de détail en tant que les dispositions du Traité de Berlin sont sujettes à des interprétations diverses, ou qu'elles manquent de clarté et demandent à etre fixées d'une manière définitive.

D'après ce que m'a laissé comprendre le Comte Schouvaloff, il n'était nullement convaincu de la réussite de ses efforts à Pétersbourg. Je crois plutòt que la Russie travaillerait à amener les choses au point où l'Europe consentirait à lui donner le mandat de prolonger son occupation pour six mois. C'est du moins dans le sens de ce désir que M. d"Oubril, doni la réserve est extreme, m'a parlé d'une manière confidentielle.

Quoi qu'il en soit, les populations en deça et au delà des Balkans jouent gros jeu dans leurs agissemens contre la décision de l'Europe. Leur unification est prématurée. Elles veulent devancer le cours des événemens, arriver avant que l'heure ait sonné. Le vers-proverbe est vrai à beaucoup d'égard, lorsqu'il s!gnale: << L'impardonnable tort d'avoir trop tòt raison ».

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, DE LAUNAY, A LONDRA, MENABREA, A PARIGI, CIALDINI, A PIETROBURGO, NIGRA, E A VIENNA, DI ROBILANT

T. 152. Roma, 20 marzo 1879, ore 11.

La Sublime Porte nous fait communiquer un nouveau tracé de la rectification qu'elle serait disposée à accorder à la Grèce. Le Gouvernement ottoman déclare en meme temps que c'est là le maximum de ses concessions et nous engage à les faire accepter par le Cabinet d'Athènes. Je suppose qu'une communication analogue aura été faite au Cabinet auprès du quel vous etes accrédité et je désirerais savoir aussitòt que possible l'accueil que celui-ci se propose de faire à la proposition de la Turquie (l).

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT

D. 706. Roma, 20 marzo 1879.

In una conversazione che io ebbi testé coll'Am'Qasciatore d'Austria-Ungheria, questi mi disse che il conte Andrassy approva il metodo che noi avremmo proposto siccome modus procedendi per le commissioni di delimitazione. Il Conte Andrassy sarebbe anzi disposto ad intendersi con noi per farne oggetto di una proposta formale presso le Potenze.

La proposizione a cui alludeva il barone di Haymerle è quella elle noi annunciammo rispondendo alla comunicazione fattaci dal Gabinetto di S. Pietroburgo circa la frontiera dei Balkani. Essa si contiene nella nota che 'io diressi, a tale riguardo ,al Barone di Uxkull (l) e di cui trasmisi copia a V. E. col dispaccio del 9 di questo mese. Trattavasi, come V. E. ricorda, di un semplice suggerimento. Però saremmo lieti di sapere che il suggerimento nostro raccoglie i suffragi anche delle altre Potenze.

Per verità a noi sembra che sia quasi inevitabile la soluzione che noi proponemmo, che cioè, le questioni alle quali vuolsi conservare il carattere tecnico, siena in ultimo definite con un voto di magg,ioranza emesso dai commissari, quasi in qualità di parti. Non è infatti a presumere che in simili questioni i singoli gabinetti possano avere una opinione diversa da quella dei loro commissari rispettivi; ond'è che, nella massima parte dei casi, un voto di maggioranza si presenta come la sola via per riuscire ad un componimento delle quistioni stesse.

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 339. Pietroburgo, 20 marzo 1879 (per. il 2 8) .

Il Signor de Giers. co·lfermandomi oggi quanto jeri mi aveva detto il Conte Schouvalow, mi informò che il Governo Russo, per mezzo di un telegramma diretto agli Ambasc:atori dello Czar presso le grandi potenze, aveva chiamato l'attenzione di queste sopra una proposta, che è, in certo modo, la riproduzione di quella che era stata fatta durante il Congresso di Berlino dai primi plenipotenziarii di Inghilterra e di Austria, che si trova consegnata nel 5° protocollo delle sedute del Congresso. Preoccupato della necessità del mantenimento dell'ordine nella Rumelia Orientale dopo la partenza delle truppe russe, sollecito di rassodare la pace ed i risultati del Congresso di Berl,ino, il Governo Russo propone alle Potenze: lo che la commissione europea, dopo che

avrà portato a Costantinopoli il regolamento organico, ritorni nella Rumelia Orientale e vegli all'eseguimento ed all'applicazione dell'opera da essa elaborata; 2°) che a tale scopo essa abbia a disposizione una forza armata europea, di circa 15 mila uomini, mandata colà dalle varie potenze che saranno disposte ad acconsentire a quest'invio, in seguito ad un comune accordo; 3°) che queste misure, cioè la presenza e la cooperazione della commissione europea e l'occupazione mista, abbiano a durare un anno.

Prima di partire da Londra, il Conte Schouvalow fece partecipe il Marchese di Salisbury di questa proposta ed il principale Segretario di Stato della Regina per gli Affari Esteri non avrebbe, per quanto assicura il Conte Schouvalow, fatto alcuna abbiezione essenziale. Il Principe Bismarck fu parimenti informato della cosa dal Conte Schouvalow, quando questi passò per Berlino, ed il Cancelliere germanico avrebbe pur esso approvato la proposta.

Il Conte Schouvalow mi pregò specialmente di raccomandare la proposta stessa all'esame dell'E. V., ciò che feci con telegramma che ebbi cura di spedirle questa mattina (1).

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS (l)

R. 568. Cairo, 20 marzo 1879 (per. il 28).

Con telegramma spedito or ora (2) ho informata l'E. V. del modo come si è terminata la crisi ministeriale.

Ieri i due Agenti d'Inghilterra e di Francia hanno verbalmente dichiarato al Khedive, in nome dei loro Governi, che la concessione fattagli di non imporgli la rientrata di Nubar Pascià nel Gabinetto era agli occhi loro grandissima, perché potesse ritenersi per soddsfatto; che una nuova concessione nella persona di Riaz Pascià metterebbe in pericolo il sistema inaugurato; ed esprimono perciò il desiderio che Riaz sia mantenuto al Ministero dell'Interno, avendo tutta la fiducia del Signor Wilson, particolarmente per la regolare percezione delle imposte.

Il Khedive jeri sera stessa rispose per iscritto, che malgrado il suo desiderio di arrendersi alla volontà dei due Governi, gli era impossibile ritenere Riaz a quel Ministero, e per la grande agitazione che regna nella popolazione indigena, e per l'effetto prodotto nelle Colonie Europee dal progetto finanziario del Signor Wilson, ch'Egli si astiene ancora di giudicare, e quindi per il regolare andamento dell'Amministrazione *poiché, giustamente per la percezione delle imposte, Riaz è del tutto incapace di dirigere quel dicastero *.

Questa mattina i Signori Wilson e Blignières, * resisi dall'Agente Francese gli hanno presentata* (3) la seguente dichiarazione: «Si Son Altesse persiste dans !es intentions exprimées dans la note qu'Elle a remise hier au soir aux Agents de France et d'Angleterre, !es Ministres Européens ne croiraient pas

pouvoir rester au service d'un Gouvernement qui se mettrait en opposition directe avec le voeu de leurs Gouvernements respectifs. Ils prient les Agents et Consuls Généraux de France et d'Angleterre d'en informer leurs Gouvernements et leur demander leurs instructions ».

Ricevuta questa dichiarazione i Signori Vivian e Godeau si sono resi immediatamente dal Khedive. Non so ancora di quali termini ed argomenti si siena serviti, ma * hanno dovuto usare tanta pressione sul Khedive che * questi si è sottomesso a quanto gli è imposto. E gli è stato soltanto concesso di mantenere la nota rimessa la sera precedente ai due Agenti, alla quale ha aggiunto che le due Potenze avendogli espresso un voto Egli lo accettava, senza ritrattare però le ragioni per le quali in tutte le sue anteriori dichiarazioni si è opposto alla scelta di Riaz come Ministro dell'Interno, * e le conseguenze che potrebbero derivarne*.

Ieri sera il Principe Ereditario era assai perplesso se non dovesse dare le dimissioni di Presidente del Consiglio. Egli, convinto che * con Riaz Pascià * il nuovo sistema non possa assolutamente riescire per le tante difficoltà contro le quali avrebbe a lottare, si trova nell'alternativa o di perdere ogni popolarità nel paese, associandosi ad un Ministero, che per il modo come si è voluto comporre, indica chiaramente che si vuoi distruggere ogni autorità legale del Viceré, o di perdere la fiducia delle Potenze, che potrebbero interpretare la sua dimissione come una tendenza verso l'antico sistema.

* Egli secretamente mi ha dimandato consiglio. Non ho potuto negare la difficoltà della posizione; ma gli feci osservare che dando la sua dimissione sarebbe abdicare assolutamente l'autorità reale nelle mani dei due Ministri Europei, mentre Egli solo, come Presidente del Consiglio rappresenterebbe ancora l'autorità nazionale, che d'altra parte conoscendo le sue intenzioni e sincero intendimento di far riescire il nuovo sistema, l'opinione pubblica non potrebbe addebitare a lui un insuccesso per errori commessi da coloro stessi che l'hanno inaugurato. Tra i due pericoli dar la preferenza a quello che possa meno compromettere il suo avvenire personale.

Da questi fatti ne sorge all'evidenza che l'Inghilterra e la Francia fin da principio hanno voluto stabilire un regime di esclusiva ingerenza nelle cose Egiziane; che fin da principio hanno voluto distruggere l'autorità del Khedive, e moralmente spodestarlo; che intendono mantenere questo regime, di cui già purtroppo se ne sono veduti i tristi effetti. Hanno fatto credere che non si aveva altro pensiero che di garantire efficacemente gli interessi finanziari impegnati in Egitto, e le altre Potenze non potevano che applaudire. Il Governo Francese lo ha creduto, e lo crede forse ancora; ma il piano finanziario del Signor Wilson dimostrerà che gl'interessi della Finanza, sacrificati essi stessi, sono stati un pretesto per sacrificare interessi di un altro ordine.

Il Signor Vivian è stato chiamato a Londra per telegrafo, dicesi per conferire, ed il Signor Lascelles, segretario dell'Ambasciata a Roma, è giunto oggi per reggere quest'Agenzia. Con precedenti rapporti ho informato l'E. V. della lotta che si era apertamente impegnata tra i Signori Wilson e Vivian, che rappresentano due politiche opposte, quella del Signor Vivian di mantenere entro giusti limiti l'autorità del Viceré, e governare con l'elemento Egiziano, quella del Wilson, di spodestare il Khedive. e chiamare in tutte le amministrazioni l'elemento straniero. Il richiamo del Signor Vivian, la soluzione della crisi ministeriale, indicherebbero che la politica inglese sarebbe quella inaugurata dal Wilson *.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, DE LAUNAY, E A VIENNA, DI ROBILANT

T. 158. Roma, 21 marzo 1879, ore 15.

Au sujet des propositions russes, vous pouvez dire au Ministère des affaires étrangères que nous n'avons donné à la Russie qu'une réponse dilatoire. Nous tenons, avant de nous prononcer, de bien connaitre l'accueil que ces propositions ont trouvé auprès des Cabinets. Nous attacherions dane un prix tout particulier à savoir si le Gouvernement impérial à déjà donné, san consentement au projet d'envoi d'un corps d'occupat:on mixte en Roumélie et s'il se propose d'y donner san contingent (1).

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 426. Pietroburgo, 21 marzo 1879, ore 16,20 (per. ore 18,20).

M. de Giers n'a pas encore reçu communciaton de la proposition sur le nouveau tracé (2); mais il m'a di t que connaissant ce tracé, le Gouvernement russe répondra qu'il ne peut engager la Grèce à l'accepter, parce qu'il le considère camme insuffisant.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 432. Vienna, 22 marzo 1879, ore 14,50. (per. ore 15,30).

Orczy m'a assuré que la Sublime Porte n'a pas fait à Vienne communication dont est question dans le télégramme de V. E. du 20 (3). Il m'a ajouté que du reste déjà à propos du tracé frontière proposé par la Turquie auquel ont rapport télégrammes de V. E. du 22 et 24 février (4), Andrassy lui avait dit trouver qu'H ne convenait d'aucune manière discuter avec la Sublime Porte des propositions à ce sujet, car ce serait lui donner acte qu'on prend en considération une solution différente de celle recommandée par le traité de Berlin. Il ajouta que l'abstention complète est le seul système à suivre tant que la Grèce ne fera pas un te! appel aux bons offices des Puissances. V. E. aura du reste déjà eu l'occasion de constater, comme moi, que le Cabinet de Vienne est pour le moins très-indifférent à ce que !es désirs de la Grèce soient satisfaits.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 435. Berlino, 22 marzo 1879, ore 17,58 (per. ore 19,55).

C'est hier que l'ambassadeur ottoman a fait ici communication relative à nouveau tracé de frontière (2). Cabinet prussien a reçu d'Athènes informations d'après lesquelles la Grèce a rappelé ses commisaires et se propose de faire nouvellement appel à la médiation des Puissances. Biilow m'a dit que dans cet état des choses Allemagne s'abstient de se prononcer et qu'elle attendra le développement de la situation.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, MENABREA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 436/237. Londra, 22 marzo 1879, ore 20,02 (per. ore 23).

J'ai fait part aujourd'hui à lord Salisbury des propositions de la Russie relatives à la Roumélie orientale et qui forment l'objet du télégramme de V. E. en date d'hier (l). Le noble lord a reçu une communication semblable. Elle est en ce moment soumise au conseil des ministres. Conformément au dernier télégramme de V. E. du meme jour (2), je n'ai pas manqué d'insister auprès du marquis de Salisbury pour la précise exécution du traité de Berlin que notre Gouvernement considère comme la plus désirable et la plus propre à éviter d'ultérieures complications. Je lui ai dit que si toutefois une occupation mixte de la part des troupes étrangères était jugée absolument indispensable, nous désirions nous mettre d'accord avec l'Angleterre pour une telle éventualité; mais que, en ce cas, nous nous opposerions toutefois à ce que la tache de l'occupation fiì.t confiée a une seule Puissance. Lord Salisbury me répondit qu'il partageait l'opinion de V. E. sur rutilité qu'il y aurait à ce que le traité soit textuellement exécuté, que toutefois le cas de l'occupation mixte est prévu par le traité lui-meme; mais elle ne pourrait avoir lieu qu'à la condition qu'elle eùt pour but d'en faciliter l'application, et non point de l'altérer. En conséquence il faudrait avoir avant tout l'assentiment de la Porte qui, elle aussi, devrait fournir des troupes unies à celles des autres Puissances qui devraient donner un contingent plus ou moins considérable. L'Angleterre ellememe s'y ferait représenter par un détachement. Les frais de transport et de supplément de salde seraient à charge de la province. Il ne saurait etre question de confier l'occupation à une seule Puissance. Ceci n'est que l'opinion personnelle de lord Salisbury. Ainsi qu'il me l'a dit, il se réserve de me faire une réponse plus explicite, lorsque le Conseil des ministres aura délibéré. Lord Salisbury a terminé, en remerciant V. E. du concours que notre Gouvernement est disposé à lui preter en cette occasion.

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 439. Pietroburgo, 22 marzo 1879, ore 22 (per. ore 23,58).

Schouvalow vlent de me dire que l'Angleterre et l'Autriche-Hongrie consentiront probablement à envoyer un contingent pour l'occupation mixte. Andrassy a meme promis de peser sur la Turquie pour qu'elle ne s'oppose pas du tout. S. E. a ajouté que le Gouvernement russe verrait avec une grande satisfaction que l'Italie prenne part à l'occupation, parce qu'elle représente un élément modérateur qui enlèverait tout caractère d'hostilité à une simple occupation anglo-autrichienne. Schouvalow m'a assuré que tel est le sentiment personnel de l'Empereur.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 2275. Berlino, 23 marzo 1879 (per. il 26J.

En suite des télégrammes de V. E. en date des 21 et 22 courant (2), j'ai interpellé hier le Secrétaire d'Etat sur l'accueil fait ici aux dernières propositions russes relatives à la Roumélie Orientale.

Ainsi que je l'ai télégraphié le méme jour, (3) il m'a dit que le Cabinet de Berlin se préterait à toute combinaison qui, sur la base et dans les limites du traité du 13 juillet, contribuerait à calmer et à pacifier les esprits. Dans ces limites, il est disposé à se rallier à toute mesure qui répondrait le mieux à l'oeuvre d'apaisement efficace et durable que l'Europe a eu en vue et ne cesse de poursuivre. Sous ce rapport, il importe en effet de ne rien négliger pour sauvegarder

autant que faire se pourra les intéréts des populations, et de les mettre à l'abri contre le retour de scènes sanglantes. Mais pour sa part l'Allemagne, quelque soit son désir bien sincère de fortifier toujours davantage une entente dans ce but, déclinera de fournir un contingent aux troupes mixtes qui seraient appelées à tenir garnison dans la Roumélie.

M. de BUlow s'était exprimé verbalement de la meme manière avec l'Ambassadeur de Russie et avec mon collègue de France. Ce dernier avait déjà communiqué l'intention parfaitement arrétée du Cabinet de Versailles de ne donner ni soldats ni argent pour une semblable occupation. Mes collègues d'Autriche et d' Angleterre se tiennent encore sur la réserve, parce qu'ils sont sans instructions de leurs Gouvernements.

J'ai eu l'occasion de poser subséquenmment la méme question au Chancelier de l'Empire. Son langage a été analogue à celui du Secrétaire d'Etat. Il ajoutait, sous forme de plaisanterie, que sa bénédiction était acquise à ce que serait entrepris dans le but de chercher à conjurer les dangers signalés de St. Pétersbourg, mais qu'il refusait son consentement à l'envoi de contingents allemands. Ignorant quelle sera notre décision, je me suis borné, en termes généraux, à faire allusion à la difficulté d'obtenir une approbation de nos Chambres. Le prince de Bismarck faisait la remarque que l'Allemagne se trouverait dans le méme cas si elle voulait adhérer à la proposition n. 2 du Cabinet de St. Pétersbourg.

Il me semble que l'attitude adoptée déjà par les Gouvernements de Versailles et de Berlin, devrait etre aussi la nòtre. Les trois Puissances ont suivi la meme ligne politique au Congrès, celle de la conciliation mais surtout du désintéressement. La Russie, l'Angleterre et l'Autriche, se sont aussuré des bénéfices, et ont été parties prenantes. Les charges qui résultent doivent de préférence tomber sur elles. C'est donc à elles, si les autres Puissances n'y mettent pas de veto, à contribuer en hommes et en argent. Vu le refus de Parts et de Berlin, il est à prévoir que la Russie surtout et peut-étre l'Angleterre insisteront d'autant plus pour s'assurer de notre concours. Notre condescendance pourrait nous préparer bien des déceptions, bien des embarras. Nous nous exposerions à jouer le ròle d'un conciliateur placé entre deux parties irréconciliables. Nous serions en butte du còté d'un courant d'opinion, qui n'est certainement pas celui représenté par le Comte Andrassy, mais qui n'a pas moins de force en Autriche, aux colomnies de viser par la présence de nos troupes, à des intéréts tout autres que ceux dont nous n'avons cessé de nous montrer Ies partisans. On nous accuserait ou de refouler ou de favoriser les voeux des populations; quoique nous fassions, on l'interpréterait à mal d'un còté ou de l'autre. Notre désintéressement serait suspect; notre neutralité, extrémement difficile à maintenir, surtout si, dans l'intervalle, l'opinion publique en Italie entrait en ébullition camme à l'époque du Congrès de Berlin. D'ailleurs le terme d'une année pour la durée de la présence des contingents étrangers, me semble bien hypothétique. N'est-t-il pas à prévoir que, à l'expiration de ce terme, on aura à lutter contre les memes obstacles, à comprimer les memes tendances d'unification entre les pays situés au Nord et au Sud des Balkans? Tendances que la diplomatie russe aura le soin d'entretenir et d'accroitre, afin de reprendre en détails ce qui a été rayé des préliminaires de S. Stefano.

Dans ces conditions, il me semble qu'un esprit de sagesse et de prévoyance nous conseille de ne pas nous engager dans une situation qu'on peut comparer à un véritable guépier.

C'est à ce point de vue que je m'étais permis dans mon télégramme précité d'eméttre l'avis que il serait urgent de couper court par un non formel à toute illusion de nous entrainer dans cette voie.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 446. Vienna, 24 marzo 1879, ore 17,25 (per. ore 18).

Orczy vient de me dire que le Cabinet impérial a fait connaitre à Pétersbourg l'accueil favorable qu'il fait au principe d'occupation mixte, ajoutant qu'il se propose d'y participer. Andrassy a chargé Haymerle de communiquer cette réponse à V. E. ajoutant qu'il attacherait un grand prix à la coopération de l'Italie à faire accueillir de la meme manière par toutes les Puissances la proposition russe.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 450. Parigi, 25 marzo 1879, ore 13,50 (per. ore 14,55).

J'ai lieu de croire que V. E. va recevoir sous peu de jours des mains du marquis de Noailles réponse à votre dépeche concernant les juifs de la Roumanie (3) dont j'ai donnée copie à Waddington. Il parait qu'on vous trouve

bien pressé de reconnaitre la Roumanie, et l'on craint toujours qu'après tout elle ne tienne pas ses engagements. Inquiets fort peu ici de l'occupation mixte de la Roumélie orientale. En tout cas l'on est bien décidé à laisser faire sans donner un seui soldat, sans y prendre part en aucune façon. Quant à la médiation au sujet de la frontière turco-hellénique, l'on est d'avis que la Porte ftnira par céder aux conseils et aux désirs des grandes Puissances. On considère comme impossible qu'elle refuse d'y adhérer. J'espère étre en mesure de vous dire demain si ces nouvelles sont exactes. En attendant, je vous les donne très probables.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, AL MINISTRO AD ATENE, MAFFEI

D. 187. Roma, 25 marzo 1879.

Con telegramma del 15 di questo mese (l) ho già risposto a quello che la S. V. Illustrissima mi aveva spedito, il giorno precedente (2), in seguito ad esplicita richiesta del Signor Comoundouros. Pervenutomi ora il rapporto di Lei in data dello stesso giorno 14, n. 302 (3), nel quale le sue conversazioni col Presidente del Consiglio e col Ministro degli Affari Esteri sono più diffusamente riferite, non posso, non di meno, che confermare ciò che ebbi ad esporre nel mio telegramma del 15.

Le informazioni che in questi ultimi tempi ci sono pervenute, anche da fonte tale che noi dobbiamo reputare strettamente imparziale, mostrano che nella questione della rettificazione del confine turco ellenico è implicato un vero e proprio interesse italiano; l'interesse, cioè, che noi abbiamo a che lo smembramento dell'Epiro possa suscitare, da parte dell'elemento albanese complicazioni che, mentre nuocerebbero alla causa della Grecia, potrebbero altresì condurre a conseguenze che noi dobbiamo cercare, possibilmente, di evitare. Una insurrezione nelle regioni che ci stanno di fronte sull'Adriatico e l'anarchia che necessariamente ne deriverebbe, costituirebbe per noi un pericolo manifesto. Basti accennare agli attriti che potrebbero seguire nei nostri rapporti coll'Austria-Ungheria e che, quando non avessero effetto peggiore, avrebbero pur sempre quello di indebolire la nostra posizione di grande Potenza nel concerto europeo.

Queste considerazioni, attinenti ad un interesse che ci è affatto speciale, e che possono invece essere indifferenti agli occhi delle altre Potenze, ci impongono una grande cautela. Per questo appunto desiderammo avere notizie precise e sicure circa le vere disposizioni degli animi in Epiro e ne affidammo l'incarico al Cavalier De Gubernatis conoscitore di uomini e cose in quel paese, pratico degli idiomi che ivi si parlano, e la benevolenza del quale per la causa ellenica non potrebbe revocarsi in dubbio. Sta però un fatto che le indicazioni da questi fornitici sono ben lungi dallo escludere le nostre preoccupazioni.

Ci consta che la Francia sta scambiando con l'Inghilterra le sue idee circa le proposte che eventualmente dovrebbero formare il soggetto di un accordo tra le Potenze per la rettificazione del confine turco-ellenico. Volendo partecipare a questo lavoro iniziale, ci parve utile che da codesto Governo ci fossero forniti gli elementi atti ad illuminare il nostro giudizio. Così Le telegrafai il 15, ed ora siamo lieti che il Signor Comoundouros, secondo ché la S. V. ha testé telegrafato (l). si proponga di svolgere la questione in apposito documento nell'atto stesso in cui si rivolge alle Potenze invocandone la mediazione.

Accanto a questa che è quistione sostanziale, si presenta pure una questione preliminare di procedura alla quale accennai nel mio telegramma del 15 di questo mese. Trattasi cioè di sapere se la Turchia possa essere costretta a sottomettersi alle risoluzioni delle Potenze mediatrici. Non si potrebbe, stando alla lettera del Trattato di Berlino, dissimulare che lvi si è solo trattato dell'offerta di una vera e propria mediazione. Anzi dagli atti del Congresso risulta che la Turchia non ha voluto accettare questa pacifica forma d'intervenzione collettiva. Che cosa Intenderanno di fare le Potenze nel caso in cui la Turchia mantenesse il rifiuto categoricamente opposto dai suoi Plenipotenziarii a Berlino?

Prima di esaminare con quali intenti ed entro quali limiti avrebbe ad esercitarsi la mediazione europea, pare a noi che questa questione pregiudiziale debba essere esaminata e risoluta in guisa che sovra di essa siano anticipatamente concordi tutte le Potenze mediatrici. Resterebbe infine ancora a vedere se alla mediazione tutti i governi siano disposti a dare altra efficacia all'infuori di quella puramente morale che potrebbe risultare dall'accordo unanime dei Gabinetti. Ma anzitutto noi opiniamo che di questo accordo converrebbe avere la certezza, poiché, in caso diverso, l'autorità dei mediatori potrebbe trovarsi esposta a spiacevole disinganno.

Tali sono gli intendimenti nostri rispetto all'argomento che con ragione tiene costì preoccupati gli animi. Vorrei che la S. V. Illustrissima ne porgesse schietta e cordiale spiegazione a cotesti Ministri, i quali si persuaderanno certo che la nostra ponderazione procede anziché da tepidezza d'animo verso la Grecia, dal desiderio di far opera sicura e praticamente utile, così a codesto paese, come alla causa generale della pace.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, TORNIELLI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY

D. 793. Roma, 26 marzo 1879.

Sono grato assai all'E. V. delle interessanti informazioni fornitemi col pregiato rapporto del 19 di questo mese, n. 2274 (l) intorno agli intendimenti di codesto Governo di fronte alla presente situazione. Come questa accenni a svolgersi apparisce oramai più chiaramente. Posto che, come molti indizi lasciano supporre, il Conte Schouvaloff siasi recato a Pietroburgo con un suo speciale programma, consta che le idee sue hanno ottenuto il sopravvento nei consigli dell'Imperatore.

Per quanto concerne il progetto di una occupaz:one mista nella Rumelia Orientale, già ci consta, per notizie positive avutene da Vienna e da Londra, che così l'Austria-Ungheria come l'Inghilterra sono, non solo assenzienti al progetto, ma disposte a partecipare al corpo di occupazione. La Germania in vece, così mi ha telegrafato V. E. (2), ha bensì assentito al progetto, ma non vuole pigliare parte alla occupazione. Tale astensione ci sembra assai deplorevole. Imperocché, anche in questa circostanza il contegno del Gabinetto di Berlino favorisce, indirettamente almeno, il progetto che si attribuisce all'Austria-Ungheria di condurre le cose in guisa da far mutare il progetto di occupazione mista in un secondo mandato europeo, che le darebbe il modo di far penetrare in Rumelia le sue truppe con poca spesa e col consenso, anzi con la preghiera delle altre Potenze.

IL CONSOLE GENERALE A SMIRNE, DE GUBERNATIS, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 5. Janina, 26 marzo 1879 (per. il 3 aprile).

Come già ebbi l'onore di annunziarglielo, giunsi qui percorrendo una buona parte dell'Epiro Orientale ad eccezione dei distretti che confinano alla Grecia nei quali la mia presenza sarebbe stata troppo osservata e avrebbe dato luogo a false interpretazioni che stimai prudente di evitare. Ciò non ha impedito che mi precorresse in Janina la voce che io avevo visitato quelle parti e che il mio viaggio era diretto a studiare o meglio a fissare i nuovi confini da accordarsi alla Grecia. Giunsi quindi con una riputazione di semiostilità alle domande degli Elleni, riputazione che mi sono studiato di modificare alquanto nei pochi giorni corsi dal mio arrivo qui, rendendo in parte ostensibili i miei lavori geografici già ben noti in Epiro e facendo più o meno persuasi gli abitanti che io non avevo altro scopo fuorché di completare i miei studi e dicendo ch'io avevo deciso di astenermene d'ora in poi, nel vedere i falsi giudizii che si facevano correre sul mio conto. Il viaggio fatto fu in realtà sufficiente a chiarirmi di molte cose ed a confermarmi su per giù nel concetto che mi ero formato di queste popolazioni. Io non ho percorso che località Elleniche od ellenizzate e fui a Janina in contatto con abitanti di altre consimili località, abitanti che hanno piena fiducia in me e mi dissero l'animo loro senza restrizioni. Ripeto che non vi è grande entusiasmo per la Grecia; nei villaggi vicini ad Arta, in Giumerika, a Lacca, a Janina, si osservano diverse gradazioni di colori, diversa vivacità di sentimenti, ma dovunque si preferirebbe l'autonomia all'annessione e in pochi luoghi si prenderebbero le armi per sostenere

<< 11 R. Governo facendo tesoro del risultato delle sue sagaci osservazioni circa le tendenze di codesto Governo per rispetto alle cose orientali, ha potuto constatare con soddisfazione che tra esso " l'E. V. esiste una perfetta uniformità d'idee, la quale non potrà se non conferire alla salvaguardia del decoro e degli interessi del nostro paese».

la Grecia. Se questa Potenza penetrasse in Epiro con una grossa armata, se portasse con sé armi e denari, se dichiarasse la guerra in ispecie ai soli albanesi senza intervento del Governo Turco, ossia dietro sentenza dell'Europa di cedere alla Grecia i confini di Berlino, malgrado le proteste dell'Albania, si solleverebbero certamente i villaggi di Lacca (alte valli del Luro, del Mavropotamos, e degli affluenti di sinistra del Calamas) si solleverebbero pure i villaggi di Agmfa e di Giumerica (Aspropotamos ed Arta) e potrebbero dare un concorso massimo di cinque a seimila fucili; assisteremmo allora ad una lotta orribile, a rapine, ad incendii, a rappresaglie crudeli di ogni genere, senza poter prevedere da qual parte penderebbe la vittoria e con l'assoluta rovina dei paesi che la Grecia verrebbe a liberare. In quello stesso trambusto rimarrebbero inermi i villaggi prossimi a Janina, dove l'entusiasmo guerriero non è diviso da alcuno; molti abitanti esternano fin d'ora una decisa antipatia verso il regno di Grecia che chiamano piccolo, povero e vanitoso. Chi ami gli Elleni non può adunque assecondare tali tendenze bellicose che non sono divise fuorché dalla gioventù e da gente che nella lotta non ha nulla da perdere; nella massa la popolazione ragiona; vede il pericolo e preferisce il temporeggiare al correre; quando l'occasione si è presentata ho detto ai più caldi che, l'Europa essendosi poco men che spontaneamente occupata di loro a Berlino, non doveva venir meno in essi la fiducia in quel consesso e nei sentimenti di giustizia che lo animarono; precipitar le cose e tentar da sé ciò che l'Europa può accordar loro senza versamento di sangue, mi pareva un errore; rimanessero tranquilli e aspettassero il verdetto dell'Europa che non poteva non essere conforme ai veri interessi delle popolazioni di cui sposò in parte la causa. Questi miei ragionamenti compresi e ben accolti dai più, non lo sono ugualmente dalla gioventù greca di Janina la quale prende l'imbeccata dal Consolato Ellenico; in una visita fattami dal Console Generale Greco col suo Vice Console, quest'ultimo mi disse che dove sono Cristiani in Turchia tutti aspettano dalla Grecia la loro redenzione, tutti sono Elleni in fondo all'animo; gli lasciai la sua convinzione, ma mi persuasi, dietro parecchie informazioni avute che qui si lavora apertamente a crescere l'entusiasmo, ad eccitare le quiete popolazioni alla guerra, od a manifestazioni d'ogni genere, ed a tale lavorio si adopera in ispecie il Console Ellenico di Argirocastro esercitando la sua influenza su questi villaggi cristiani di quella valle tutti circondati di Albanesi. Io ignoro, se essi agiscano per motu proprio o per precise istruzioni ricevute, ma trovo tale condotta imprudente nelle circostanze attuali, poiché si prepara un conflitto inutile quando l'Europa pare tanto interessata ad evitarlo. Spera forse la Grecia di ottenere con l'armi ciò che dalle Potenze venisse loro negato? Questa illusione regna anche qui; ho sentito alcuni agitatori esprimere la certezza di vincere in una guerra fra la Grecia e la Turchia; essi vaiutano a 100 mila il concorso dell'armata greca, a 20 mila uomini quello degli Epiroti, dicono che la Turchia esce stanca e dissanguata da una recente guerra; che un pugno di Greci tenne testa molti anni all'Impero Ottomano sotto Mahmud, quando lo Stato era più forte e men povero di finanze; dicono che i loro fucili tirano più lontano dei Turchi; che degli Albanesi non si curano mentre un Greco conta per cinque Albanesi; che le truppe Turche morranno di fame, prima di ottenere il più piccolo vantaggio; con tali argomenti si cerca di metter un po'

di ardore guerriero negli animi generalmente calmi e apatici degli Epiroti, ma non si riesce a svegliare che gli abitanti di Lacca e Giumerika, dove il sangue è più vivo, dove esiste l'abitudine all'armi, dove sempre vi fu maggiore irrequietezza e amor di novità. L'errore è grossolano; la Turchia è uscita dissanguata dalla guerra, ma militarmente più forte; nel timore di un ritorno dei Russi verso Costantinopoli ha radunato nuovi battaglioni e si è preparata a nuova res~stenza; i numerosi battaglioni di Epiro si vanno giornalmente esercitando in manovre campali e le loro armi se non superiori valgono certamente le Greche. Ogni confronto fra le forze militari Greche e le Turche è derisorio; quelle so n truppe nuove ed inesperte, queste veterane ed agguerrite; i Greci dovranno esser nutriti a spese del loro Governo. I Turchi si nutriranno a spese dei villaggi Cristiani; i generaH non possono esser migliori nell'uno che nell'altro campo; i centomila uomini della Grecia (che non figurano finora se non sulla carta) possono trovarsi di fronte duecentomila Turchi, se Grecia e Turchia restano isolate. È pure errore il far buon mercato degli Albanesi; ho già detto altrove la loro forza, il loro amore di battaglia; ed io credo che a forze eguali, senza la Turchia, gli Albanesi vincerebbero i Greci, o per lo meno lascerebbero lo,ro un deserto, il che non può tornare a conto di un regno che aspira a questi paesi per migliorare la sua situazione economica.

Se l'Europa vuol favorire eccezionalmente la Grecia e contentarla, prenda come base H tracciato di Berlino e trasporti in Tessaglia, ciò che si nega in Epiro; faccia pressione sulla Turchia perché l'intiera valle della Selimbria sia accordata al regno di Grecia, e in Epiro si limiti la cessione alle alte valli dell'Aspropotamos e dell'Arta; l'abbandono della città di Arta stessa è possibile ed io mi farei forte di condurre su tal punto a persuasione gli Albanesi; non così posso dire di Janina e di Prevesa che gli Albanesi non intendono di abbandonare a qualunque costo, poiché vi possiedono quasi tutte le terre e le considerano come porto indispensabile al basso Epiro la seconda, come centro della bassa Albania la prima. I Turchi pretendono che Volo è l'unico porto della Tessaglia, e lo è in realtà; perciò vogliono conservarlo a vantaggio, se non di Larissa, almeno di Turnovo e d'Alassona, ma quei villaggi oltrecché possono continuare a servirsi di Volo, potranno pure rivolgersi a Salonicco che non è molto più distante. Del resto alla lunga la Tessaglia loro sfuggirà certamente quello è senza alcun dubbio paese Greco per eccellenza; gli Albanesi vi rimangono indifferenti; i Valachi vi sono Ellenizzati; la questione si riduce adunque fra Grecia e Turchia e tosto o tardi si scioglierà in favore della prima; l'Europa potrebbe precipita,rne la soluzione oggi e mostrar cosi la sua ferma intenzione di evitar conflitti, girando le difficoltà. In Epiro i dritti della Grecia sono meno precisi; deve i medesimi men che all'unità di razza alla influenza della civiltà Ellenica, cominciata fin dall'ottavo secolo prima dell'era volgare, continuata con rapida estensione a quasi tutto l'Epiro fin dopo l'epoca Macedone, stazionaria sotto i Romani, ridotta a più stretti confini sotto il basso Impero per la nuova discesa dei Toschi al Sud, rinvigoritasi infine da un secolo a questa parte collo sviluppo degli studj. Il dire oggi che tutti i Cristiani sono Elleni è un errore; è pur anche errore il dire che sono Elleni coloro che parlano abitualmente il Greco; in Epiro abbiamo gli Epiroti, divisi in Greci, Valachi ed Albanesi, come lingua; in Cristiani e Musulmani, come religione; ma in fondo sono un popolo solo con iscarse simpatie verso l'Ellade come scarse ne aveva nella stessa epoca in cui l'influenza Ellenica letteraria e religiosa aveva abbracciata l'intiera provincia. La Grecia adunque non può vantare su questi luoghi uguali diritti a quelli che vanta in Tessaglia e l'Europa se n'è meno occupata dal punto di vista del regno di Grecia che da quello più generale dell'ellenismo e da quello particolare di queste stesse popolazioni. Qualunque parte d'Epiro si dia alla Grecia essa deve tenersene contenta poiché le si dà ciò che non ha mai posseduto; la sola valle dell'Aspropotamos può considerarsi come parte integrante del regno, poiché ad esso appartiene fin d'ora la metà del corso di quel fiume. Se vi si aggiungerà la valle dell'Arta, coi villaggi ricchi e numerosi di Giumerika, avrà un confine strategico ad un tempo e un vasto tratto di paese fertilissimo, e già sufficientemente guadagnato alla civiltà Ellenica, poiché non vi si parla, fuorché a Metsovo, Sirako e Calarites, né una parola di Albanese, né una di Valaco. La causa dell'Ellenismo avrà guadagnato un numero di popolo uguale a quello sperato a Berlino; avrebbe infatti la Grecia 200 mila abitanti in Tessaglia (fino alla Selimbria) o 350 mila O'intiera Tessaglia); avrebbe in seguito un terzo del tracciato d'Epiro, ossia 70 mila abitanti; come superficie si arriva alle stesse cifre. A Berlino infatti si cedettero 25 mila chilometri quadrati e 450 mila abitanti seguendo il massimo del tracciato.

Dal punto di vista delle popolazioni Elleniche di Epiro, o meglio Ellenizzate, convien tener conto delle loro vere aspirazioni; ora esse aspirano a veder migliorata la loro condizione; messa ai voti un'autonomia provinciale (come in Creta) e l'annessione alla Grecia, non vi ha ombra di dubbio che tutti sceglieranno l'autonomia; ho scandagliato anche in questi giorni i loro animi e posso assicurare l'E.V. che tale è il sentimento dominante; l'annessione è un rimedio estremo; presso molti è tenuta per rovinosa; né mancano nei Greci di Epiro, anzi son generali, quelle stesse tendenze che ho segnalato degli Albanesi, di gettarsi cioè in braccio di un altro stato forte qualsiasi. Però su ,queste tendenze vi è poco a contare; hanno presso gli Albanesi maggior valore che presso i Greci e non sarebbero che un pis-aller, come per moltissimi è un pis-aller l'annessione al regno di Grecia. Quello che è certo si è che riuniti che saranno a quel regno gli Epiroti Elleni si lagneranno sulle prime, poi indolenti e indifferenti si rassegneranno alle maggiori imposte, al servizio militare e finiranno per concorrere con lo stato all'allargamento dell'Jnfluenza Ellenica sulle altre parti d'Epiro. Data tutta la valle dell'Arta, i confini sarebbero a soli dieci chilometri da Janina e questi luoghi vivrebbero in un'agitazione continua; per queste ragioni i Turchi vorrebbero pur cedendo una parte di quella valle, tenersi ad una maggior distanza dal capoluogo; certo non vi sarebbe opposizione degli Albanesi a spingere tanto in su il confine, ma il Governo turco si preoccuperebbe seriamente di un vicinato così pericoloso e dovrebbe trasferire altrove il capoluogo della provincia.

In riassunto dare Janina è soddisfare la Grecia al di là di ogni sua aspettazione, poiché è darle un centro d'influenze che già si esercitano sulle parti settentrionali dell'Epiro; Janina ha le sue radici, o per meglio dire è la gran radice da cui le influenze ellen!che si vanno stendendo al Nord; per gli Albanesi è piuttosto un tronco od un ramo necessario; pei Greci, è il centro di Epiro ed avutolo nelle mani certo avranno nelle mani un'azione libera e continua a settentrione ed a ponente; dare Janina è dunque cedere fin d'ora l'Epiro intiero e si comprende perché gli Albanesi siano ostili a tale cessione sebbene Janina non sia un centro Albanese. Essi si considerano Epiroti ad un tempo ed Albanesi e in questa città sanno che prende mossa la vita che poi si va spandendo in tutta la provincia.

Dare d'altronde la valle intiera dell'Arta e portare i confini a dieci chilometri da questo capoluogo è cosa che deve ugualmente preoccupare i Turchi, senza soddisfare i Greci dell'Ellade; il conflitto sarebbe preparato anziché allontanato; a mio avviso però costituirebbe pel regno di Grecia una concessione larghissima e gli offrirebbe il mezzo in breve volger di tempo di varcare il basso confine ed avanzarsi al Nord; l'Albania meridionale sarebbe ugualmente perduta per gli Albanesi, sebbene essi non sembrino finora avvertire il pericolo. Io ignoro le idee dei Gabinetti Europei; ignoro sino a qual punto arrivino le simpatie per la Grecia o qual preciso favore goda l'idea dell'Ellenismo; constato solo che concessi quei limiti l'Ellenismo avrà fatto un grandissimo passo innanzi, anche se la pianura di Janina resta fuori del confine.

Taccio delle mie particolari apprezzazioni sull'opportunità di tali concessioni; non voglio mostrarmi proclive né agli uni, né agli altri; l'incarico avuto me lo vieta; la verità è questa che la cessione di Janina produrrà la rivolta degli Albanesi; che la cessione di tutta la valle dell'Arta la eviterebbe forse, ma è considerata pericolosa dai Turchi e sarebbe vantaggiosissima ai Greci; che i villaggi di Lacca ne rimarrebbero esclusi e s'intenderebbero facilmente col nuovo regno per creare disordini in Epiro; che la questione non che sciolta entrerebbe in una fase più acuta e produrrebbe vicini scoppii che forse è utile di evitare. Partendo dal punto di vista di assicurare una lunga pace a questi paesi, crederei che converrebbe dar l'intiera Tessaglia alla Grecia più la valle dell'Aspropotamos dalle sorgenti in giù e dare invece al rimanente Epiro un reggimento speciale sotto la tutela dell'Europa, sul genere di quello che vige al Libano, in Creta o nella Rumelia Orientale; l'incidente Albanese sparirebbe, l'Ellenismo continuerebbe ad esercitar pacificamente le sue influenze, la Grecia avrebbe la più bella provincia della Turchia e confini perfettamente strategici, la Turchia perderebbe su per giù i 25 mila chilometri quadrati del tracciato di Berlino, i Cristiani d'Epiro plaudirebbero tutti a tale decisione dell'Europa perché vedrebbero migliorata la loro condizione che è il supremo dei loro voti. Se nell'andar del tempo l'autonomia in Epiro produrrà una crescente influenza Ellenica l'annessione al regno di Grecia si farà allora senza urti e senza conflitto.

Perdoni ora l'E.V. lo scucito di queste mie riflessioni; gli scarsi comodi che mi circondano, le visite che ricevo, la varietà dei discorsi che mi si tengono mi vietano di far meglio; sebbene disordinato il mio scritto esso contiene apprezzazioni esatte; è stato sempre mio studio, lo è specialmente oggi, quello di sfuggire alle impressioni locali e di giudicar delle cose senza passione alcuna; né la verità in altro modo si percepisce; sono lieto del resto nel vedere che il mio giudizio di tre anni e mezzo fa non si trova considerevolmente alterato dalle nuove circostanze; vi è certo un carattere un po' più spiccato nelle manifestaizoni ed aspirazioni odierne, ma posso sempre ripetere ciò che già dissi, cioè che il popolo è freddo e calmo anche nè suoi presenti entusiasmi, che regna il malessere e l'aspirazione ad un meglio qualsiasi senza calde simpatie per la Grecia, senza un accordo di tutti in un dato scopo, che l'Epiro è diviso in regioni diverse poco simpatiche le une alle altre, che non vogliono saorificare all'incerto, che senza eccessivi stimoli, senza l'arrivo di migliaia di truppe regolari Greche, nessuno si muoverà e pochi anche in quel caso si muoveranno. Vi è poco amore per gli Albanesi, più odio anzi che amore, ma non vi è tale odio da render desiderata e generale la lotta. L'E.V. potrà forse dalla mia descrizione, qualunque essa sia, trame argomento a tutelare questi paesi, a secondarli nelle giuste loro tendenze, a far bella la parte dell'Italia nella pacificazione dell'Oriente.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 1030. Vienna, 27 marzo 1879 (per. il 1° aprile).

Col mio rapporto di je,ri n. 1028 (l) mi permetteva richiamare in anticipazione tutta l'attenzione del R. Governo sulle guarantigie a prendersi a tutela del nostro decoro e dei nostri materiali interessi, ove la nostra cooperazione all'occupazione mista in Rumelia Orientale venisse ad effettuarsi.

Fra le questioni relative a tale ordine d'idee, di cui mi preoccupava nel ciò scrivere, emergeva in prima linea quella riflettente il luogo d'uno sbarco del nostro contingente, essendo di somma necessità che questo sia di natura ad afferirei una buona base per tutti i servizi necessari a colà stabilirsi, per soddisfare alle necessità di vario genere del nostro piccolo corpo di spedì

zione. In verità, considerando astrattamente la cosa, avrei desiderato la scelta fosse caduta per noi sul porto di Salonicco, che oltre ai suoi vantaggi marittimi ne avrebbe pure p["esentato dei non indifferenti dal punto di vista politico. Ma Salonicco non è direttamente collegato con una linea ferroviaria col Paese dove le nostre truppe sarebbero chiamate a stanziare e quindi ciò presenterebbe un inconveniente grave non equilibrato dai vantaggi che se ne avrebbe. Di necessità quindi converrebbe fa,r capo a Costantinopoli come luogo di sbarco, la ferrovia potendo da quella capitale portare sopra luogo direttamente non solo le nostre truppe ma tutto ciò che successivamente sarà per occorrer loro.

A questo proposito devo riferire all'E.V. che di questa auestione del luogo di sbarco dei varii contingenti, già il Conte Andràssy deve essersi occupato nei suoi preliminari scambii d'idee con altri Gabinetti. Ciò mi risulterebbe da una conversazione che ebbi jeri sera con un mio collega, che infatti accennavami, siccome cosa già ventilatasi, che il contingente Inglese e quello Italiano sbarcherebbero a Costantinopoli, mentre che il contingente Russo potrebbe avere per base di operazione un porto del Mar Nero. Del contingente Austriaco non occorre parlare, le strade per vie di terra non facendogli difetto, tutte quelle che mettono dalla Bosnia in Rumelia Orientale essendo di particolare convenienza politica del Gabinetto di Vienna, senza contare che potrebbe forse anche scegliere la via di mare sbarcando a Salonicco, il vantaggio pei suoi scopi ulteriori che da ciò trarrebbe, compensando largamente gl'inconvenienti: questa però è esclusivamente supposizione mia. Ma non volendosi occupare degli altri e solo pensare a noi, è evidente che se dovessimo aver comune cogli Inglesi la base d'operazione a Costantinopoli, converrebbe far patti ben chiari e precisi con essi, ond'essere assicurati di trovarci sempre con loro sullo stesso piede, tanto in Costantinopoli per quei servizi militari che di necessità converrebbe colà stabilire, come per l'ingresso e lo stanziamento delle nostre navi da guerra e da trasporto nel Bosforo e così pure per l'uso della ferrava. Siccome, ove la nostra cooperazione alla occupazione mista venisse decisa, potrebbe esservi urgenza nello stringere gli accordi preliminari, cosi ho creduto non dover differire a far cenno fin d'ora di questa questione speciale a malgrado che i successivi eventi possono benissimo tog1iergli ogni ragione d'essere.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, NIGRA (4)

D. 341. Roma, 29 marzo 1879.

Con dispaccio del 21 di questo mese n. 338 (5) comunicai a V. E. un telegramma di cui questo Ambasciatore di Russia mi aveva rimesso copia, e nel quale, in contemplazione delle cond:zioni speciali in cui verse·rebbe la Rumelia Orientale, il Gabinetto di Pietroburgo enuncia tre proposte delle quali la più importante consisterebbe nel progetto di una occupazione mista in quella provincia.

Il progetto di una siffatta occupazione e le probabili conseguenze che ne scaturirebbero, formarono, da parte del R. Governo, il soggetto di serio e ponderato esame.

L'Italia non può scordare che gli interventi stranieri furono, il più delle volte la causa determinante di uno stato di cose anormale e irregolare. Spesso

l'effetto ne fu di rendere permanente tale un regime, che riusciva a ben poco onore pei Governi e a ben poco benefizio pei popoli. Una politica di intervento, in se stessa considerata, non potrebbe quindi incontra,re favorevole accoglimento presso il Gabinetto di Roma. E, qualora una necessità assoluta ne giustificasse in un determinato caso la adozione, il Governo del Re dovrebbe dichiarare anticipatamente non potere egli accettare, che sotto ogni riserva, così per il presente come per l'avvenire, una deroga ai principii che sono da noi professati in questa materia.

Il Governo di Sua Maestà doveva inoltre, in presenza della proposta russa, chiedere a se stesso se il Congresso di Berlino non avesse già preveduto il caso in cui una forze armata dovesse essere chiamata per fare rispettare, nella Rumelia Orientale, le decisioni dell'Europa. Il Trattato del 13 Luglio contempla, all'art. 16, il caso in cui fosse per trovarsi minacciata la sicurezza interna od esterna della Provincia. L'applicazione letterale del Trattato, avrebbe potuto, per più di una ragione, apparire preferibile al pensiero di risuscitare una mozione che consta bensì essersi agitata nella quinta seduta del Congresso ma rispetto alla quale non fu presa, secondoché si scorge dai Protocolli, deliberazione alcuna.

D'altra parte, però, il Governo del Re annette troppo grande pregio alla esecuzione integrale del Trattato di Berlino, perché possa rifiutarsi a prendere in considerazione ciò che vi ha di veramentR eccezionale nella situazione di un paese che i vittoriosi eserciti dell'invasore sono in procinto di sgombrare, e al quale l'Europa volle guarentita una amministrazione autonoma di cui importa assicurare la pacifica attuazione. Imperocché soltanto con l'applicazione leale di tutte le clausole del Trattato di Berlino si possa sperare di sfuggire al pericolo che si riaffaccino contingenze pericolose per la pace di Europa, e di conservare per tal modo piena efficacia all'opera concordata in comune tra le Potenze.

Egli è solo per l'effetto di queste considerazioni che il Governo del Re è venuto nella opinione che il suo assenso, in massima, al progetto di occupazione mista nella Rumelia Orientale, non sarebbe per costituire un precedente che possa essere invocato nel caso in cui torbidi interiori fosse~o per scoppiare in altre province dell'Impero Ottomano, e che rinvio di un contigente misto, di truppe appartenenti alle sette potenze firmatarie del Trattato di Berlino, sarebbe per corrispondere all'interesse d'ordine generale che si connette con la esecuzione leale e completa di questa stipulazione internazionale.

Col mio telegramma di stamane (l) ho adunque pregato l'E. V. di voler dichiarare a S. A. il Cancelliere dell'Impero che si è per questi motivi e sotto la riserva che ne emerge, che l'Italia accetta, in massima, la proposta di una occupazione mista nella Rumelia Orientale, ed è pronta ad esaminare ciò che concerne i modi e i mezzi di esecuzione di questo progetto come pure le condizioni che dovrebbero, a nostro avviso, formare la base degli accordi da prendersi, a tale riguardo fra tutte le Potenze (2).

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, TORNIELLI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, DE LAUNAY, A LONDRA, MENABREA, A PARIGI, CIALDINI, A PIETROBURGO, NIGRA, E A VIENNA, DI ROBILANT

T. 178. Roma, 31 marzo 1879, ore 14.

La Grèce a fait appel à la médiation des Puissances sur la base de l'art. 24 du traité de Berlin. Veuillez m'informer de l'accueil que cette demande a trouvé auprès du Gouvernement... (3).

IL CONSOLE A JANINA, DE GOYZUETA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 4. Janina, 31 marzo 1879 (per. il 10 aprile).

Da persona degna di fede mi viene riferito questa mane quanto è stato confidenzialmente comunicato alla stessa, da due Bey albanesi venuti da Argirocastro.

Venti giorni or sono i due partiti Albanesi si riunirono per agire d'accordo eccettuatone pochi individuj fra i quali, taluni per essere impiegati del Governo non vollero prendervi parte, ed altri per aver i loro poderi in Tessaglia nella tema di dubbj avvenimenti ,rimasero neutri. A questa lega presero pure parte i Cristiani della media Albania e la metà delle popolazioni miste dell'Alta Albania perché la propaganda Austriaca ha già cominciato ad att·rare a sé l'altra metà per le sue mire di possedere l'Albania e di aprirsi la via a Salonicco. Invece i Cristiani della Bassa Albania, i quali sono costantemente eccitati dal Vice Consolato Greco in Arg,irocastro per abbandonare la causa Albanese ed abbracciare quella de' Greci, vennero messi da parte nella tema ch'essi non agissero poi contro la lega.

La fusione di questi partiti venne fatta a condizione che la missione venisse affidata ai soli:

Mehmet Aly Bey, uomo di carattere costante e fermo nelle sue idee. Abdul Bey uomo d'incostante carattere e di molte parole venne ammesso per essere parente dell'Ambasciatore Turco a Roma. Mustafa Bey figlio di Ahmet

Pascià, il quale venne imposto da' Gianinesi Turchi non tanto per la sua capacità quanto per la sua [nfluenza su questa popolazione musulmana, proveniente dalle sue ricchezze.

Per conseguenza fattasi l'unità de' partiti venne formato un cons'glio di 30 de' p:ù influenti Albanesi, i quali poi sette giorni or sono in una riunione affidarono il mandato d'agire ai tre suddetti individuj, ai quali remisero pure il programma da presentarsi alle Potenze che in succinto suona come appresso:

«Noi Albanesi di fronte al nostro Governo ed alle Potenze Europee protest;iamo contro lo smembramento della nostra nazione, vale a dire che non si ceda alla Grecia né Prevesa né Arta nè Janina, perché altrimenti saranno causa di una guerra accanita fra l'Albania e la Grecia fino a versare la loro ultima goccia di sangue e l'ultimo uomo per la patria».

Con questo programma adunque questi tre mandatarj partirono Venerdì passato per l'Europa. Tale programma è stato fatto noto al Governo Turco, il quale naturalmente desidera e nello stesso tempo appoggia che gli Albanesi facciano noto all'Europa le loro ragioni perché non sforzi la Turchia a cedere le dette città. Ma lo scopo occulto di questi tre mandatarj principalmente di Mehmet Ali Bey ed Abdul Bey puri albanesi si è di pregare e nello stesso tempo di dimandare il sostegno o della Francia o dell'Italia, alla quale le popolazioni della Bassa Albania Musulmana e la maggior parte Cristiana, come pure quelli della media e la metà dell'Alta Albania perché come si è già detto l'altra metà è stata già influenzata dalla propaganda Austriaca, alla quale Italia dico nutrono rispetto, amore e simpatia dal più alto Bey sino all'ultimo pastore.

Se i suddetti mandatarj avranno un accoglimento favorevole al loro scopo dichiareranno in seguito o l'unione dell'Albania all'Italia o di formare un Principato sotto la protezione di essa e della Francia o di amendue. Mentre costoro col detto programma partirono per l'Europa, il Governo locale ha mandato in Albania due plenipotenziarj, uno Turco e l'altro Cristiano per domandare alle popolazioni Musulmane e Cristiane albanesi quali siano i loro lamenti: esse debbono esporli in iscritto coi loro suggelli (firme) onde il Governo Turco possa soddisfare le loro domande. A questo fu mosso con moltissima probabilità il Governo perché avrà subodorato il vero scopo occulto degli Albanesi (contro i quali presentemente il Governo Turco non vuol farsi vedere nemico) e vuole avere delle firme dalle popolazioni musulmane e Cristiane Albanesi nel caso che i capi facessero delle rappresentanze all'Europa per attenerne la protezione. Si è allora che il Governo Turco dal suo canto presenterà all'Europa tali firme e con tal mezzo addimostrarle che pochi sono quelli che domandano la protezione Europea e che la popolazione in generale è fedele alla Turchia.

Sette giorni or sono nelle parti tra Grevenà e Hascia una masnada di 50 briganti ebbe una zuffa di otto ore coi soldati imperial,i, sotto il comando del maggiore della Polizia di Janina, che erasi recato per inseguire il brigantaggio e durante il combattimento fu ucciso il suddetto maggiore con sei soldati (1).

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, AL MINISTRO AD ATENE, MAFFEI

D. 194. Roma, 1° aprile 1879.

Benché io abbia già avuto a più riprese, in questi ultimi giorni, la opportunità di esprimerle il pensiero del R. Governo anche rispetto alla procedura da seguirsi in ordine alla questione turco-ellenica, reputo conveniente di soggiungere alcuna avvertenza in relazione soprattutto con le cose riferitemi da V. S. col rapporto dell'll marzo n. 301 (l).

Il contegno che il R. Governo ha assunto, così a Costantinopoli come ad Atene, fu sempre identico. Alla Grecia, come alla Turchia noi abbiamo sempre consigliato di cercare, mediante trattative dirette, i termini d'un pacifico accordo. Oramai ella ben conosce per quali ragioni a noi, probabili futuri mediatori, non sembrava lecito di precorrere con premature manifestazioni il giudizio di merito che si avrà a pronunciare circa una controversia riservata dal Trattato di Berlino al giudizio delle Potenze.

In questioni così gravi e delicate si susseguono fasi o periodi che importa non confondere fra di loro se vuolsi conservare la speranza di condurre le cose a buon porto. Così al periodo delle trattative dirette dovrà ora succedere quello degli accordi da prendersi fra gli stati mediatori; e prima di tutte, in questo periodo, si affaccerà la questione se, nel caso di rifiuto per parte della Turchia, di sottomettersi alla vera e propria mediazione nel senso giuridico della parola, l'Europa vorrà imporre ciò che la Porta ricusa.

Queste questioni possono tradursi in difficoltà serie, che sarebbe vantaggioso per tutti eliminare. Noi non possiamo, disconoscendone l'importanza, credere di averle preventivamente risolute.

Quando un'intelligenza sarà stata possibile al riguardo, ma allora soltanto, verrà in discussione la qualità di territorio da concedersi alla Grecia. Noi

non abbiamo cessato di insistere, presso il Governo francese, perché egli stesso prendesse in considerazione la necessità di seguire un metodo che allontani il pericolo di vedere la mediazione autorevole delle potenze convertirsi nel troppo modesto ed inefficace esercizio di buoni ufficii. Questi sarebbero certamente accettati di buon grado dalla Sublime Porta, ma non con l'animo di sottomettersi alle risoluzioni dell'Europa.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 487. Vienna, 2 aprile 1879, ore 17,20 (per. ore 19,30).

Orczy m'a dit qu'Andrassy n'a pas encore pris en considération demande médiation Grèce (1), mais je crois qu'il ne la refusera pas. D'après son langage, j'ai compris cependant qu'Autriche ne prendra initiative à ce sujet. Il me résulte du reste que tant que accord pour Novi-Bazar n'est pas conclu, on n'entend pas ici compliquer situation avec la Porte par rapport frontière Grèce. Il m'a dit que commissaires délimitation Servie et Bulgarie partent ces jours pour Constantinople et m'a demandé si Gola est déjà remplacé, ce que j'ignore. Nous avons aussi causé question occupation mixte Roumélie.

Il résulte ici Angleterre préfère chaque contingent ait sa zone, tandis qu'Andrassy tient à ce que les contingents agissent en commun.

Je crois aussi avoir compris qu'il insiste à Berlin pour qu'Allemagne donne au moins commandant supérieur et état major commun. Dans le cours de la conversation Orczy a démenti projet autrichien faire passer ses troupes par Servie ou Novi-Bazar. Il a indiqué Enos comme point de débarquement en vue pour contingent autrichien, comme Burgas pour contingent anglais. Evidemment, j'ai tàché de faire parler mon interlocuteur sans exprimer aucune idée pour le compte de l'Italie.

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS (l)

R. 1450. Costantinopoli, 2 aprile 1879 (per. il 9).

Li 29 marzo venne a mie mani il telegramma (2) che l'E. V. mi faceva l'onore di rivolgermi per significarmi il R. Governo avere data un'adesione motivata e sotto riserva alla proposta Russa dell'occupazione mista della Rumelia Orientale.

Pei miei due telegrammi delli 28 dello stesso (3) avevo avuto l'onore di comunicare all'E. V. quello mi era stato dato di raccogliere in ordine a quella questione. Fu l'Ambasciata d'Inghilterra che, in seguito ad istruzioni ricevute dal suo Governo, aveva presa l'iniziativa d'intrattenere la Sublime Porta del progetto in discorso, ed interponeva i suoi caldi officii presso di questa e di S. M. il Sultano affine d'indurli ad accettare la proposta Russa. Il Consiglio dei Ministri deliberava lungamente sulla questione e veniva alla conclusione l'occupazione mista essere in contraddizione colle stipulazioni del Congresso di Berlino, doversi fare una controproposta. la Turchia manderebbe in Rumelia, od in certi punti lungo la frontiera, un numero limitato di truppe Ottomane affine di provvedere alle possibili contingenze, le Potenze sceglierebbero un Luogo-tenente Governatore che reggerebbe la provincia col concorso della Commissione Europea fino all'assetto della definitiva amministrazione. Questa deliberazione era indi sottomessa alla Maestà del Sultano, la quale degnavasi approvarla. La Sublime Porta formolava indi sopra di essa una circolare che spediva per telegrafo ai suoi Rappresentanti presso i Governi delle Potenze firmatarie del Trattato di Berlino. E l'E. V. avrà probabilmente avutane comunicazione da Turkhan Bey nella giornata di ieri.

* Il fatto della risoluzione presa dalla Sublime Porta prova quali siano le presenti disposizioni di essa in ordine alla proposta in discorso. La Turquie d'oggi contiene un'articolo del Vakit giornale turco che, entro certi limiti, è pure l'espressione delle tendenze di quella e viene quindi a confermare quella impressione. Esso dice che la popolazione bulgara dimostrasi assai avversa al progetto di un'occupazione mista, e, se le sue proposte non avessero il desiderato effetto, all'entrata delle truppe estere si velerebbero di nero le bandiere nazionali in segno di lutto. Unisco al presente l'articolo in discorso (l).

Malgrado queste manifestazioni io sarei piuttosto disposto a credere che se le Potenze rimangono d'accordo ad insistere presso la Sublime Porta nel senso dell'occupazione mista questa finirà per cedere *.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI

T. 183. Roma, 3 aprile 1879, ore 23,45.

N'ayant, en ce qui concerne le différend turco-hellénique, de parti pris et nous fondant sur les renseignements de nos consuls, nous ne saurions avoir des objections contre l'idée de M. Waddington de compenser en Thessalie la réduction que le programme de Berlin devrait subir en Epire. Contenue dans les limites i:ndiquées dans votre rapport du 15 mars (3), la nouvelle Ugne de démarcation entre la Turquie et la Grèce respecterait les susceptibilités de la race albanaise, écarterait le danger d'une revolte que entrainerait le pays dans l'anarchie et servirait au dernier lieu de prétexte à une occupation autrichienne.

Nous sommes donc intéressés directement à tout ce qui est de nature à écarter de pareilles éventualités. Si le tracé restreint que M. Waddington se propose de présenter, répond à ces idées et sauvegarde les intéréts que nous avons dans cette question, c'est avec le plus grand plaisir que nous nous associerons à la France pour prendre avec elle l'initiative de la proposition. Le Gouvernement anglais ne parait pas disposé à aller dans cette question jusqu'à la coercition vis-à-vis de la Turquie qui, de son còté, prendra courage à résister si elle devine la tiédeur avec laquelle les Puissances s'apprétent à aborder la solution de cette question.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, MENABREA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 252/226. Londra, 3 aprile 1879 (per. il 6).

*Confermando il mio telegramma di ieri n. 250 (1), ed in risposta al telegramma di V. E. del 29 marzo 1879 (2) ed al susseguente dispaccio dello stesso giorno (n. 561 Serie Politica) (2), ho l'onore d'informare l'E. V. che ie,ri partecipai al Marchese di Sallsbury che il nostro Governo aveva aderito, con riserve, alla proposta della Russia per la occupazione mista della Rumelia Orientale, e gli spiegai che tale adesione era del tutto conforme alla dichiarazione che·, dietro invito di V. E., io gli avevo già precedentemente fatta intorno a quella questione.

Il Nobile Lord colse l'opportunità per ringraziare nuovamente l'E. V. dell'appoggio ch'Ella, in questa occasione, dava al Governo della Regina, e m'informò, ad un tempo, che la Turchia si rifiutava di accettare la occupazione mista suggerita dalla Russia. La Porta adduce diverse ragioni per opporsi ad un tale divisamento, e sostiene che l'ordine non sarà turbato in quelle provincie, e che, ad ogni modo, dessa è in grado di mantenerlo. * (3)

Uno dei motivi principali che inducono il Governo Ottomano a respingere la occupazione mista, dissemi confidenzialmente il MarchE>se di Salisbury, è il vivo timore che si ha in Costantinopoli che l'Austria vog1ia valersi di questa opportunità per estendersi oltre i limiti della Bosnia e dell'Erzee:ovina, ed occupare anche Salonicco che, come si sa, è uno dei più vivi desiderii di quella potenza. Il rifiuto della Turchia però non può dirsi assoluto; ma quel Governo è esitante tra i timori d'ogni sorta, e non è in grado di proporre una soluzione decisiva e sodisfacente; il che agli occhi del Marchese di Salisbury è un triste sintomo di impotenza.

Intanto il linguaggio della Russia si dice essere sempre più altero e minaccioso e sembra che il Governo Britannico ne sia alquanto offeso, imperocché Lord Salisbury mi diceva con un sentimento di fierezza: «quando la Russia vedrà la flotta Inglese nel Mar Nero, smetterà forse alquanto le sue pretese».

Quando entrai a vedere il Marchese di Salisbury egli aveva già avuto successivamente la visita dell'Incaricato d'Affari di Russia e dell'Ambasciatore di Turchia; io li vidi poco tempo, e non mi parve che né l'uno né l'altro fossero portatori di proposte concilianti.

Debbo aggiungere, a titolo di semplice informazione, che il Daily Telegraph giornale bene informato, si fa telegrafare questa mattina da Vienna che il progetto di occupazione mista, quantunque non formalmente respinto dalla Porta, è stato però accompagnato da una contro-proposta che nulla ha da fare coll'invio di truppe straniere per mantenere l'ordine nella Rumelia Orientale.

Io credo utile di mandare a V. E. unitamente al presente rapporto, il detto telegramma (1), nel quale sono riferiti fatti di qualche rilievo e che, se fossero veri, sarebbero di natura a suscitare irritazione contro il procedere del Governo Russo.

IL CONSOLE GENERALE A SMIRNE, DE GUBERNATIS, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. S. N. Prevesa, 3 aprile 1879 (per. il 13).

Mentre giornali Greci ed Italiani continuano a biasimare l'attitudine dei Consoli Italiani in Epiro e la condotta politica del nostro Governo nella questione Turco-Ellenica, non mi sembra inutile di sottoporle le mie umili considerazioni sulla vera natura della quistione stessa e sul conseguente appoggio dell'Europa.

Tre possono essere i punti di partenza, l'uno l'Ellenismo in generale opposto allo Slavismo, l'altro la Grecia in particolare opposta alla Turchia, e bisognosa di un maggiore sviluppo nel suo proprio interesse, il terzo infine le popolazioni Elleniche od Ellenizzate soggiogate dai Turchi e non ancora rivendicate a libertà e degne per le lunghe sofferenze subite di aspirare a più prospero avvenire. II modo di trattare la quistione muta a seconda del punto di partenza ed importa quindi di sapere donde il congresso di Berlino abbia preso le mosse per firmare il contestato tredicesimo protocollo. Per quanto sian conosciute le espressioni di quel documento, per quanto io possa forse ignorarne i secreti moventi, l'E. V. vorrà permettermi di analizzarlo con brevi parole. I Ministri Greci, com'era naturale, si presentarono principalmente al Congresso in nome della Grecia o se vantarono diritti più vasti e segnalarono il desiderio di arrivare poco men che fino al Danubio, non fu nell'interesse di popolazioni schiave e sofferenti, ma come rivendicazione di un perduto dominio. Presero essi adunque in mano la causa del regno Ellenico e quella del cessato Imperio Bizantino, tacendo dei popoli e loro aspirazioni quasi intimamente convinti che non potevano esser messi in dubbio i sentimenti Ellenici di poco men che tutte le genti Cristiane della penisola Balcanica. La Francia, strenua difenditrice degli interessi Ellenici, moderò quei desiderii eccessivi, tacque dell'Ellenismo, parlò solo della necessità che il regno Ellenico avesse più larghi confini, così per ragioni strategiche, come per ragioni economiche; il tracciato proposto da essa ci fa intendere che non divide i sogni del Gabinetto di Atene; la Francia

non ha veduto che la Grecia impotente a svilupparsi fra le prèsenti strettoie, bisognosa di espandersi alquanto a settentrione su terre meno ingrate, degna sotto ogni rapporto che l'Europa fornisca al piccolo regno i mezzi di prosperare nell'interesse medesimo della civiltà. L'assenso delle popolazioni non fu neppur messo in dubbio dal Ministro Francese e se non si diedero più vasti confini non fu giù perché là si credessero cessate le tendenze dei raià verso la Grecia, ma per istabilire dei limiti oltre i quali il regno Ellenico non potesse aspirare, e a cui potesse la Turchia senza eccessivo sacrifizio rassegnarsi. L'Italia perorò su per già la stessa causa e volle più; volle cioè, con le parole del Conte Corti, che si cercasse nella quistione Ellenica tale una soluzione che assicurasse la buona armonia fra i due Stati, e la pace nella penisola Balcanica; così può dirsi che l'Italia a Berlino si è men posta dal punto di vista del regno Ellenico,

o dell'Ellenismo, che da quello degli interessi generali che a Berlino si trovavano in conflitto; per noi la mozione dei Greci era la parte di un tutto, dal tutto inseparabile, e col tutto da armonizzare; così né accettammo, né rifiutammo il tracciato Waddington, ma spiegammo esattamente l'ordine d'idee che militava in noi e che ci permetteva ogni libertà di apprezzamento il giorno in cui una mediazione più attiva dell'Europa si rendesse necessaria. Le altre potenze, l'Inghilterra eccettuata che vide anch'essa le cose dal solo punto di partenza della Grecia, e con intenzioni assai meno larghe della Francia, non fecero che annuire puramente e semplicemente alle considerazioni esposte da Waci.·dington, Corti, Beaconsfield.

Dalle cose precedenti chiaramente apparisce che la causa dell'Ellenismo venne appena sfiorata a Berlino, che delle popolazioni da annettersi alla Grecia e loro tendenze non si fece parola, che quindi il regno Ellenico solo e i suoi reali bisogni pesarono sulla bilancia, malgrado le chiare allusioni del Beaconsfield all'invadente Slavismo, respinte dal secondo plenipotenziario Russo.

Vediamo dunque la questione Elleno-Turca da quel punto di partenza ed esaminiamo, così gli ostacoli che ha incontrato che il mezzo di eliminarli. Che cosa può volere la Grecia per svilupparsi e fiorire? A Berlino fu detto ampiamente; imperfetti i confini, scarse le terre coltivabili, continue le agitazioni nelle provincie Turche limitrofe donde un fatale contraccolpo in Grecia, ed impossibilità al piccolo regno di prosperare nella pace. In Epiro se vi furono agitazioni esse uscirono dai confini Ellenici; le popolazioni son poco liete sotto i Turchi, ma accolsero sempre freddamente le manifestazioni e gl'incoraggiamenti a rivolta che venivan loro dal sud; questo fatto che si vorrebbe oggi negare, provocando firme di adesione alla Grecia fra i villaggi Cristiani d'Epiro, è pura storia, nota a tutti coloro che furono nel paese ed assistettero fra le altre all'insurrezione Griva nel 1854; gli avvenimenti dell'anno scorso in Pramanda e Licuresi, ne fanno più larga fede. Si dice bensì che le popolazioni sono paurose dei Turchi dopo così lungo servaggio, e che nel fondo dell'animo, se potessero, insorgerebbero come un sol uomo, ma a me consta che son prudenti più ancora che paurose, e fredde verso la Grecia, anziché entusiaste; certo soffrono e aspirano a libertà; se per loro non vi è libertà possibile senza l'annessione al regno Ellenico, accetteranno l'annessione; ma non si potrà mai creare un entusiasmo che non esiste, e si può ben dire che vi è piuttosto un interesse nel

28 -Documenti diplomatici -Serle II -Vol. XI

regno Ellenico ad espandersi ed annetLrc anziché in Epiro un desiderio di essere annessi. Così essendo le cose poco importa alla Grecia di espandersi più in Tessaglia che in Epiro, e conviene anzi ad essa di rivolgersi piuttosto alla Tessaglia, poiché qui i primi tentativi fatti hanno gtà sollevato l'incidente Albanese, e tosto o tardi sarà preclusa all'Ellenismo la via di estendersi a settentrione. Non accadrà lo stesso in Tessaglia; l'Ellenismo, freddo qui, è colà caldo e vivo; Io è ugualmente al nord della Tessaglia, nelle falde settentrionali dell'Olimpo, e l'intiera Macedonia offrirà al regno Ellenico un futuro ed incontrastato campo d'azione. La sua espansione in Tessaglia è dunque per la Grecia assai più significativa che l'occupazione di una piccola parte d'Epiro, minacciata da una lotta Greco-Albanese di cui non sono prevedibili le conseguenze. Ma ben altre ragioni consigliano alla Grecia quella via; la Tessaglia oltre all'essere la culla dell'Ellenismo è nello stesso tempo la provincia più fertile e più fiorente della Turchia d'Europa; qui non avrebbe che due o tre pianure feconde di risorse al regno, quella di Arta e quella di Sanari; tolti i colli di Prevesa; tolta la pianura di Janina, il resto del paese è montuoso, povero, infecondo; può diventare bensì ricco e fertile, se il Governo vi getterà a piene mani il denaro in strade, canalizzazioni, incoraggiamenti all'agricoltura ed all'immigrazione di elementi stranieri, ma il regno Ellenico povero anch'esso e spossato si troverebbe qui in un circolo vizioso, poiché dovrebbe prendere al paese ciò che non ha, per dargli ciò di cui abbisogna. Sotto il punto di vista strategico non si troverebbe meno favorita ove il confine senza penetrare nella valle del fiume Arta abbracciasse l'intiera valle dell'Aspropotamos che già per metà appartiene alla Grecia. Le maggiori agitazioni infatti, o il maggior nucleo del brigantaggio fu mai sempre la catena dei monti, che partendo dal Zigo di Metsovo, chiude a levante la valle dell'Aspropotamos, lo accompagna fino al confine ricostituendosi là in gruppo poderoso e speciale che poi si rivolge in grossa catena all'Egeo servendo dal 1827 in poi di limite fra la Grecia e la Tessaglia. In quei monti e presso il confine Greco è il rinomato distretto di Agrafa, che diede in ogni tempo il maggior contingente al brigantaggio che infesta da molti lustri la Tessaglia

e l'Epiro. I Turchi intendondo la strategia a loro modo preferirebbero che il confine seguisse il filo dei fiumi fino ai pressi della città di Arta; mentre però quella cessione di monti dirupati e sterili non è di alcun vantaggio alla Grecia incoraggia la Turchia a dar meno in Tessaglia dando più in Epiro; e rende difficile la conciliazione. La mediazione Europea troverebbe certamente un mezzo per fissare sulla vetta dei monti dei limiti strategici soddisfacenti per i due stati ed io non mi dilungo per ora su tale argomento; dirò solo che fra le due valli dell'Aspropotamos e dell'Arta sono due soli i passaggi e difficilissimi, per cui i distretti al di qua dei monti sarebbero come isolati, se venissero concessi alla Grecia.

Ammesso che l'Europa a Berlino si è occupata essenzialmente del regno Ellenico e delle sue legittime aspirazioni, ammesso pur anche, sebbene forse contestabile, che il tracciato Waddington sia senza appello per la Turchia, questo implica una cessione di 18 mila chilometri quadrati. Perché la Grecia si lagnerebbe di una uguale cessione di terre, più fertili, più ricche, più elleniche, e tale da soddisfare ampiamente i bisogni stringenti, fra cui si agita quel regno?

Perché non accetterebbe essa un compromesso che dandole più che non aspetta allontana ad un tempo da essa il pericolo di un conflitto? L'Europa nell'esercitare in questo senso la sua pressione sul Governo Ottomano rientra nel vero spirito che mosse la Francia a perorar la causa degli Elleni, e dà all'Ellenismo un più largo sviluppo che non glielo darebbe scindendo in due la Tessa.glia e l'Epiro.

A queste ragioni opporrà probabilmente la Grecia quelle finora non opposte delle popolazioni d'Epiro, delle speranze nudrite, dell'agitazione che regna, del dovere che incombe alla Grecia di non mostrar predilezioni fra Tessali ed Epiroti. Questa sua tenerezza però verso l'Epiro sarebbe tarda ed intempestiva. Perché non esser tenera ugualmente verso i Tessali della riva sinistra della Selimbria, o verso gli Epiroti di Paleo Pogoni e della valle della Voiussa che a Berlino furono lasciati fuori sebbene parlino il Greco quanto lo parlano in Lacca e Giumerica?

Certo le popolazioni d'Epiro non possono essere abbandonate dall'Europa qualunque sia l'idioma da esse parlato; se non vi è entusiasmo per l'annessione, vi è sofferenza profonda pel mal governo, e l'agitazione regna ravvivata da una tenace e generale aspirazione a giorni migliori. Né l'Europa venne meno al suo compito a Berlino; se nella quistione Ellenica non ebbe altro punto di partenza che l'interesse della Grecia, nella quistione Balcanica stese la sua protezione a tutti i popoli, e volle che a tutti si estendessero le più larghe riforme, le maggiori garanzie di regolare giustizia ed amministrazione. E .gli Epiroti plaudiranno all'Europa se le speranze fallite di una prossima annessione al regno di Grecia, si convertiranno in solide speranze di una semi-autonomia. Dico solide speranze, perché di speranze vane ne nodrirono anche troppe ed ormai sono sfiduciati ed increduli, quando si parla loro di riforme Turche. L'Europa deve fare qualche cosa di più per questi popoli derelitti, nell'interesse stesso di quella pace che tanto anela a mantenere; essa deve persuadersi che se le nazionalità son molte e divise, tutte sono però concordi nel sentire il malessere che regna, nel mormorare contro il Governo Turco, nell'aspirare a governarsi da sé, o per lo meno a veder tutelati seriamente i loro vitali interessi; il risveglio è generale e produrrà i suoi frutti; tristissimi saranno, se l'Europa non li asseconda, poiché reietti, abbandonati, poco men che disperati, e miserabili, non troveranno altro scampo, fuorché nel sollevare disordini ad ogni pié sospinto, e comprometteranno la pace che fu ed è supremo voto delle potenze Europee. Gli Albanesi stessi che rifuggono dalla Grecia, dalla Serbia, dalla Bulgaria, dal Montenegro, ove non vedano esaudite dalla Turchia e dall'Europa le loro domande, ove si vedano precluso uno sviluppo loro proprio, a cui già aspirano vivamente, o si getteranno in braccio della prima potenza venuta, o respinti da tutti si batteranno con l'orgasmo della disperazione e faranno di queste province un deserto; se il Governo Ottomano invece concede loro la desiderata autonomia provinciale, ossia le riforme che ho segnalate all'E. V., l'Epiro intiero sarà soddisfatto e in un tempo non lontano potranno forse confondersi in un solo popolo tutti gli Epiroti, cioè gli Albanesi ed i Cristiani Ellenizzati. La causa del progresso non è forse in tal modo efficacemente tutelata, senza danno di Grecia, senza danno dell'Ellenismo, senza pericolo di prossimi conflitti? E per l'Italia una tale condotta politica non è forse tradizionale? non è forse conforme ai nostri principii, ed ai nostri interessi? Certo non appartiene a me di indicare all'E. V. la via da seguirsi ed Ella vorrà perdonarmi se nella foga del dire alcune delle mie frasi supera forse i limiti del compito che mi spetta; però da chi l'E. V. deve trarre luce a condurre la cosa pubblica in quanto concerne l'Epiro, se io vecchio di questi luoghi non le comunico tutte le mie impressioni, se fedele ai miei doveri, se spinto da quella fiducia da Lei riposta in me, io non Le dico l'animo mio e gli apprezzamenti che le mie osservazioni mi suggeriscono? Penso adunque non aver fatto cosa inutile con questo mio rapporto. bastando a me di averle detto il vero, spettando a Lei di interpretarlo e tradurlo in atto nell'alto e più illuminato suo giudizio.

P. S. -Alle domande fatte dalla lega Albanese al Sultano, domande ch'io ebbi l'onore di comunicarle in riassunto, non rispose per anco la Porta; questo mi consta soltanto che Muktar Pascià trasmise un contro-progetto a Costantinopoli, tendente a soddisfare ad un tempo le esigenze Albanesi e gl'interessi ottomani. Invece di un Vilayet egli ne propone tre, cioè Ianina, Prisrend e Monastir; in quest'ultima città poi oltre al Governatore Generale risiederebbe un ispettore generale, o luogotenente del Sultano, che avrebbe autorità sui tre vilayet. In Monastir si radunerebbe ugualmente l'assemblea generale dei tre vilayet, presieduta dal luogotenente generale del Sultano. Lingua ufficiale sarebbe la Turca; sarebbe tuttavia permesso l'uso dell'Albanese e forse del Greco. Le altre proposte Albanesi si accetterebbero. Scopo di tali modificazioni è di scindere l'Albania in tre, affinché non costituisca un pericolo, ma di tenerla pur anche legata ad un sol centro, affinché costituisca un nucleo di resistenza. Al timore degli Albanesi di esser invasi, se divisi, risponde Muktar Pascià che col suo progetto l'assemblea generale comprenderà un quarto di Greci o Bulgari o Valachi e tre quarti di Albanesi per cui la preponderanza di questi ultimi sarebbe assicurata. Però essi son poco persuasi, e credo persisteranno nelle loro domande, come son convinto che la Porta sia poco disposta a soddisfarle. Tuttavia non è improbabile, salve imprev:ste cil'costanze, che aderendo la porta al progetto di Muktar Pascià, gli Albane&i in ultima analisi si rassegnino a contentarsene.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI. AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 499. Parigi, 5 aprile 1879, ore 14 (per. ore 16).

Votre adhésion (l) au projet de Waddington au sujet de la frontière turcohellénique lui a été fort agréable. Malgré dernier discours de Beaconsfield et opinion publique anglaise plus favorable à la Turquie qu'à la Grèce. Waddington ne désespère pas de faire accepter à Londres con projet camme il vient de l'etre, à ce qu'il assure, à Berlin et à Pétersbourg.

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CATALANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 502/252. Londra, 5 aprile 1879, ore 23,05 (per. ore 1,25 del 6).

Par sa communication au Gouvernement anglais en date du 2 courant, la Porte, tout en réjetant le projet russe pour l'occupation mixte de la Roumélie Orientale, a proposé de prolonger pour un an le pouvoir de la Commission. La Turquie a proposé aussi d'occuper Burgas et quelques points du còté d'Ichtman, sauf à occuper plus tard les Balkans au fur et à mesure que l'ordre sera établi dans la province. Cette communication est en ce moment sous la considération des Gouvernements anglais et russe. Le bruit court que l'Angleterre n'aurait plus insisté à Constantinople sur le projet de l'occupation mixte, non seulement en vue du refus de la Porte, mais aussi à cause du refus qui aurait été donné par V. E. d'envoyer en Roumélie un contingent de troupes italiennes.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, TORNIELLI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI

D. 445. Roma, 6 aprile 1879.

Col mio dispaccio politico n. 443 (l) ebbi ad additare all'E. V. certi indizi che lasciavano supporre da parte dell'Ambasciatore di Francia a Costantinopoli

il proposito di favorire, con ogni miglior mezzo lo sviluppo dell'influenza della Francia nell'isola di Samos.

Anche nella Rumelia orientale sembra che una simile tendenza si vada manifestando da parte della delegazione francese residente in Filippopoli. A quanto ci viene riferito dal R. Delegato in quella città era anzi corsa la voce che si volesse rendere popolare fra i bulgari la candidatura del Signor de Contouly, secondo delegato della Francia in Filippopoli, come Governatore generale della Provincia. Aggiunge però il cavalier Vernoni che di fronte a simili voci il barone di Ring non ha indugiato a dichiararle affatto insussistenti.

Tali circostanze, confrontate con l'atteggiamento assai spiccato che la Francia ha assunto nella questione ellenica e con l'azione abbastanza attiva che spiegano attualmente i Consoli francesi in Siria, farebbero credere che la Francia abbia forse in animo di abbandonare quel sistema di assoluta astensione che aveva adottato fin dal 1870-71 per rispetto alle questioni di politica estera.

Qualunque sia il valore di simili indizii non è fuori di luogo che da noi se ne faccia oggetto di studio e di osservazione. Ed io stimo utile di comunicare confidenzialmente quanto precede a V. E. onde se ne giovi per quelle investigazioni di cui fosse per presentarsele la opportunità.

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 518. Cairo, 8 aprile 1879, ore 9,20 (per. ore 12,30).

Population civile, religieuse, militaire demande que le pouvoir souverain soit rendu au Vice-Roi avec une Chambre des députés investie de tous les pouvoirs des parlements constitutionnels, avec un Ministère national, indépendant, responsable envers la Chambre des députés et un contrale sur l'administration financière. Elle accepte projet financier de Vice-Roi et se rend garante du paiement des créanciers et d'une bonne administration du pays. Le Vice-Roi, sous cette pression, présente aujourd'hui un projet à tous les agents et annonce que Chérif pacha est chargé de former un nouveau ministère national. Aussitòt connu, je télégraphierai (l).

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 2284. Berlino, 8 aprile 1879 (per. il 14).

La conduite de l'Allemagne, déclinant son concours matériel au projet d'une occupation mixte dans la Roumélie Orientale, cause à V. E. des regrets dont je trouve l'expression dans sa dépéche n. 793 (2). San attitude, selon votre manière de voir, favoriserait indirectement au moins le calcul attribué à l'Autriche-Hongrie d'agir en sorte de transformer ce projet d'occupation mixte en un second mandat européen, qui lui fournirait le moyen de faire entrer ses troupes en Roumélie à peu de frais, avec le consentement et méme à la requéte des autres Puio;;sances. On pourrait peut-étre méme préter au Cabinet de Vienne l'arrière-pensée de se frayer ainsi la vaie jusqu'à la Mer Egée.

Je ne suis pas non plus de ceux aux quels les allures de cette Puissance inspirent une confiance bien solide, lors-méme que la conservaton de cette ancienne Monarchie réponde aux intéréts de l'Europe, et de l'Italie en particulier. Mais pour ce qui concerne l'Allemagne, déjà avant le Congrès Elle manifestait des préférences pour le Cabinet de Vienne, ou du moins, pour des motifs faciles à deviner, elle l'encourageait dans ses tendances à mettre le pied

dans la Bosnie et l'Herzégovine, et à déplacer de plus en plus l'axe de sa politique vers l'Orient. Tout cela avec le vernis d'une amitié qui sera maintenue soit pour ne pas le laisser trop exposé aux ressentiments de la Russie, soit pour se ménager une piace influente vis-à-vis de l'Angleterre, elle-aussi dans des liens d'intimité avec l'Empire Austro-Hongrois. D'ailleurs les relations entre Berlin et Saint Pétersbourg ne reposent, ni sur les sympathies entre les deux nations, ni sur les rapports personnels entre le deux Chanceliers, mais simplement sur des traditions de famille, soigneusement cultivées par les Souverains actuels, dont l'un touche au terme de la vie. C'est là une base trop fragile et trop restreinte, pour que le Prince de Bismarck ne cherche pas à se prémunir si elle devait un jour faire défaut.

J'admets donc qu'il favorisera de son mieux les lubies de l'Autriche, lesquelles l'éloigneraient toujours davantage de l'ancien centre d'attraction vers l'Allemagne. A ce point de vue, son appui moral lui est acquis. Il pèse assez dans la balance. Pourquoi regretterions-nous alors l'absence d'un appui matériel, qui résulterait de la présence de troupes Allemandes dans la presqu'ile des Balkans? Je comprendrais ces regrets, si par son abstention le Cabinet de Berlin avait en effet voulu, comme pour la Bosnie et l'Herzégovine, préparer le terrain à un autre mandat européen pour des occupations ou des annexions ultérieures. Il me semble que les données manquent pour argumenter de la sorte. C'est vouloir aUer peut-étre trop loin dans le domaine des conjectures. Si on caressait de telles idées à Berlin, pourquoi M. de Keudell aurait il été chargé d'appuyer le désir des Puissances qui tenaient à ce que l'Italie adoptàt les idées formulées à Saint Pétersbourg? Si un non de notre part aurait fait échouer la combinaison en servant les vues secrètes de l'Autriche, puorquoi nous demander un oui?

Au reste, il ne m'est pas démontré qu'un refus de notre còté, en tuant dans son germe la proposition russe, eut ouver la voie à un nouveau mandat pour l'Autriche. Elle ne pourrait alléguer les memes raisons ou prétextes que pour la Bosnie. La Russie aurait garde de lui signer un laissez-passer. Il faudrait aussi s'assurer de celui de la Turquie, à moins de brusquer les événements et de courir au devant d'une nouvelle guerre. Or la Turquie, pas plus que la Russie, ne voudraient, chacune à leur point de vue, donner un tel vote de confiance à l'Autriche, où le parti militaire aspire à quelque chose de plus palpable que la simple protection des chrétiens. Je ne parle pas de notre consentement à une intervention unilatérale: il ne saurait étre donné sans compensation.

Il ne m'appavtient pas de revenir sur une décision prise par le Gouvernement du Roi. L'option était assez malaisée, entre l'abstention absolue, l'occupation pure et simple, l'acceptation sans contingent de troupes, ou l'acceptation conditionnelle comme nous l'avons énoncée. Il m'avait paru que le meilleur parti à prendre eut été de nous mettre sur la méme ligne que l'Allemagne et la France. Je m'étais posé la question: si le Congrès avait accueilli favorablement l'idée d'une occupation mixte, suggérée par le Comte Andrassy et approuvée par Lord Beaconsfield, comment l'opinion publique en Italie aurait-elle jugé la conduite de ses plénipotentia,ires? Il n'y aurait pas eu assez de pierres pour nous lapider. On nous aurait reproché, non seulement d'étre sortis les mains vides, mais d'avoir imposé un surcroit de dépenses au Pays, pour nous engager dans une vaie dont l'issue est incertaine.

Quoi qu'il en soit, nos réserves mitigent mes objections, sur quelques points auxquels j'ai fait allusion dans de précédents rapports. Mais, jusqu'à preuve contraire, je suis enclin à croire que notre concours effectif risque fort d'étre plus profitable aux convenances d'autrui, qu'aux nòtres. Nous sommes exposés à naviguer entre des courants contraires. L'Angleterre pensera nous avoir de son bard, la Russie nous considèrera camme une carte dans son jeu. L'Autriche nous poursuivra de ses soupçons et de ses calomnies, tant que nous n'aurons pas pu saisir une occasion propice pour des explications franches et nettes.

A mon avis, le mieux eù.t valu dédiner une participation armée, et pour bien marquer que ce n'était ni par impuissance ni par faiblesse, nous aurions dù. déclarer nettement que nous nous en tenions à l'esprit et à la lettre du Traité de Berlin, et en demander l'application. L'Europe fait un peu de la politique de sentiment, on se montre peut etre trop crédule, en partageant des craintes exagérées sur les conséquences de l'évacuation des armées russes. A ce sujet, il est digne de remarque, avec quelle affectation toujours plus grande, la presse de Saint Pétersbourg et de Moscou s'applique à terrifier l'Europe sur les dangers que menacent la Roumélie Orientale à mesure que les troupes russes se retireront de ces contrées, après les avoir activement préparées à l'insurrection. Sans doute que les passions bulgares, aidées par la souplesse et les ressources de la diplomatie russe, sont bien surexcitées; mais elles ne sont pas de force à lutter contre la Turquie, qui a fait ses preuves en soutenant pendant des mais le choc des armées du Tsar. Pour prévenir de cruelles représailles, il suffirait de piacer à còté de l'armée ottomane rentrant sur son territoire des délégués militaires des différentes Puissances.

Avant de connaitre la résolution adoptée par le Gouvernement du Roi, j'avais pl1is la liberté d'exprimer une opi:nion. V. E. est à meme de mieux juger l'ensemble et les nécessités de la situation. Il ne me reste qu'à former les meilleurs voeux, pour que les événements se développent à notre plus grand avantage. Si je me suis trompé dans mes raisonnements, j'espère, M. le Ministre, que vous saurez apprécier la franchise d'un langage, qui ne vise qu'au bien du Roi et de notre Pays.

Veuillez me permettre encore une observation. Je ne fais que répéter ce que j'ai écrit bien avant le Congrès et dont il n'avait pas été tenu compte assez à temps. J'ai soutenu qu'on pouvait alléguer des raisons sérieuses, soit pour, soit contre, une extension de l'Autriche vers l'Orient, où l'entrainent le concours des circonstances et le zèle de ses alliés. Je ne sais pas s'il est trop tard pour l'arréter, mais, avant de chercher à lui barrer le chemin, il conviendrait de nous mettre en mesure d'amener, avec toute la circonspection voulue, un échange d'idées avec cette Puissance. Si, en la favorisant dans ses vues, nous avions la chance de nous procurer de meilleures frontières vers les Alpes et l'Isonzo, le Gouvernement du Roi aviserait alors s'il ne vaudrait pas mieux nous assurer ces avantages, en accordant au Cabinet de Vienne un appui efficace. Ou je me trompe fort, ou nous ne trouverions d'obstacle du còté d'ancune Puissance, sauf de la part de la Russie.

Au reste, d'après les dernières nouvelles, le projet d'occupation mixte rencontre encore beaucoup de difficultés chez la Turquie, qui pose des conditions que la Russie jusqu'ici déclare inacceptables.

Je transmets cette dépèche sous l'adresse d'un de mes correspondants particuliers...

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CATALANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 273/236. Londra, 8 aprile 1879 (per. l'11).

Lord Salisbury m'ha detto ieri, in termini chiari e preci:si, che non aveva mai avuto contezza della proposizione del Kedive, agli Agenti d'Inghilterra e di Francia, di rinforzare, nel Gabinetto Egiziano, l'elemento Europeo, chiamandovi a farne parte un Ministro Italiano.

Il Signor Vivian non aveva su ciò né scritto né detto verbo.

Non mi rimane alcun dubbio della sincerità delle asserzioni di Lord Salisbury; tanto più che avendo io interrogato, pochi minuti prima, su tale argomento, il Signor Lister, Sotto Segretario di Stato del Foreign Office, costui mi affermò che, quantunque avesse letto tutto il carteggio del Signor Vivian, non vi aveva trovato menzione di una simile proposta del Kedive.

«Si rammenti -mi soggiunse Lord Salisbury -com'io, altre volte le manifestai che avrei visto con molto piacere la presenza di un membro Italiano nel Gabinetto del Kedive; benché mi rincrescesse non poter direttamente patrocinare tale disegno ».

Riferisco tutto ciò in risposta al pregevole Dispaccio dell'E. V. n. 570 di questa Serie, in data del 2 corrente (l). Ho avuto eziandio l'onore d'informarla, col telegramma n. 257 (l). di talune delle cose de t temi da Lord Salisbury su tale affare.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, PAGET, A BAVENO

T. 192. Roma, 9 aprile 1879, ore 14.

Les informations que je reçois portent que le projet d'occupation mixte serait abandonné par votre Gouvernement. V. E. sait que nous avons déclaré à la Russie que l'Italie n'est pas favorable à la politique d'intervention et que toutes nos préférences sont pour l'application littérale des clauses du traité de Berlin. Nous avions donné notre adhésion à l'occupation mixte de la Roumélie par les sept Puissances, en vue des circonstances spéciales de ce pays et sous la réserve expresse que cette occupation ne créerait pas un précédent pour d'autres pays où l'ordre intérieur pourrait étre troublé. Enfin nous nous étions réservé l'examen des voies et moyens et des conditions des arrangements à prendre. Tout ceci était conforme aux idées que j'avais échangées avec V. E. La condition du concours de la Turquie était incluse dans notre réponse à la Russie et nous ne nous engagions pas pour le cas où l'occupation mixte se réduirait à un téte-à-téte de l'Italie avec une autre Puissance. Nous étions préts à nous entendre avec l'Angleterre sur la marche à suivre et sur les moyens à employer, mais nous voulions surtout et avant tout nous expliquer clairement avec votre Gouvernement sur les dangers éventuels contre les quels nous sommes tenus de nous préserver.

Je n'ai depuis rien reçu de V. E. et j'apprends par le secrétaire de légation resté à Londres (l) pendant l'absence du général Menabrea qui est souffrant, qu'entre autres projets dont on parle il y a: 1° l'occupation de l'Autriche et de l'Italie seules; 2° l'occupation de l'Autriche par mandat européen. Vous connaissez assez notre pensée intime pour savoir que ni l'une ni l'autre de ces combinaisons pourrait nous convenir. Je tiendrais beaucoup à ce que votre Gouvernement en soit informé confidentiellement. Vous pouvez lui dire que nous persistons dans l'idée que les intéréts de l'Italie et de l'Angleterre dans les questions de la péninsule des Balkans n'ont rien de divergent et que conséquemment une entente explicite et cordiale est désirable également pour les deux pays.

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 532. Cairo, 10 aprile 1879, ore 10,30 (per. ore 16,30).

Aucune communication officielle Vice-Roi. Nouvelles privées Paris disent: irritation, dépit du ministre des affaires étrangères; mais après mésintelligence entente probable, si les faits accomplis sont conséquence de la volonté du pays approuvée par les colonies et contròle très sérieux sur les ftnances. Vice-Roi a cédé volonté du pays, et s'il est contraint rétablir ministres étrangers, je crains insurrection éclate contre lui. Nouveau Ministère demande commissaires anglais français Cassa Debito Pubblico contròler provisoirement finances. Ils ont refusé. Bruit s'est répandu malveillant que Vice Roi agit sous inftuence russe italienne. J'espère V. E. convaincue que ma conduite est strictement conforme à ses instructions.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. R. 489. Parigi, 10 aprile 1879 (per. il 14).

Com'ebbi a dire all'E. V. nel mio telegramma di ieri (1), trovai il Signor Waddington molto preoccupato delle ultime notizie d'Egitto. Ed in un momento di rara ed ingenua effusione, si mostrò più di ogni altra cosa colpito dall'attitudine della Colonia francese, che sembra accogliere volentieri la situazione creata dal Vice-Re e preferire il suo Governo personale al Ministero semi-europeo testé caduto.

Delle sue intenzioni sulle misure da prendersi dalla Francia rispetto al Kédive, il Signor Waddington tacque, volendo anzitutto concertarsi coll'Inghilterra e fors'anche abbisognando di rifletterei sopra prima di prendere un partito.

Egli mi narrò che Alìm-Pacha, zio del Kédive, si agita molto a Costantinopoli per esser nominato al posto del nipote. Pare ch'Egli goda di favore del Sultano, e che molti creditori suoi, banchieri possenti per denaro e relazioni, caldeggiano la sua candidatura a Londra e Parigi. Però Alim-Pacha sarebbe tenuto in conto d'uomo mediocrissimo, scioperato e di carattere equivoco al pari di quello dell'attuale Vice-Re.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

T. 195. Roma, 11 aprile 1879, ore 13,45.

Les événements d'Egypte sont pour le Gouvernement du Roi un sujet de préoccupation à cause des intéréts importants et nombreux que l'Italie doit sauvegarder dans ce pays. Mais le bruit que vous me signalez que la conduite du Khédive ait été le résultat de nos suggestions (1), est tout simplement aussi absurde que malveillant. Votre attitude, j'en suis convainçu, a d'ailleurs écartè tout soupçon à cet égard. La situation financière de l'Egypte impose un contrale financier sérieux. Nous n'avons jamais cessé de le déclarer au Vice Roi. Mais en méme temps dans nos communications aux Cabinets nous avons tàché de reveiller leur sollicitude sur un état de choses que en sacrifiant tous les autres intéréts de l'Etat egyptien à ceux d'une catégorie de créanciers avait créé un mécontentement général. Nous nous préoccupons aussi de la situation que l'irresponsabilité du Gouvernement dans les branches essentielles de son administration faisait à l'Egypte. Dans l'état des choses qui en était la conséquence, nous trouvions l'explication des dimcultés que rencontrait depuis quelque temps le fonctionnement régulier de la réforme judiciaire et de l'action consulaire. Mais nous nous sommes bien gardés, vous le savez, de nous interposer entre le Khedive et ses ministres étrangers. Aujourd'hui notre langage ne doit pas étre moins mesuré, je dirai mème qu'il doit étre de plus en plus prudent. Avec les Cabinets amis nous pourrons constater que dans les derniers événements de l'Egypte nous ne saurions voir que la réalisation de nos propres prévisions. Mais avec le Khédive nous ne saurions tenir d'autre langage que celui qui nous est dicté par la conviction de la nécessité et de l'urgence de donner une satisfaction sumsante auv intérèts des créanciers de toutes les catégories, moyennant un contrale financier emcace et sérieux. Porquoi le Khédive n'invoquerait-il pas spontanément de l'Europe l'application à l'Egypte de la déclaration du protocole 18 du congrès de Berlin relative aux finances ottomanes? Nous ne voulons pas formuler une proposition à ce sujet, mais si elle devait ètre présentée par le Vice Roi, san succès dépendrait, à notre avis en grande partie de la spontanéité et de la promptitude avec lesquelles la motion serait

(11 Cfr. 11. 498.

portée devant les signataires du traité du 13 juillet. Toute hésitation compromettrait selon nous le succès de cette proposition qui devrait évidemment devancer toute autre action des Cabinets engagés dans cette affaire.

IL MINISTRO AD ATENE, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 544. Atene, 12 aprile 1879, ore 18,30 (per. ore 21,10).

Les délégués épirotes dont il est question dans mon télégramme du 7 courant (l) sont partis aujourd'hui au nombre de trois pour Rome par le bateau à vapeur direct de Brindisi. Gouvernement grec déclare cependant n'avoir rien à faire avec cette commission dont serait seule responsable association existant à Athènes pour la défense des intéréts de l'Epire.

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CATALANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 289/246. Londra, 12 aprile 1879 (per. il 17).

Ho l'onore di confermare all'E. V. il telegramma n. 253 del 7 corrente (2).

Il Governo Francese ha intenzione di comunicare, fra breve, alle Potenze firmatarie del Trattato di Berlino, la proposta d'un nuovo tracciamento di frontiere fra la Turchia e la Grecia, in forma di risposta all'ultima circolare del Governo di Atene.

Il 7 corrente, l'Incaricato d'Affari di Francia dié lettura a Lord Salisbury (senza però !asciargliene copia), d'un lunghissimo dispaccio del Signor Waddington in cui sono particolareggiate le nuove proposte del Governo Francese, il Signor Waddington desiderando di conoscere l'opinione del Governo Britannico, prima di rivolgersi alle altre Potenze.

In quella comunicazione, il Presidente del Consiglio dei Ministri di Francia, insiste, anzi tutto, per la cessione di Giannina alla Grecia, ed adduce, per tale insistenza, varie ragioni militari e politiche.

Nel caso però che la Turchia si ostinasse a non consentire alla cessione di Giannina, il Signor Waddington suggerisce di dare rilevanti compensi alla Grecia in Tessaglia; e propone una nuova linea di confini che segua il corso del fiume Xeraghis, affluente del Salamyrias, fino all'oriente di Turnovo.

Interrogai, quello stesso giorno, Lord Salisbury su tale argomento.

Sua Signoria mi rispose che appunto, pochi minuti prima, aveva ascoltato le proposte del Signor Waddington, per mezzo del Conte di Montebello. «Non credo, però, soggiunse, che la Turchia possa mai consentire alla cessione di Giannina, né vedo, eziandio, come la Porta possa accettare le altre proposte della Francia ».

Lord Salisbury mi fu così cortese d'indicarmi, allora, sopra una carta geografica, l'estensione di paese, nella Tessaglia, che il Signor Waddington vorrebbe fosse ceduta alla Grecia, in compenso di Giannina.

«I Greci non si sono battuti, riprese Sua Signoria, potranno contentarsi d'una estensione minore di territorio».

Debbo aggiungere che, fino a quest'oggi, Lord Salisbury non aveva fatto alcuna comunicazione, su tale argomento, all'Ambasciata di Francia. Avrà, probabilmente, espresso le stesse idee che m'ha manifestate a Lord Lyons, onde siano riferite al Governo Francese.

Intanto il 9 o il 10 corrente, il Signor Waddington ha trasmesso all'Ambasciata di Francia a Londra, un nuovo dispaccio, adducendo nuove ragioni per la cessione di Giannina alla Grecia. Quest'ultimo Dispaccio non ha potuto essere comunicato a Lord Salisbury per cagione della assenza di Sua Signoria da Londra.

Dicesi, finalmente, che la Porta abbia avuto sentore delle pratiche del Governo Francese a Londra; donde le più larghe promesse di concessione di territorio alla Grecia.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, TORNIELLI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT

D. 726. Roma, 13 aprile 1879.

Dal 20 al 22 febbraio scorso, furono arrestati a Trieste e deferiti all'autorità giudiziaria cinque cittadini italiani di civile condizione, i signori Delfino Menotti, Marco Stefani e Attilio, Emilio ed Ettore Morterra, sotto l'imputazione d'aver fatto esplodere dei petardi o di essere in corrispondenza coi comitati dell'Italia irredenta.

Secondo le informazioni avute ora dal R. Ministero dell'Interno, pare che il Tribunale non abbia fino ad oggi trovato prove sufficienti per fondare una accusa a carico dei detti individui, ma la polizia, nella speranza di scoprire, mercé il loro arresto, le fila di qualche cospirazione, procura di mandare in lungo l'inchiesta e la loro detenzione.

È da prevedersi che se l'autorità giudiziaria non troverà da procedere, l'autorità politica ordinerà l'espulsione degli accusati suddetti dalla Monarchia, con grave danno loro, in quanto che hanno a Trieste tutti i loro interessi.

Travasi inoltre nelle carceri di quella città fino dallo scorso ottobre, insieme a due triestini Vittorio e Giacomo Venezian, certo Salvatore Barilari, pure cittadino italiano, e quantunque sia già stato chiuso il suo processo e pronunziato l'arresto fino dal gennaio scorso; malgrado le disposizioni del codice austriaco di procedura penale, egli non sa ancora a quali giudici sarà deferito.

Stimo conveniente informare V. E. di questi arrestl, acciò Ella si compiaccia farmi conoscer H suo parere su ciò che potrebbesi fare in favore di quei connazionali, per evitare la taccia al Governo del Re d'averli lasciati senza protezione (l).

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 2288. Berlino, 14 aprile 1879 (per. il 20).

L'Agent de Roumanie me parlait, il y a peu de jeurs, des dispositions des Etats qui n'ont pas encore reconnu l'indépendance de la Principauté. Il me

disait que l'Italie du moins avait fait preuve des meilleures intentions en insistant auprès de l'Allemagne pour un prompt règlement de la question. Le Cabinet de Berlin demandait des garanties sérieuses pour l'application du principe de l'égalité civile et religieuse. S'il entend pour autant vouloir attendre non seulement que l'article 7 de la constitution soit modifié, mais que d'autres lacunes dans la législation soient comblées en conformité de l'art. 44 du Traité du 13 Juillet, 11 faut prévoir encore bien des retards.

Sous ce rapport il résultait à M. Liteano que l'Ambassadeur Allemand à Paris ne tenait pas un langage entièrement semblable à celui de S. E. M. de Btilow. Le Prince de Hohenlohe déclarait en effet qu'il suffirait de substituer à l'article 7 de la constitution l'article 44 du traité de Berlin, pour que le Gouvernement Impérial fùt complètement satisfait. Cette divergence de langage provient peut etre de ce que l'Ambassadeur ignore certains détails qui exercent quelque influence sul l'attitude de son Gouvernement. Il s'agirait, à des conditions assez onéreuses, de la vente à la Principauté des lignes de chemins de fer, devenues la propriété d'un consortium à Berlin. Le frais s'éléveraient environ à 360.000.000 de francs. Au gré de l'Allemagne, les négociations marchent avec trop de lenteur, et dernièrement le Prince de Bismarck, en invoquant l'absence d'un représentant Impérial à Bukarest, a prié le Comte Andràssy de s'interposer pour la conclusion de cette affaire. On attribue sur ce point comme sur l'exécution des stipulations du Congrès, un certain mauvais vouloir à la Roumanie. On semblerait presque établir quelque connexité dans la solution des deux questions. Bref, M. Liteano se disait peu édifié sur la conduite du Cabinet Impérial. Ce diplomate ajoutait que le Secrétaire d'Etait lui avait cependant laissé entendre que parmi Ies retardataires l'Allemagne serait la première à accréditer un Ministre à Bukarest. Relata rejero.

Je me suis borné à faire observer que vis-à-vis de moi M. de Btilow n'avait pas varié dans son langage. Il voulait, entre autres en cette matière, ne pas se séparer de la France. J'ai en mème temps soumis à M. Liteano l'idée s'il ne conviendrait pas dans le projet de loi qui serait présenté à la Constituante d'ajouter à l'article 44 du traité précité la formule que j'avais proposée au Congrès (pratocole n. 17) à savoir: « Les Israélites de Roumanie, pour autant qu'ils n'appartiennent pas à une nationalité étrangère, acquièrent de plein droit la nationalité roumaine ». Liteano se réservait d'en toucher un mot dans sa corresponaence. Pour son compte, il regrettait qu'une scmblable motion n'eùt pas été insérée dans le texte meme du traité.

Avant hier, j'ai voulu m'assurer des dispositions du Secrétalre d'Etat. Il m'a répété qu'avant de procéder à l'envoi d'un représentant à Bukarest, il fallait au Gouvernement Impérial des garanties sérieuses pour l'ent1ére appllcatlon du Traité de Berlin et pour que les Israélites, sujets allemands établis ou de passage en Roumanie fussent désormais à l'abri de toute disparité de traitement. Il croyait lui aussi que l'insertion de l'article 44 dans la const1tuuon serait de nature à inspirer confiance à l'Europe. Mais encore conviendrait il que le Gouvernement Roumain eùt défini son intention mieux qu'il ne l'a fait jusqu'ici, et qu'il communiquàt aux Puissances le texte du projet de loi qu'il entend présenter aux Chambres de révision. En attendant, l'Allemagne, la France et

l'Angleterre sont d'avis qu'il faut attendre quelques semaines avant de prendre un parti. En accusant réception des dépéches politiques n. 808, 809, 810 du 9 et du 10 courant (l) ...

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS (4)

R. 1464. Costantinopoli, 15 aprile 1879 (per. il 23).

Ho avuto l'onore di ricevere il dispaccio che l'E. V. si compiaceva rivolgermi li 3 del presente n. 809 (5) per ordinarmi insistessi presso la Sublime Porta affine essa non abbia a distrarre le rendite precedentemente vincolate, non indugi

più oltre a dare seguito al protocollo XVIII del Congresso di Berlino, né si lasci adescare da proposte di operazioni finanziarie che accrescerebbero le difficoltà della sua posizione.

Ieri ebbi un'ulteriore conferenza col Gran Vizir sulla materia. Esposi nuovamente a Sua Altezza le ragioni per le quali il R. Governo reclamava la presenza dell'elemento Italiano in qualunque Commissione finanziaria fosse per essere istitutita in Turchia, ed era d'avviso fosse venuto il momento di dovere procedere all'esecuzione della deliberazione del XVIII Protocollo del Congresso di Berlino. Il Governo, diceva io, non domanda cose impossibili alla Sublime Porta, e conosce le condizioni finanziarie in cui versa l'Impero, ma ha il diritto di esercitare sull'avvenire di esse quel controllo che fosse concesso ad altri creditori. Sua Altezza rispondeva il Governo Ottomano non stava attualmente trattando coi detentori degli antichi titoli, imperocché la situazione finanziaria della Turchia era tale da rendere assolutamente impossibile per ora di occuparsi dell'assetto degli antichi imprestiti. Però la Sublime Porta avea bisogno urgente di trovare i mezzi necessarii per provvedere alle spese dell'amministrazione, alla sussistenza dell'esercito. Essa non si trovava in grado di porre condizioni a quelli che verrebbero ad offrirle questi mezzi, ma era anzi costretta di subire quelle che le erano imposte dai prestatori. Se i capitalisti Inglesi facessero il mutuo il Governo Ottomano non proporrebbe d'ammettere i Commissarii Francesi. «Ma io vorrei», continuava Sua Altezza, «che venissero gli Italiani ad offrirei delle operazioni di credito ed accetterei tutte le condizioni che essi fossero per domandarmi ». Il Governo non fa distinzione di nazionalità, ma è costretto di sottomettersi alle condizioni che gli sono fatte da quelli che gli portano i mezzi di provvedere alle necessità dello Stato. Replicavo comprendere come la Sublime Porta avesse a subire le conseguenze della situazione in cui versava, ma essa non aveva tuttavia il diritto, per provvedere ai presenti bisogni, di porre completamente in non cale gli impegni solennemente assunti per lo passato, né di distogliere a profitto dei nuovi mutuanti le garanzie precedentemente concesse ad altri. Cui soggiungeva Sua Altezza non poteva la Sublime Porta in ogni caso prendere l'iniziativa di imporre ai nuovi mutuanti condizioni per le quali essa non avrebbe alcuna base, se questi domandassero d'introdurre nella Commissione dei delegati Italiani la domanda sarebbe favorevolmente accolta. Né tutti i miei sforzi riuscirono a smuovere Sua Altezza da questa posizione.

I negoziati che, siccome ebbi già l'onore di riferire all'E. V., pendevano a Londra furono momentaneamente sospesi in seguito alle gravi notizie venute dall'Egitto. Ma a Londra od in altra parte essi saranno prontamente ripresi poiché il Governo Ottomano non può andare innanzi senza procurarsi i mezzi di provvedere alle spese dello Stato. Ed oltremodo arduo sarà d'indurlo nelle presenti congiunture a procedere all'organizzazione della Commissione quale contemplata nel XVIII Protocollo del Congresso di Berlino. Quando io faceva quella proposta al Congresso, m'era previamente inteso coi Plenipotenziarii della Francia e della Gran Bretagna, i quali m'invitavano anzi a formolarla eziandio in loro nome, e m'assicuravo in pari tempo dell'appoggio dell'Austria, della Russia, e della Germania, di modo che la proposta riceveva l'adesione di tutte le Potenze all'eccezione della Turchia. Quale è ora l'avviso della Francia e dell'In

ghilterra riguardo all'istituzione di questa Commissione? Senza l'appoggio di queste è difficile di ottenere il consenso della Sublime Porta. Ed esse, la seconda sopra tutto, sembrano invece disposte a prestare atuto alla Turchia per trarla dalle presenti difficoltà. Né le altre Potenze si muovono. Arroge che quella deliberazione del Congresso, per le ragioni già per me esposte 1n altro rapporto, non poté avere che un carattere di raccomandazione, non obbllgatorlo. Né maggiore probabilità di riuscita ponno avere gli officii tendenti a dissuadere il Governo Ottomano da lasciarsi adescare dalle proposte di nuove operazioni finanziarie, poiché esso continuerà ad allegare il diritto che ctascun posstede di esistere. Però io non cesserò d'agire nel senso delle istruzioni che l'E. V. si compiace conferirmi.

IL MINISTRO A COSTANTITOPOLI, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 1467. Costantinopoli, 16 aprile 1879 (per. il 23).

Iersera comparve il telegramma (l) pel quale l'E. V. mi faceva l'onore di significarmi avessi ad insistere presso la Sublime Porta nel senso delle precedenti istruzioni e dichiarassi inoltre non essere che quando si sarà verificato lo stato delle cose secondo il protocollo XVIII di Berlino che essa potra acquistare la sua libertà d'azione in materia di finanze.

Io non cesso di fare ogni sforzo affine di fare intende,re ai Ministri del Sultano la giustizia dei reclami del R. Governo. Senonché la debolezza della nostra situazione proviene dal completo isolamento in cui l'Italia si trova nella presente questione, ché, mentre essa sostiene le ragioni degli antichi detentori, gli altri Governi che si trovano in analoghe condizioni e che dovrebbero anzi esservi maggiormente interessati, li abbandonano completamente e sembrano perfino disposti a sanzionare col fatto proprio gli storni contro i quali

noi protestiamo. Ed io so di taluni miei Colleghi che andarono dicendo alla Porta ed a Palazzo che l'Italia voleva assolutamente far morire la Turchia. E l'Ambasciata di Russia, dopo le due sue note, non ha più dato segno di vita. Che non vi sarebbe mezzo di uscire da quest'isolamento? Se per esempio i Governi di Francia e d'Inghilterra potessero essere indotti a mettere per condizione della loro cooperazione l'intervento dell'Italia, la cosa andrebbe per se stessa. Oppure non sarebbe il caso di far fare sotto mano qualche interpellanza nella Camera dei Comuni d'Inghilterra nell'interesse di quei detentori di rendita Turca? Ed ora intendo che fra i nuovi negoziatori travasi la casa Camondo residente a Parigi. Che non si potrebbe ottenere che essa metta per condizione la presenza dei delegati italiani nella Commissione? Queste idee io sottopongo al giudizio dell'E. V. la quale ne farà nella sua saggezza il caso che crederà opportuno. E non cesserò frattanto di agire a seconda delle istruzioni da essa impartitemi.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALISSIMO S.N. Parigi, 17 aprile 1879 (per. il 20).

Ho parlato lungamente questa mattina col Signor Gambetta. Condussi la conversazione sulle cose di Tunisi e gli narrai le strane minacce del Signor Conte di Sancy, aggiungendo averle tenute in conto di una fanfaronata sua, del tutto personale, non sembrandomi credibile che la Francia voglia davvero occupar Tunisi fra sei mesi, qualora gl'interessi del Conte di Sancy fossero per avventura più o meno osteggiati dal Console di questa o quella Potenza.

Le mie parole fecero affluire il sangue sul viso del Signor Gambetta il quale proruppe nelle seguenti testuali parole: « Sancy n'est qu'une canaille, je n'ai pas approuvé que le Gouvernement prit fait et cause pour lui. Et quant à l'occupation de Tunis, lorsque méme M. Waddington en aurait la velléité, moi et mes amis nous saurions bien l'en empécher, car le parti républicain ne veut guère se jeter dans les aventures, ni s'embrouiller dans des complications semblables ».

Questo linguaggio impetuoso, chiaro ed, a mio avviso, sLncero del Signor Gambetta, trovava conferma in alcune frasi fredde, misurate, di stile assai diverso, del Signor Waddington. Avendogli io detto che il Conte di Sancy era stato ad accomiatarsi da me, il Signor Waddington soggiunse: «spero che egli ottenga quanto in giustizia gli è dovuto giacché non vorrei mettermi in nuovi imbarazzi per Lui». Gli chiesi allora come andassero le cose a Tunisi e se la pace fosse rinata fra i varii Consoli. A ciò rispose che la rimozione del Console inglese, unico promotore dei recenti e deplorabili dissapori, aveva bastato ad acchetare le ire ed a ricondurre alla tranquillità ogni animo concitato. Finì mostrando la persuasione che con un po' di buona volontà le faccende di Tunisi potrebbero seguire, come pel passato, senza che l'attrito degli opposti interessi abbia a degenerare in lotta pericolosa ed incomoda.

Dopo Tunisi parlai col Signor Gambetta del Fournier e gli chiesi cosa pensasse della condotta seguita da questi a Costantinopoli. Egli, senza reticenza alcuna, deplorò la politica personale fatta dal Fournier a Costantinopoli, deplorò sovra tutto che il Fournier s'imponesse al Waddington e gli facesse accettare i suoi concetti, i suoi intrighi relativamente all'isola di Samos ed alla Chiesa Armena. Disse di Lui cose durissime, sperando però che il gran Cordone conferitogli dal Pontefice divenga pel Fournier una vera iettatura e basti per rovinarlo nella stima e nella fiducia del partito repubblicano.

Finsi di mostrare gran meraviglia nell'udirlo parlare in simil guisa del Fournier, ch'io riteneva essere in gran candeliere presso Lui e destinato a coprire il Ministero degli Esteri in un Gabinetto Gambetta «Jamais, jamais; Egli rispose, je ne veux pas de cet homme-là ».

Il Signor Waddington al contrario palesa molta stima pel Fournier, ne parla, direi quasi, con rispetto e portando al cielo la sua grande abilità. «Il partito Repubblicano, dice Egli, conosce poco le questioni orientali: condanna a torto il Fournier per la sua condotta nella faccenda della Chiesa Armena, mostrando ignorare così, che la vera influenza della Francia in Oriente si esercita per mezzo del cattolicismo e per opera de' suoi Ministri.

Mi parve opportuno di riferire all'E. V. questi diversi apprezzamenti del Signor Gambetta e del Signor Waddington, due uomini tanto dissimili per qualità d'ingegno e di carattere, per vera importanza presente e futura, e ciò che più preme a noi, pel grado assai differente di simpatia e d'affetto che ciascuno d'Essi porta all'Italia.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, TORNIELLI, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

T. 205. Roma, 18 aprile 1879, ore 10,30.

Les nouvelles que nous avons reçues de Constantinople au sujet des dispositions de la Porte sont rien moins que rassurantes pour le maintien des droits du Khédive: On invoque contre lui la clause du firman révoquant les concessions dans le cas de mauvaise administration. Nous avons fait des réserves à cet égard, mais la situation du Khédive est grave. Ce que vous m'avez télégraphié au sujet de la commission d'enquete (l) n'est pas exact. Cette commission est bien loin d'avoir l'importance, le caractère et l'autorité de la commission européenne prévue dans le protocole 18 de Berlin. En outre l'effet moral probable de la déclaration du Khédive de vouloir soumettre la situation financière et l'examen des moyens d'y pourvoir à la commission du protocole 18 nous semble conseiller une pareille résolution. Formulée dans les termes mémes du protocole une semblable proposition intéresserait en quelque sorte l'autorité de l'Europe à laquelle, pour ainsi dire, l'Egypte ferait appel. Tàchez d'insinuer cette idée avec toute la circonspection possible et sans en former le sujet d'une initiative pouvant engager l'Italie vis-à-vis des autres Puissances.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 2291. Berlino, 18 aprile 1879 (per. il 22).

Le Prince de Bismarck considère que te projet d'occupation mixte dans la Raumélie Orientale est écarté. Le Comte Andrassy est venu trais fois à la charge paur demander le cancours matériel de l'Allemagne, cancaurs qui a été refusé en suite de l'attìtude constamment abservée ici dans les affaires Orientales. Sauf cette réserve, San Altesse admettaìt cependant ce projet, et en avaìt méme recammandé l'acceptatìan à d'autres Cabìnets. S'il a échoué an le daìt au Prìnce Gortchakaw, plus que jamais l'adversaire du Comte Schauvalaff. Les condìtìons mìses à notre adhésìon (questian d es frais, transport d es traupes-j'ìgnaraìs ces condìtìons) auraìent aussi faurnì des arguments à l'opposìtìon du Chancelier russe (l). Maìntenant !es traupes du Tzar se dìspasent à évacuer la Raumélie. sauf à laisser ou à faire éclater derrière elles un soulèvement et se ménager aìnsi une raison ou un prétexte de rentrer. C'est ce qu'on appelle au théàtre une fausse sartie. Le danger serait plus grand encore si la Russie avait l'arrière-pensée de faire en méme temps front contre l'Autriche-Hongrie, dans le cas aù celle-ci chercherait à se mettre en travers. Si tel est le plan de la Russie, an est loin ici de l'apprauver; mais raisan de plus paur se montrer trèscirconspect. N'était l'Empereur Guillaume qui ne veut pas déserter la cause de l'Empereur Alexandre dans un moment surtout où san pays traverse une crise si redoutable, peut-étre que le Prince de Bismarck useraìt moins de ménagements, et accentuerait ses préférences paur Vìenne. Quoi qu'il en soit, ce dernier est très-préoccupé de la situation qui se complique aussi vers l'Egypte.

Il regrette que l'Angleterre, il y a deux ans, n'ait pas suivi son conseil de s'emparer de ces contrées. Alors elle n'avait à craindre aucune opposition sérieuse, pas mème de la France. Si aujourd'hui ces deux Puissances se décidaient à une intervention à main armée, elles ne tarderaient pas à échanger des coups de fusil. Le condominium est impossible surtout entre Puissances rivales. Ce serait la guerre avec toutes ses conséquences; une grave menace pour la tranquillité générale. L'Allemagne notamment en a besoin pour conduire à bon terme ses réiormes économiques, pour relever son industrie et son commerce. Bref, la situation en Orient est des plus graves. Peut-ètre que l'odieux attentat contre l'Empereur Alexandre predisposera ce Souverain à prèter davantage l'oreille aux hommes modérés camme le Comte Schouvaloff. Mais si ses adversaires l'emportent, la corde restera tendue au risque de se rompre. On parlerait déjà d'augmenter l'armée russe de 24 en 30 divisions. Ce fut à peu près avec la mème force que la Prusse a combattu l'Autriche en 1866. Est-ce dans ce but que le Cabinet de Pétersbourg a fait des ouvertures aux Rothschild de Paris et de Londres pour un emprunt, ouvertures qu'ils n'ont pas accueillies? Elles ont été également refusées à Berlin. La situation intérieure est-elle si compromise qu'une nouvelle diversion à l'extérieur se présente camme une nécessité?

V. E. aura sans doute des notions plus précises que celles que je suis à mème de lui fournir d'un centre où il est si difficile je ne dirai pas de moissonner, mais simplement de glaner.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 1037. Vienna, 18 aprile 1879.

Ben prima di ricevere il dispaccio dell'E. V. del 13 corrente n. 726 (l), mi ero preoccupato della sorte di quei cittadini Italiani che, arrestati sotto imputazioni d'indole politica, sono tuttora nelle carceri di Trieste, sebbene appaja per lo meno dubbio che le condizioni in cui si trovano siano pienamente giustificate dalle disposizioni di Legge vigenti in Austria. Il lasciare quei R. Sudditi in tal maniera in balia dell'arbitrio della polizia di Stato, che in questa circostanza mostra sovrapporsi al potere giudiziario, non poté a meno di parere anche a me contrario a quel supremo dovere che ad ogni Stato incombe di proteggere i suoi nazionali all'Estero, e quindi anche lesivo alla nostra dignità. Indubbiamente quindi dovremmo in quella forma precisa sì ma pur sempre amichevole quale conviensi usare fra Stati che felicemente si trovano legati l'un all'altro da sincere, cordiali relazioni, richiamare l'attenzione del Governo Imperiale sul fatto di cui é caso e pregarlo a volerei porgere al riguardo quelle spiegazioni atte a chiarire se possibile i nostri dubbi intorno al corretto procedere delle sue autorità giudiziarie ed a fornirci anche i mezzi d'illuminare rettamente l'opinione pubblica in Italia, ove per avventura essa avesse a mostrare nelle forme d'uso nei paesi parlamentari d'essersi lasciata indurre dalle apparenze ad erronei apprezzamenti intorno a quei fatti. M'astenni però fino ad ora dal sottoporre queste mie considerazioni all'E. V. non avendo potuto a meno di preoccuparmi anche delle conseguenze del passo ch'io avrei proposto di fare, poiché non v'ha dubbio che se l'intromissione in faccenda di tal natura per parte di un'estera Potenza, non può in tesi generale intorbidare le sue relazioni collo Stato a cui essa si rivolge, vi sono circostanze in cui la cosa corre ben diversamente e questo per l'appunto sarebbe il caso nostro. Infatti io ho la certezza che, a fronte di un nostro atto qualsiasi diretto ad intromettersi a tutelare la sorte di quei nostri concittadini imputati di fomentare anche con vie di fatto le intestine discordie di quei territorii, che soggetti all'Austria sono abitati da popolazione di razza italiana, vano sarebbe sperare di trovare un amichevole deferente ascolto per parte del Governo Imperiale. Ci si risponderebbe probabilmente che i torbidi che travagliano i paesi dell'Austria confinanti coll'Italia, sono essenzialmente conseguenza dell'agitazione che liberamente si svolge nel nostro Paese per opera del partito che ha scritto sulla sua bandiera «Italia irredenta »: che il Gabinetto di Vienna non ci chiede conto delle considerazioni giuridiche a cui il R. Governo si appoggia permettendo il libero svolgimento dell'azione di quel partito, nonché le sue esplicite manifestazioni, quali sono la pubblicazione e la diffusione per mezzo del gior

nale L'Italia degli Italiani delle lettere di G. Garibaldi, Aurelio Saffi, Alberto Mario ecc. e di altri scritti (vedi il n. dell'8 aprile del precitato giornale) che direttamente tendono a spingere all'affrancamento colla violenza di terre Austriache dal dominio di chi, in forza dei Trattati, se ne reputa legittimo Signore: che quindi non foss'altro che per giusta reciprocità non s'intende riconoscerei il diritto di sindacare i mezzi coi quali il Governo Imperiale si tutela sul proprio territorio contro quell'azione sì apertamente contro di Lui ostile che trova ogni appoggio ed incitamento in casa nostra. Ove questa risposta ci venisse data, ed a mio credere fondato sulla conoscenza che ho in conseguenza di lunga esperienza degl'intendimenti a nostro riguardo in simili faccende del Gabinetto di Vienna, poco diversamente suonerebbe il riscontro che otterressimo: non avressimo a scegliere che fra due partiti: uno, il silenzio che, a mio avviso, sarebbe per noi peggio che di tacere oggi in cui almeno possiamo lasciar credere che non ci può neppur balenare nella mente il pensiero che in Austria l'azione giudiziaria e quella della polizia possano svolgersi in modo non perfettamente consentito dalle vigenti leggi: l'altro, il replicare con argomentazioni che condurrebbero ad una di quelle polemiche che le cancellerie diplomatiche non impegnano fra di loro se non il giorno in cui credono torni loro conto cogliere un'occasione per arrivare ad un'aperta rottura: il tatto e la prudenza del R. Governo fecero sì che ciò non succedesse già altre volte, ma in questa circostanza ritengo che le migliori e più pacifiche nostre intenzioni non ci arresterebbero su quella strada se vi ponessimo piede. Stando così le cose, almeno a mio modo di vedere, non mi troverei in grado di esprimere un parere sul da farsi, poiché ciò deve essenzialmente dipendere da considerazioni d'ordine superiore che sfuggono alla mia competenza. Infatti se il R. Governo crede che in una vertenza di questa natura Egli avrebbe in suo favore l'appoggio morale di altri grandi Gabinetti, o per lo meno non avrebbe a temerne una mal dissimulata ostilità e di più non credesse dover indietreggiare dinnanzi al pericolo di affrontare una di quelle situazioni da cui non si esce se non dando prova d'impotenza, quando non si voglia arrischiare misure forse non opportune nella situazione generale d'Europa: in tal caso non c'è altro da fare se non di rivolgere al Governo Imperiale un'interpellanza nella forma da me più sopra indicata. Se poi la situazione politica del R. Governo a fronte degli altri Gabinetti ed altre considerazioni anche possono far apparire meno conveniente l'avventurarci su di una pericolosa via dalla quale non potremmo tornar indietro, in tal caso converrebbe, duolmi doverlo dire, rassegnarsi a tacere.

In difetto del richiestomi parere parmi di avere almeno fornito all'E. V. gli elementi necessari per prendere una ben ponderata determinazione sul da farsi in questa grave questione. In attesa quindi degl'ordini che Le piacerà impartirmi al riguardo... (1).

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS (l)

R. 579. Cairo, 19 aprile 1879 (per. il 25).

Ieri sera mi è pervenuto il telegramma di V. E. dello stesso giorno (2).

I telegrammi Havas e Reuter da Parigi e Londra, giunti in questi giorni scorsi, con notizie cosi allarmanti sulle disposizioni della Sublime Porta verso il Khedive, eccitarono una grande inquietudine, ma posso accertare l'E. V. che il sentimento generale de( paese si è pronunciato per la resistenza, quando quelle notizie potessero verificarsi. Circa quattro mila ufficiali, di tutti i gradi, e quelli in attività, e quelli che formano i quadri dell'esercito, hanno voluto rinnovare il giuramento di fedeltà al Khedive, ed hanno dichiarato di voler difendere ed i suoi diritti, e quelli del paese. E mi consta che il Governo ha prese tutte le disposizioni, per chiamare in caso di bisogno, sotto le armi, 30 mila uomini.

Dal mio rapporto del 14 corrente di n. 577 (3) l'E. V. avrà osservato che *ciò che le ho telegrafato (4) dopo di aver insinuato al Khedive il concetto del telegramma di V. E., relativo alla * (5) dichiarazione del protocollo 18 del

Congresso di Berlino, non sono apprezzamenti miei, ma del Khedive, il quale credette che l'operato della Commissione d'inchiesta avesse, se non in tutto, in parte supplito a quella dichiarazione. Io insistetti, come ho insistito quest'oggi col Khedive, per fargli comprendere la differenza d'importanza e d'autorità tra le due commissioni, e come in una situazione così grave, un appello all'autorità dell'Europa potrebbe avere un successo favorevole.

Mi è sembrato che Sua Altezza ne sia stato colpito, poiché mi ha risposto che vi avrebbe seriamente pensato.

L'E. V. può esser rassicurata che anche nella conversazione di quest'oggi col Khedive, io non ho fatto che insinuare l'idea, come tutta mia, officiosa e confidenziale, senza menomamente prender nessuna iniziativa che potesse impegnare il R. Governo.

IL MINISTRO AD ATENE, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 318. Atene, 22 aprile 1879 (per. il 30).

Evidentemente in chiunque si preoccupi della gravissima questione GrecoAlbanese, il giudizio che su di essa esprime il Cavaliere De Gubernatis nel suo rapporto del 16 scorso Marzo (2), non può non attirar l'attenzione. Ei dice, è vero, che gl'Albanesi riguardano Janina come la loro capitale, ma addita pur anco l'assenza di un positivo loro diritto sulla stessa ed afferma che, da più di tre secoli, essa e il suo distretto sono ellenizzati. Il punto culminante dunque di quel rapporto è, a mio avviso, quello in cui il summentovato R. Agente asserisce che, mancando negli Albanesi la coscienza di un preciso e reale diritto su Janina, non sarebbe impossibile, a certe condizioni, di farli colà desistere da ogni pretesa, sempreché l'Europa sia pienamente concorde nel favorire gl'interessi della Grecia.

Or bene, lo confesso, non posso nascondere di essere immensamente colpito dalla identità che presenta il giudizio autorevole di un funzionario come

11 Cav. De Gubernatis, con quello esternato dal Pascià Albanese, di cui il Signor Logotheti riferiva il modo di vedere al Signor Cumunduros, e che io ebbi incarico di comunicare all'E. V.

Il Cavaliere De Gubernatis addentrandosi nell'argomento, colla maestria che gl'accorda la sua conoscenza di siffatta contrada, dopo di aver insistito sulla necessità che tutta l'Europa sia concorde nel dettare i nuovi confini fra la Grecia e l'Albania e si adoperi a scemare l'agitazione che regna, conchiude quindi che dovrebbero sostenersi presso la Sublime Porta le domande degl'Albanesi, concernenti la loro autonomia provinciale. Questa che, promossa da noi, sarebbe essenzialmente, al punto di vista Ellenico, la migliore delle soluzioni, egualmente favorirebbe, nella debole opinione mia, gl'interessi italiani, come quella che soddisfarebbe appieno le aspirazioni dei Greci, altrettanto che le esigenze dei popoli Albanesi, i quali riguarderebbero il Governo del Re come campione e protettore della loro nazionalità. E grati per l'autonomia acquistata, precipuamente dietro l'iniziativa dell'Italia, piegandosi essi al sagrificio di Janina, preparerebbero la via a quella unione personale colla Grecia, sulla base di una federazione o di qualsivoglia altro accordo, che, nel corso degli avvenimenti futuri, sarebbe per noi la più desiderabile e la più utile delle combinazioni.

Simile ideale politico, che ben corrisponderebbe alla missione che l'Italia ha da compiere in Oriente, e che la porrebbe in grado di raggiungere la meta, per essa vitale, di promuovere la prosperità delle altre nazioni di razza pelasgica, senza però offenderne alcuna, può non essere facile a conseguire e di lontana esecuzione. Ma può anche darsi che qualche fatto impreveduto, venga repentinamente a imporre l'obbligo di accingersi a risolvere quell'intricato problema, assai prima di ciò che si creda.

Per quanto possa parer poco probabile che, per le ragioni ormai cotanto note, la questione di Janina giunga a esser sciolta a seconda dei voti della Grecia, tuttavia è innegabile che, per noi, insorgerebbero serie difficoltà il giorno in cui, dalla maggioranza delle Potenze, venisse deciso di aderire ad una nuova proposta francese pella piena esecuzione del protocollo XIII del Congresso di Berlino non astante il clamore degli Albanesi. Nessuno, adunque, potrebbe accusarci di mire ambiziose o di reconditi fini se, colla esperienza che ora abbiamo acquistata intorno alle funeste conseguenze che siffatta eventualità varrebbe a produrre, cercheremo di premunirei contro di esse.

Avendo avuto su di questo, appunto, una interessante conversazione col mio collega di Germania, avanti di darne conto all'E. V., ho dovuto necessariamente premettere a tale delicatissimo argomento le considerazioni che ho avuto l'onore di esporre più in alto, e valga codesta dichiarazione a esonerarmi da qualunque taccia di troppo ardire, che, per avventura, mi possa venir addebitata per aver in modo sì reciso osato palesare il sentimento mio.

Il Signor di Radowitz esordi col dirmi che aveva studiato a fondo la delimitazione di frontiera da darsi alla Grecia e che assolutamente, sotto l'aspetto militare. la sola difesa della pianura Tessala è il Pindo, di cui è centro Metsovo (alquanto al disopra, a oriente, di Janina), e che qualunque altro confine meno esteso, che si volesse assegnare al Regno Ellenico, sarebbe insufficiente per la

nuova posizione che gli si vuoi creare nella penisola balcanica. Né Metsovo potrebbe essere considerata come una minaccia per l'Albania. Nelle mani della Turchia lo sarebbe per la Grecia. In potere di questa, servirebbe solamente alla sua tutela. Tal'è il parere degli ufficiali dello Stato Maggiore Tedesco che erano qui quest'inverno, in missione governativa, per compilare la gran carta geografica dell'Europa. In codesti termini il Signor di Radowitz ha per conseguenza dipinto la situazione a Berlino dal lato strategico.

Per contro, dalla parte del Monte Olimpo, i medesimi ufficiali Teleschi pronunciarono che il punto strategico corrispondente alla posizione di Metsovo· è la città di Petra, la quale, in qualunque combinazione che fosse per escogitarsi, dovrebbe rimanere alla Turchia, a meno che si volessero aprire ai Greci le porte della Macedonia, di cui quella località è la chiave.

Dal lato politico finalmente il Signor di Radowitz mi affermò che, in massima, il suo Governo troverebbe deplorevole che i suggerimenti dati dalle potenze in favore della Grecia non ricevessero piena esecuzione; imperocché, per non essere il protocollo XIII parte integrante del Trattato del 13 scorso luglio, l'inosservanza del suo contenuto non cesserebbe dal costituire una infrazione al Trattato stesso.

Traendo argomento da ciò, il Rappresentante Germanico mi ripetè ancora qual fosse l'esatto criterio che il Governo Imperiale reca nell'apprezzamento della vertenza Turco-Ellenica. Il Principe Cancelliere, ei mi disse, non si sarebbe mai fatto iniziatore di una mozione come quella che credettero di formulare altre Potenze, perché giammai la Germania contrarrebbe un impegno senz'avere il fermo proposito di sostenerlo, all'uopo, anche colla spada, o solleverebbe inconsideratamente speranze in una nazione, per esporsi quindi, il giorno in cui si tramutino in un amaro disinganno, a tutto il suo rancore.

A questo riguardo il Signor di Radowitz espresse il più severo biasimo sulla condotta seguita dalla Gran Bretagna rispetto alla Grecia non solo, ma nel complesso di tutta la questione Orientale, accentuando le sue censure ne' termini più aspri.

Fatta dunque la dichiarazione di principii che precede, H mio interlocutore mi palesò francamente, che il Gabinetto Germanico, oltre ad associarsi a qualunque proposta del Signor Waddington tendente a chiedere la fedele esecuzione del Protocollo XIII, vi si presterà con molta sollecitudine, essendo ora una delle basi della politica tedesca l'accordare il più leale appoggio alla Francia, in qualunque vertenza d'ordine Europeo, che non sia in urto cogl'interessi dell'Impero. Continuando a svolgere i suoi ragionamenti sulle questioni che scaturiscono, e che scaturir panno dai rimpasti della penisola balcanica, il Signor di Radowitz pare credere che l'Austria non andrà sì presto né sì facilmente a Salonicco. Mi giova intanto di far notare a V. E. che, dal canto suo, anche il Signor Tissot, sebbene metta fuor di dubbio il compimento di quella occupazione nei progetti dell'avvenire, è dello stesso avviso per ciò che concerne il momento attuale.

Questo soggetto condusse però il Signor di Radowitz a parlarmi di un argomento d'indole molto riservata. Egli sostenne meco la teoria che l'Italia avrebbe ogni diritto a fare delle riserve e a chiedere delle guarentigie rispetto alle sorti dell'Albania. Il Diplomatico tedesco mi rammentò come su tale materia avesse avuto parecchi abboccamenti con S. E. il Conte De Launay, d'ordine del Principe di Bismarck, il quale sempre era stato d'opinione, e verosimilmente lo era ancora, che l'Albania fosse un campo adatto a un legittimo esercizio del prestigio italiano. Aggiunse che questo era pure il parere generalmente invalso in Europa, non esclusa probabilmente la stessa Austria-Ungheria. Che anteriormente al Congresso di Berlino, il Conte Andrassy avea pregato il Governo germanico a scandagliare su di ciò le intenzioni nostre. «Or dunque», diceva il Signor di Radowitz, « se veniva generalmente riconosciuto allora che l'Italia avrebbe avuto ragione a reclamare questa parte d'influenza. perché non lo sarebbe egualmente adesso. Certamente l'istante non sarà più così propizio, né forse la opportunità così evidente, come se, all'epoca del Congresso, la questione albanese fosse stata messa sul tappeto. Ma siccome nel passato Luglio tutte le Potenze, e la Germania segnatamente, riconobbero i servigi resi dal Governo Italiano per il mantenimento della pace Europea, anche oggi, che uno studio spassionato rivela uno strettissimo nesso tra la questione Ellenica e gl'interessi Italiani, sono sicuro che le Potenze sarebbero egualmente concordi ad ammettere il dlritto dell'Italia ad avere delle guarentigie circa l'Albania. In ogni caso io non dubito che tale sarebbe il sentimento della Germania e che l'appoggio che essa era disposta a dare a questa idea prima del Congresso di Berlino, anche presentemente non farebbe difetto».

Non credetti di enunciare intorno a codesto apprezzamento alcuna opinione che potesse comparire in guisa qualsiasi il riflesso delle emanazioni che io ricevo dal Governo del Re. Fra la gran copia di prove della ostilità del Gabinetto di Vienna su tale vertenza, ricordando però in special modo la memoria annessa al documento diplomatico n. 1556 (LX) mandatomi il 13 Dicembre 1877, replicai al mio collega che le nostre informazioni tendevano, al contrario, a dimostrarci quanto l'Austria-Ungheria fosse gelosa di qualunque supposto ingrandimento della nostra sfera di azione, e ben a torto; perché se in Albania avevamo un interesse di primo ordine, desso non era fondato su alcun disegno annessionista. Ma importarci, certo, che da nessun altro si meditino conquiste su quelle coste; in altri termini che l'autonomia delle provincie Albanesi rimanga intatta. Esser questo puramente e semplicemente il nostro scopo.

Osservai, del resto, al Signor di Radowitz, che avendo egli conferito di tutto ciò con S. E. il Conte De Launay, doveva già aver ricevuto da lui le più ampie assicurazioni dell'assenza di qualunque progetto, da parte dell'Italia, di avventure sull'altro lato del litorale Adriatico, e che non avevamo cangiato pensiero: «Non ne dubito», risposemi il Ministro germanico, «sebbene sia tutto a Valana ch'io vorrei darvi appuntamento. Ma ciò non toglie che la questione del vostro diritto ad avere delle guarentigie sull'avvenire dell'Albania, potrebbe essere francamente accampata, qualora si verificasse uno smembramento dell'Epiro, circostanza che ampiamente giustificherebbe la vostra pretesa».

Collo stesso postale al quale affido la spedizione di questo rapporto, parte il Signor di Radowitz, il quale ritorna a riprendere a Berlino la posizione che

da tanti anni egli già ha occupato al Ministero Imperiale degli affari esteri. Non ho voluto perciò frapporre indugio a rassegnare all'E. V. l'importante colloquio che ho con lui avuto (l).

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. R. CONFIDENZIALE 496. Parigi, 23 aprile 1879 (per. il 26).

Col dispaccio di questa serie n. 448 del lO corrente (2), V. E. mi rimetteva la copia d'una lettera ricevuta da persona autorevole sulle relazioni esistenti fra la Francia e la Germania, e sulle probabili complicazioni che potrebbero sorgere fra questi due paesi in un avvenire più o meno remoto. E nel richiamare la mia attenzione su cotali notizie Ella mi faceva l'onore di chiedere il mio avviso intorno al peso che si deve alle medesime attribuire.

Dirò francamente che codeste notizie non si accordano punto con quelle che io raccolsi l'anno scorso in Germania, né colle idee del Signor Gambetta da me ripetutamente esposte all'E. v.

Allorché, dopo la morte del Re Vittorio Emanuele, fui mandato a partecipare ufficialmente alle Corti di Berlino e di Baden l'avvenimento al trono di Sua Maestà il Re Umberto, ebbi agio di parlare a lungo e varie volte con altissimi personaggi, i di cui giudizi concordi, miti, e quasi direi favorevoli alla

Francia, mi colpirono grandemente. È bensì vero che non vidi il Principe di Bismarck, che trovavasi allora a Varzin, ma vidi frequentemente il Maresciallo Moltke, col quale si parlò delle cose di Francia.

Il Maresciallo Moltke, quando nell'autunno del 1875, accompagnò l'Imperatore di Germania a Milano, e quando recossi a Roma nel marzo seguente, trovavasi in un ordine d'idee ostilissimo e minaccioso alla Francia; e, come poco dianzi aveva detto nel Parlamento tedesco, stava continuamente colla mano sull'elsa della spada. L'anno scorso invece mi apparve tutto mutato, facendo elogi della Repubblica ed in ispecie del Signor Gambetta, portando al cielo la temperata saggezza della sua politica e dei suoi propositi. Disse, aver fede ormai nella pace e nell'opera lenta del tempo, che cancellerebbe ogni vestigio del secolare risentimento e permetterebbe l'esistenza di buoni rapporti fra la Germania e la Francia.

Fossero le parole del Maresciallo dettate da schietta e profonda convinzione o fossero piuttosto suggerite dall'arcano istinto che ispira al vecchio un desiderio di pace, quando è alla vigilia di scendere nel sepolcro e non ha più forze per far la guerra, egli è innegabile che mostrò fiducia negl'intendimenti personali del Signor Gambetta e nell'indirizzo pacifico della Repubblica francese. E le sue idee e i criteri suoi mi parvero pienamente condivisi dal Principe Imperiale, dalla Principessa sua moglie, donna di altissimo senno, confermati da qualche frase dello stesso Imperatore, ripetuti con compiacenza da vari Generali, fra cui rammento lo stesso Maresciallo Manteuffel.

In quanto al Signor Gambetta, dacché lo conobbi, lo trovai sempre vagheggiando, come programma di politica estera, l'alleanza franco-italo-germanica. Ne tenni parola all'E. V. sul finire del 1876 e nei primi mesi del 1877, e sin d'allora Le accennai che il riavvicinamento della Francia e della Germania per opera dell'Italia era il pensiero dominante, era l'ideale accarezzato dal Signor Gambetta. Egli diceva allora, e dice oggidì:

« Il risentimento, vicino sempre a degenerare in aperta ostilità, stanca del pari la Francia e la Germania, snatura l'indole della loro politica, mantiene una perpetua inquietudine nei due paesi, li costringe a continue difese, a diffidenze eterne, e nello stesso tempo pone l'Italia nel più crudele imbarazzo. E difatti, Voi lo sentite bene, venendo a scoppiare una nuova guerra fra la Francia e la Germania, sareste fatalmente strascinati a prendere partito per l'una o per l'altra, od a rimanere strettamente neutrali. E questa o quella risoluzione sarebbe in ogni caso gravissima, potendo costarvi cara ed esporvi a seri pericoli. Servendo invece di anello di congiunzione fra la Germania e la Francia, la parte dell'Italia sarebbe nobile e grande in faccia alla storia, sarebbe utile e saggia nel terreno pratico ».

Questo pensiero del Signor Gambetta trovò fredda e quasi derisoria accoglienza a Roma, quand'io ne parlai due anni or sono. Mi fu risposto che nessuno oserebbe farne parola al Principe di Bismarck, e che l'Italia rischierebbe di scapitarvi, volendo assumere l'apostolato delle idee Gambettiane. Io non ne feci più motto, persuaso che altre influenze, altre opinioni più autorevoli della mia avessero il sopravvento. Non ignorava d'altronde esservi persone importantissime ed ascoltate che facendosi più germaniche del Principe di Bismarck amano soffiare sul fuoco onde avvampi, amano di incrudelire i rancori e le diffidenze esistenti fra i due paesi, onde prorompano a nuova guerra.

A me sembra codes~a politica molto arrischiata, ed è lecito domandare cosa vi guadagnerebbe l'Italia e, nella migliore delle ipotesi, se vi guadagnerebbe in proporzione del pericolo nel quale si sarebbe avventurata. La parte eh., il programma estero del Gambetta assegna all'Italia avrà sembianza 01 utopia agli occhi di qualcheduno, fors'anca di molti. Ma non è men vero che un simile compito tornerebbe altamente onorevole, ed insisto a credere, altamente fecondo pel nostro paese.

Ad ogni modo questa idea del Signor Gambetta dimostra meglio di ogni altro argomento l'insussistenza delle notizie contenute nella lettera, di cui piacque all'E. V. rimettermi copia. Non vi ha dubbio che lo stato della Francia sia di natura da giustificare molte apprensioni, molti timori. L'incalzante succedersi di nuove esigenze, di maggiori pretese, di più sfrenate tendenze demagogiche, potrebbe travolgere il Signor Gambetta, il suo programma e gli amici suoi. Ma sino a che ciò non avvenga, sino a che la sua parola trovi un'eco fedele e i suoi pensieri siano accolti e divisi da una maggioranza plaudente, e quand'anche egli giungesse alla Presidenza della Repubblica, di due cose mi sembra che possiamo vivere sicuri: l'una che non farà mai la guerra alla Germania, l'altra che avrà sempre l'Italia in molto pregio ed affetto.

E di ciò gli so grado, come italiano, quantunque soventi e in molte cose io dissenta da Lui, come uomo politico.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

T. 210. Roma, 24 aprile 1879, ore 23,25.

Le projet du Vice Roi de créer un Conseil d'Etat avec majorité étrangère (l) ne nous semble pas répondre aux exigences spéciales de la situation. Sans apprécier pour le moment l'utilité intrinseque de cette institution nous sommes d'avis que ce que tout le monde attend du Khédive est une démonstration claire et catégorique de ce que l'Egypte peut faire pour satisfaire les réclamations de tous ses créanciers sans exception. C'est afin d'arriver à ce résultat que nous avons désiré que vous suggériez au Vice Roi de demander la formation d'une commission européenne sur les bases et d'après les principes acceptès par les Puissances dans le protocole 18 du congrès de Berlin. Nous croyons que si le Vice Roi hésite à prendre une résolution et s'abandonne encore à l'espoir d'arriver à persuader l'Europe de la solidité financière de conseils, comités etc. etc., il pourra se faire qu'un beau jour il se trouve en présence d'une demande formelle des Cabinets qui n'ont pas eu lieu d'etre satisfaits des derniers événements et alors il sera trop tard pour présenter des contreprojets.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 593. Vienna, 25 aprile 1879, ore 17,25 (per. ore 18,45).

Aleko pacha est arnve a Vienne. Il est venu me voir et a rencontré chez mai Schuvaloff. D'après le langage qu'il a tenu il a montré qu'il sera tout à fait un instrument dans les mains des bulgares. Schuvaloff l'a pressé de se rendre à san poste pour le 3 mai, l'évacuation des troupes russes devant commencer à cette date. Il a aussi exprimé l'avis que les troupes turques ne devront occuper aucun point de la Roumélie tant qu'il ne se produirait pas de troubles, avis qu'Aleko a dit partager complètement.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI

T. 214. Roma, 26 aprile 1879, ore 12,30.

M. de Noailles m'a communiqué hier une dépeche de san Gouvernement en date du 21 avril. Le Gouvernement français, après avoir constaté l'insuccès des négociations directes entre la Turquie et la Grèce, propose que les pourparlers soient transportés à Costantinople. Les six Puissances se concerteraient pour faire connaitre à la Grèce que a demande de médiation est accueillie, et elles inviteraient, par une démarche simultanée, les parties intéressées à nommer des plénipotentiaires pour reprendre les négociations à Constantinople. Quant à la médiation les Cabinets en confieraient l'exercice à leurs représentants auprès de la Porte réunis en conférence.

Nous nous mettons en communication avec les autres Cabinets pour savoir s'ils n'ont point d'objection à la réunion d'une conférence. V. E. sait qu'une pareille proposition, mise en avant à l'occasion de la discussion d'Arab Tabia, avait rencontré l'opposition absolue de quelques Cabinets.

M. de Noailles a été en outre chargé de nous déclarer qu'aucune ouverture séparée n'avait été faite par son Gouvernement à l'Angleterre au sujet du tracé des frontières helléniques. Le Cabinet anglais avait fait quelques ouvertures à Paris et il avait été constaté que l'Angleterre se montrerait maintenant plus favorable à la Grèce qu'elle ne l'avai t été jusqu'ici (l).

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 595. Pera, 27 aprile 1879, ore 1,10 (per. ore 4,50).

Ministre des affaires étrangères vient de déclarer que la Grèce ayant rejété les dernières propositions de la Porte, les négociations directes avaient été interrompues et qu'il n'y avait pas non plus de négociations pendantes à cet égard avec les autres Puissances.

Quant à l'application de l'art. 24 du traité de Berlin, la Porte était plutòt disposée à la subir, lorsque les Puissances jugeront convenable d'y avoir recours qu'à en admettre l'opportunité. Aujourd'hui commission européenne a signé le statut organique de la Roumélie orientale.

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CATALANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. RR. 343/266. Londra, 28 aprile 1879 (per. il 3 maggio).

Confermo all'E. V. il telegramma n. 263 (1), che ho avuto l'onore di spedirle poc'anzi; ed aggiungo taluni altri ragguagli sulla conversazione che ho avuto oggi col Marchese di Salisbury.

Sua Signoria non ha ancora risposto alla Circolare della Francia del 21 aprile, alla quale si riferisce il telegramma dell'E. V. del 26 corrente (2).

Cionondimeno, il nobile Lord m'incaricò di comunicarle riservatamente, per informazione particolare, (egli aggiunse), dell'E. V., che ha intenzione di accettare la proposta del Governo Francese per la mediazione fra la Turchia e la Grecia, prevista dall'art. XXIV del Trattato di Berlino; ma che disapprova il progetto del Governo Francese che i Rappresentanti delle Potenze soscrittrici di quel Trattato, si riuniscano in conferenza a Costantinopoli; volendo egli evitare le questioni sul modus procedendi nel seno della Conferenza, che si metterebbero in campo per sapere se necessarie a decidere siano la maggioranza

o l'unanimità del voto dei Rappresentanti.

Nelle intenzioni di Lord Salisbury, gli Ambasciatori delle sei Potenze dovrebbero adoperarsi, ciascuno da canto suo, per facilitare le negoziazioni fra la Sublime Porta e la Grecia.

Tolsi occasione dell'abboccamento per indagare quali fossero i pensieri di Lord Salisbury relativamente all'estensione di territorio che la Turchia dovrebbe cedere al regno Ellenico.

Le cose più importanti che io seppi da Sua Signoria, con tutta certezza, sono le seguenti: Lord Salisbury è più fermo che mai sull'opinione:

1° che Giannina debba rimanere alla Turchia non alla Grecia; poiché a questa sarebbe acquisto pericoloso, a quella gravissima perdita;

2° che l'Albania debba eziandio, rimanere in mani del Sultano, che concederebbe a quella provincia un nuovo ordinamento, in conformità dell'art. XXIII del Trattato di Berlino;

3° che la Grecia non debba ricevere alcun compenso in Tessaglia, pel territorio che non otterrà in Epiro né in Albania, imperocché «non solamente i Greci non hanno fatto guerra ma diplomazia, ma perché » soggiunse il nobile Lord, «non era nelle intenzioni del Congresso di Berlino concedere loro un tale compenso».

Il Marchese di Salisbury mi confermò aver ricevuto la comunicazione della Turchia del 22 corrente, colla quale la Porta dichiara non potere oltrepassare, nelle concessioni territoriali alla Grecia, quei limiti che aveva indicato alle Potenze nella Circolare del 18 marzo scorso.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI

T. 222. Roma, 29 aprile 1879, ore 22,45.

Je viens de télégraphier à Londres (l) que nous n'avons pas d'objections à faire contre le projet de faire accompagner Aleko pacha par la commission européenne lorsque ce gouverneur général se rendra à son poste. Veuillez dire à M. Vernoni que le Gouvernement du Roi compte sur son zèle et son dévouement pour l'accomplissement de cette seconde partie de sa mission aussi honorable que délicate.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, TORNIELLI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI

D. 460. Roma, 29 aprile 1879.

Con suo recente rapporto il R. Console in Canea tenendomi discorso delle grandi ditncoltà che incontra l'opera di riordinamento dei pubblici servizii nell'interno dell'isola di Creta, mi ha pure fatto cenno dello stato di permanente agitazione, in cui sono tenute quelle popolazionni per opera di certi capi rivoluzionarii. Soggiunge il cavalier Machiavelli che alcuni di questi agitatori operano ad istigazione di un suddito francese nativo di Canea, uomo di tristi antecedenti. Costoro vanno dicendo che non avendo voluto l'Inghilterra occupare l'isola, e rifiutandosi le Potenze all'unione di Creta alla Grecia, ai cretesi non rimane ora altra via per scuotere la dominazione ottomana che quella di darsi in balia alla Francia (l) .

In un mio precedente dispaccio {2) ebbi già ad alludere a certi indizi che potevano lasciare supporre da parte della Francia il proposito di volere uscire, per rispetto alle cose orientali, da quel contegno di estrema riserva adottato sin dalla guerra del 1870-71. E, non ha guarì, autorevoli diarii esteri riferivano pure la voce avere il barone di Ring in un suo colloquio col Sultano raccomandato per l'utncio di Governatore della Rumelia Orientale la candidatura di un suddito francese.

Questi sintomi, qualora avessero serio fondamento, sarebbero tali da preoccupare le potenze che come l'Italia, desiderano che le cose in Oriente rientrino in un periodo di tranquillità e di pace, in guisa da escludere ogni pericolo di nuove complicazioni.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, TORNIELLI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA. DI ROBILANT

D. CONFIDENZIALE 734. Roma, 29 aprile 1879.

Intorno allo scambio di lettere autografe avvenuto tra S. S. Papa Leone XIII e l'Imperatore Francesco Giuseppe nell'occasione del 25° anniversario delle nozze di S.M. Imperiale e Reale, corrono voci in Roma le quali attribuirebbero allo scritto dell'Imperatore un significato politico sul quale io dovrei fissare l'attenzione di V. E. se, trattandosi di corrispondenza che non può avere avuto e che non potrebbe avere che un carattere di assoluta intimità, non mi trattenessero quei riguardi che si impongono quando si tratta di documenti che certamente non sono destinati a pubblicità, né ad influire menomamente sull'indirizzo delle relazioni amichevoli degli Stati fra loro.

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 360. Pietroburgo, 29 aprile 1879 (per. il 10 maggio).

Ho ricevuto a suo tempo il telegramma del 26 corrente (2) col quale l'E. V. mi partecipò la comunicazione fattale dall'Ambasciatore di Francia presso Sua

Maestà, relativamente alla mediazione delle sei grandi Potenze per la delimitazione della frontiera turco-ellenica in conformità del trattato di Berlino. Il Governo Francese, dopo aver constatato l'esito negativo dei negoziati diretti fra la Turchia e la Grecia, propone in sostanza che i negoziati siano trasferiti a Costantinopoli e che le sei Potenze si accordino per far sapere alla Grecia che la domanda di mediazione è accolta, e dirigano un invito simultaneo alle parti interessate perché nominino speciaH plenipotenziarii al fine di ripigliare i negozati a Costantinopoli. Quanto alla mediazione stessa, il Governo Francese propone che essa sia esercitata dai Rappresentanti delle sei Potenze presso la Sublime Porta, i quali a tale effetto si riunirebbero in conferenza.

L'E. V. nel citato telegramma mi invitava a farle conoscere quale accoglienza fosse fatta alla proposta francese dal Governo Russo.

Mi recai jeri dal Principe Gortchakow e domandai a Sua Altezza quali fossero le disposizioni del Governo Imperiale in proposito. Il Principe Cancelliere mi rispose che aveva ricevuto comunicazione della proposta francese e che il suo avviso personale era che essa dovesse ammettersi. Soggiunse però che la decisione definitiva spettando naturalmente all'Imperatore, che era partito per la Crimea, egli non poteva pregiudicare questa decisione. Sua Altezza aveva fatto pervenire a notizia di S. M. Imperiale la proposta francese, e credeva che l'Imperatore avrebbe fatto rispondere direttamente da Livadia all'Ambasciata Russa a Parigi, mentre d'altra parte avrebbe impartito le necessarie istruzioni al Principe Lobanow, Ambasciatore di Russia a Costantinopoli, il quale doveva recarsi in Crimea all'incontro di S. M. Imperiale.

Io non dubito che l'opinione dell'Imperatore concorderà con quella del suo cancelliere intorno a questa questione e che Sua Maestà avrà a quest'ora di già accordato il suo consenso alla proposta francese.

Per ciò che spetta alla questione di fondo, cioè alla parte più o meno estesa di territorio che, secondo le stipulazioni di Berlino, deve essere attribuito alla Grecia, io devo anzitutto ringraziare l'E. V. della comunicazione fattami, in via confidenziale, degli interessanti rapporti del Cavalier De Gubernatis che erano annessi ai dispacci di questa Serie n. 344, 349 e 354, del 1°, 9, 19 corrente {1) i quali, come l'E. V. accenna nell'ultimo di questi dispacci, chiariscono i criterii che conducono il Governo del Re a favorire, rispetto alla controversia turco-ellenica, la ricerca di tale una soluzione che non esponga le regioni di cui si tratta a maggiori complicazioni.

In questa questione di fondo il Governo Russo tenne finora una grande riserva. Nei colloqui che io ebbi col Principe Cancelliere e col Signor de Giers, questi si restrinsero costantemente alle stipulazioni del trattato di Berlino, dichiarando tutt'al più, in termini generali, che il Governo Russo eserciterebbe la sua parte di mediatore in modo non sfavorevole alla Grecia. Il vero si è che, agli occhi del Governo Russo, questa questione turco-ellenica è messa in seconda linea. Le simpatie, altra volta così vive, della Russia per la Grecia, hanno molto perduto in quest'ultima crisi del loro antico fervore. Ma sarebbe ingiusto l'osservare che esse siano scomparse del tutto, massimamente quando si tratti di

interessi greci posti di contro ad elementi mussulmani. Le simpatie russe seguono naturalmente la via ed il progresso che sono segnati dagli interessi russi. La Russia quindi, di regola generale, favorirà l'elemento cristiano di fronte al mussulmano, l'ortodosso di fronte all'etorodosso, lo slavo di fronte al non slavo, il russo di fronte allo slavo.

In questo momento tutta l'attenzione del Gabinetto russo è rivolta verso la Bulgaria e la Rumelia Orientale ed alle questioni relative, cioè alla delimitazione della frontiera bulgaro-rumena ed a quella della frontiera bulgarorumeliota, all'evacuzione delle truppe russe ed ai temperamenti temporanei che conviene adottare perché dopo questa evacuazione la pubblica tranquillità sia mantenuta nella Rumelia, e perché la nuova amministrazione possa impiantarsi e funzionare ordinatamente. Il Governo Russo lascia perciò volentieri, nella questione turco-ellenica, l'iniziativa alle altre Potenze, e specialmente alla Francia, la quale nel congresso di Berlino, insieme coll'Italia, patrocinò la causa greca.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 1044. Vienna, 30 aprile 1879 (per. il 3 maggio).

La notizia della conclusione della Convenzione Austro-Turca (2) produsse qui assai buona impressione, sebbene non se ne conosca ancora affatto il tenore.

A quanto mi venne assicurato da buona fonte, quell'atto manterrebbe la Sovranità della Porta sulla Bosnia e sull'Erzegovina, mentre riconoscerebbe all'Austria-Ungheria il diritto di amministrare e di occupare quelle provincie, senza limitazione di tempo. Sancirebbe poi contemporaneamente la facoltà del Governo Imperiale di presidiare all'evenienza alcuni punti del Sandjak di NoviBazar, colla riserva però che prima che un tal fatto si verifichi, una speciale convenzione in proposito dovrà essere stipulata fra le due Alte Parti contraenti, onde regolarne la modalità.

Avendo io chiesto al Barone Orczy, senza addentrarmi nell'argomento, se quel documento sarebbe pubblicato nella Wiener Zeitung, Egli risposemi, che non sarebbe reso di pubblica ragione in maniera alcuna e ciò tanto più che non si era ravvisato necessario che quel patto internazionale portasse le ratifiche dei due Sovrani, tenendone luogo i pieni poteri per la firma, di cui furono muniti i plenipotenziarii rispettivi.

Stando sempre alle mie particolari informazioni attinte a buona fonte, il Gabinetto di Vienna sarebbe poco soddisatto di quella convenzione, ma se ne sarebbe accontentato a difetto di meglio.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 2299. Berlino, 1° maggio 1879 (per. il 10).

Pénétré de la juste importance que le Gouvernement du Roi doit attacher à connaitre dans quelles limites nous pourrions espérer éventuellement un appui matériel ou moral de l'Allemagne, je profite du retour du courrier, M. Signoroni, pour énoncer quelques idées à cet égard.

Dans l'intervalle qui s'est écoulé de 1866 à 1870, on nous attribuait ici à tort ou à raison, des sympathies pour la France. Notre neutralité durant la guerre

qui aboutit à la chute de l'Empereur Napoléon et à l'établissement de la république, était jugée comme empreinte d'une bienveillance marquée pour le vaincu, aussi longtemps du moins que l'issue définitive de la campagne restait douteuse. Après 1870, lorsqu'un mouvement de réaction se manifestait au delà du Rhin, le Prince de Bismarck se souvenait de la solidarité de notre cause, et la visite du Roi Victor Emmanuel à Berlin fournissait l'occasion d'un échange de vues à ce sujet. En 1875, à Milan, l'Empereur Guillaume témoignait aussi de son meilleur désir d'une entente réciproque. Il est vrai qu'en suite de l'accord entre les trois Empereurs, nous ne venions plus qu'en seconde ligne. Preuv~ en est, que, malgré tous nos efforts, nous avons échoué dans nos tentatives de marcher de conserve dans les affaires Orientales. C'est que peu à peu les préférences se dessinaient en faveur de l'Autriche, avec l'arrière pensée de lui tailler de la besogne pour longtemps. Pour la mettre de plus en plus hors d'état d'intervenir dans les affaires allemandes et de devenir le pivòt d'une coalition quelconque de nature à inquiéter l'empire allemand, il fallait la pousser vers de nouveaux horizons. Elle a donc été encouragée à réaliser ses velléités de s'adjuger les deux provinces de Bosnie et d'Herzégovine, qui rompent l'équilibre des nationalités dans la Monarchie des Habsburgs. De deux choses l'une: ou bien l'élément slave, renforcé par cette annexion, s'émancipera politiquement des éléments Allemand et Magyar, et arrivera à constituer un troisième état dans cette Monarchie, ou bien les Hongrois, s'ils sont habiles, sauront faire passer dans leur sphère d'influence les nouvelles provinces Turco-Slaves, comme ils l'ont fait pour la Transilvanie, la Slavonie et la Croatie. Dans un cas comme dans l'autre, la partie allemande de l'Empire, se croyant menacée d'etre rejetée au second rang, se tournera vers Berlin, si non pour s'y réfugier et s'y fondre, du moins pour enrayer à l'occurrence tout mouvement qui aurait pour but de défaire l'oeuvre du 1866. Bref, le Chancelier se pose comme le protecteur d'une Autriche glissant sur la pente Orientale; il l'oppose à la Russie pour l es détourner l'une et l'autre de s'entendre, soit entre elles, soit avec la France, en occident où leurs intérets ne sont pas aussi contradictoires. Mais, en courtier honnete, il se donnera les apparences de tenir autant que possible la balance égale entre Vienne et Pétersbourg, en ayant soin que leurs forces s'immobilisent mutuellement là où il se réserve le ròle prépondérant. En outre, c'est sur l'Autriche-Hongrie, que l'Allemagne arnie choyée et caressée vise à trouver au besoin un appui, le jour où elle aurait à lutter soit contre une armée française déjà supérieure en nombre, soit contre les alliées de la France. En suite d'un concours de circonstances suffisamment connues et sur lesquelles je me suis expliqué en dégageant mes propres responsabilités, nous avons dù dans cette assemblée, adopter une attitude de nature à masquer autant que possible notre isolement en présence d'autres Puis

sances qui s'étaient déjà partagé les ròles. Nous avions du moins gagné tous les suffrages par notre esprit conciliant, par notre action éminemment pacifique. Des manifestations imprudentes et jugées très sévèrement, lors meme qu'elles se produisent en dehors de l'action de notre Gouvernement, ont diminué la valeur de notre conduite. Au reste, il n'était plus en notre pouvoir de modifier en rien Ies vues du Cabinet de Berlin, favorisant l'Autriche, non par un faux sentimentalisme, mais bien parceque telles sont ses convenances.

De son còté, le Cabinet de Vienne a reconnu ces nons procédés par l'abro~ gation de l'article V du traité de Prague. A ce propos, j'ai lu avec intéret, dans l'annexe à la dépéche de V. E. n. 797, les confidences de M. Falbe au Comte de Robilant (l). A ce propos, je mentionnerai que parmi l es motifs allégués par

M. de Btilow au Ministre de Danemark pour expliquer la conduite du Cabinet de Berlin, il a été invoqué entre autres cet argument, qu'il ne saurait lui con~ venir qu'on fit appel au principe des nationalités pour revendiquer le Schleswig septentrional. M. de Quaade s'est abstenu de relever cette inconséquence, mais il me disait combien le raisonnement péchait par sa base, car c'était en arborant ce meme principe que la Prusse, de concert avec l'Autriche, avait déclaré la guerre au Danemark.

M. de Btilow ne faisait aucune allusion à l'Italia irredenta; mais la presse de ce Pays, et meme des journaux organes du parti national libéral -pour ne citer que la National Zeitung, déclaraient, à propos de l'Autr.iche relativement à l'article 5 du traité précité, il siérait mal à une gazette allemande de prendre parti contre l'Autriche dans des questions qui se touchaient de si près «Et meme indépendamment de cela, nous nous réjouissons de la victoire remportée par l'élément Autrichien dans un territoire aussi important pour nos relations commerciales. Nous sommes en meme temps d'avis que la question de frontière est aussi définitivement résolue entre l'Autriche et l'Italie, qu'entre l'Allemagne et le Danemark ».

Les journaux annoncent que la convention entre la Turquie et l'Autriche pour l'occupation du Sandjak de Novibazar, a été conclue grace à une pression exercée par l'Angleterre et par l'Allemagne. Cette nouvelle, jusqu'ici du moins, n'a pas été démentie. Ce serait une nouvelle preuve de la cordialité des rapports entre Vienne et Berlin, et de la persistance des vues du Prince de Bismarck d'écarter tout obstacle dans le «lascia~passare >> délivré à l'Autri~he dans la partie occidentale de la Turquie d'Europe.

Les indications qui précèdent prouvent que nous ne devons pas compter ici sur un appui quelconque dans une politique qui contrarierait l'Autriche dans l'extension de sa sphère d'influence en Orient, ni dans des démelés avec cette Puissance pour une rectiftcation de frontière. Je ne crois pas davantage que nous trouverions à cet effet l'alliance d'une autre Puissance, excepté peut-etre de la part de la Russie, sauf à nous abandonner camme elle l'a fait lorsqu'elle a du retracter les belles assurances qu'elle nous donnait pour la Bosnie et l'Herzégovine.

Dans ces conditions, aussi longtemps du moins qu'elles ne se modifieront pas, une certaine attitude de recueillement est de mise. Il ne s'agit pas de nous désintéresser dans les grandes affaires politiques. Bien loin de là, il faut chercher à nous y ménager cette part d'influence qui appartient à une grande Puis~ sance. Aussi le recueillement dont je parle s'applique-t-il aux questions dont nous devons attendre la solution d'un ensemble de circonstances plus favorables. Parmi ces questions je range en première 1i15ne un agrandissement de territoire par le Tyrol italien et par de meilleures frontières vers l'Isonzo. Quant à Trieste, ce

serait folie d'y songer de longtemps. Les manifestations qui se répètent chez nous aujourd'hui, les comités qui se forment, n'ont certes pas l'importance que leur donne la presse, mais à l'étranger on est disposé à en exagérer la valeur. On nous accuse de vouloir troubler la tranquillité de l'Europe, de montrer trop de tolérance envers ceux qui empiètent sur les prérogatives du Gouvernement. On va méme jusqu'à représenter certaines tendances qui se produisent en dehors des cercles officiels, camme formant un appoint aux partis subversifs en France. Et cela au moment où la société !ance l'anathème contre des doctrines qui ont enfanté les plus grands crimes. Nos adversaires ne se génent pas pour nous noircir, pour nous calomnier, aux yeux de l'opinion publique.

Je sais ce que valent ces accusations, ces calomnies; surtout quand V. E. est au pouvoir; mais à l'étranger on ne nous juge que trop souvent sur des apparences trompeuses, en oubliant la sage maxime: «Medice cura te ipsum ». Il est de mon devoir de signaler cette tendance à nous mettre sur la sellette, à jeter sur nous quelque discredit, à voir la paille dans notre oeil... etc. A ce point de vue, plus nous nous montrerons amis de la Monarchie, plus nous serrerons les rangs autour de notre Dynastie, plus nous saurons faire marcher de front le principe de sage liberté avec le principe d'autorité, plus nous nous appliquerons à démontrer que les pouvoirs régulièrement constitués ont seuls le droit de tracer notre politique intérieure, aussi bien que nutre politique etrangère, et plus nous serons en mesure de nous préparer à en recueillir tòt ou tard les bénéfices.

V. E. sait que j'ai jamais passé pour un chaud partisan de l'Autriche. Mais la politique de rancune est toujours une mauvaise conseillière. Aussi, pour ce qui concerne l'expansion de cette Puissance vers l'Orient, j'ai déjà eu l'honneur d'exposer, que si, comme je le crois du moins, nous ne pouvons l'empécher dans les conjonctures présentes, il n'y aurait pas lieu de la favor.iser dans une certaine mesure et en retour de compensations. C'est là un point sur lequel je tiendrais à connaitre l'avis éclairé de V. E.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 619. Vienna, 2 maggio 1879, ore 13,35 (per. ore 16).

Andrassy que j'ai vu ce matin en répondant à une question que je lui ai adressé m'a dit qu'Ambassadeur de France lui a fait avant hier communication d'une dépéche du Cabinet français par rapport à la médiation entre la Grèce et la Turquie, et qu'il lui a répondu étre prét à s'associer aux autres Puissances pour annoncer la médiation à la Grèce, qu'il est également d'accord sur l'ìnvitation à adresser aux intéressés de reprendre les negociations à Constantinople ainsi que de confier le soin de la médiation aux ambassadeur auprès du Sultan. Il a pourtant fait une réserve au sujet de la réunion des ambassadeurs en conférence qu'il ne croit pas opportune. Il désire avant échanger ses idées avec les autres Puissances et il ne s'y oppose pas formellement, mais préférerait que les ambassadeurs exercent la médiation sans la formalité de la conférence qui lie les mains à l'action des différents Etats. Il m'a dit espérer que nous serions aussi d'accord avec lui sur cette question. Je l'assurai que j'informerai immédiatement V. E. de ce qu'il venait de me dire (1).

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CATALANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 624/265. Londra, 2 maggio 1879, ore 22,55 (per. ore 0,50 del 3).

Le Gouvernement britannique a donné hier son assentiment à l'élection du prince de Battenberg.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO (l)

D. 274. Roma, 3 maggio 1879.

Col rapporto del 26 aprile n. 581 (2), la S. V. Illustrissima accennava al dissidio che erasi manifestato tra il Governo vicereale e i commissari della Cassa del debito pubblico, opinando questi che non sia in balìa del Viceré di arrecare modificazioni alla situazione creata, pei creditori del tesoro egiziano, dai decreti del maggio e del novembre 1876. Di poi, con telegramma di ieri 2, la S. V. mi annunciava che i commissari della Cassa eransi risolutd. ad iniziare azione giudiziaria contro il Governo, per ottenere che sia dichiarato nullo il decreto del 22 aprile col quale il Vicerè sanzionava il progetto finanziario del paese.

È manifesta la gravità del conflitto che per tal modo si è manifestato tra il Governo vicereale e quella istituzione in cui riponevano le migliori speranze

quanti hanno a cuore di vedere instaurato, in Egitto, un regolare e soddisfacente assetto della pubblica amministrazione. Per una parte, il Viceré potrà eccepire, contro il tenore letterale degli ordinamenti costitutivi della riforma giudiziaria, non solo la esagerazione di un sistema di giurisdizione per cui il potere legislativo verrebbe interamente sottomesso alla autorità d'una magistratura mista, ma altresì il fatto che la stessa Commissione d'inchiesta conchiudeva, nel suo rapporto, doversi, a tale riguardo, cercare un temperamento atto a conciliare, coi diritti dei creditori, le ragioni non meno legittime della sovranità. D'altra parte, però, è a presumere che il magistrato competente non farà, nella presente occasione, che confermare i precedenti giudicati, avversi alla tesi propugnata dal Vicerè.

In tale stato di cose, mentre noi non possiamo che rimanerci nella aspettazione dello svolgimento normale della controversia, ci confermiamo sempre più nel pensiero che il Vicerè d'Egitto avrebbe saviamente operato seguendo il suggerimento che, per mezzo di Lei, gli facemmo pervenire. A nostro avviso, è manifesto che, volendo il Viceré inaugurare una situazione finanziaria interamente nuova, avrebbe dovuto farne precedere la adozione da un esame completo e imparziale della situazione presente, e soprattutto gli sarebbe convenuto di far procedere a siffatto esame con quello stesso metodo che, essendo stato riconosciuto dalle Potenze, nella XVIIre seduta del Congresso di Berlino, siccome acconcio a regolare la questione finanziaria in Turchia, trarrebbe efficacia incontestabile dall'unanime suffragio dell'Europa.

Ad ogni modo, mi è piaciuto di rilevare, dal carteggio di Lei, come il Viceré abbia, anche nella presente contingenza, reso giusti"ilia al disinteresse e alla benevolenza da cui sempre furono e sono ispirati i nostri consigli.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI

D. 466. Roma, 4 maggio 1879.

Le 25 avril S. E. M. de Noailles m'à donné lecture et m'a laissé copie d'une dépéche de son Gouvernement relative à la médiation des Puissances dans l'affaire des frontières turco-helléniques.

S. E. M. Waddington a tracé dans ce document l'historique des négociations directes engagées à Prevesa entre la Grèce et la Turquie et en a constaté l'insuccès.

L'intérét que l'Italie a attaché de tout temps au règlement pacifique des questions sur la base d'une légitime satisfaction à donner aux populations orientales ne s'étant jamais démenti, nous avons suivi nous-mémes avec la plus vive sollicitude tout ce qui se rattachait à l'application intégrale de l'Article 24 du Traité de Berlin. Les conseils de l'Italie, aussi bien que ceux des autres Puissances signataires de cet acte international, ont certainement contribué à amener la réunion des Plénipotentiares grecs et ottomans et à vainre ainsi !es répugnances que paraissait rencontrer de la part de la Sublime Porte le premier pas à faire dans la voie des concessions territoriales au Royaume Hellénique dans un moment où la tranquillité rétablie sur toutes ses frontières, semblait lui rendre ce sacrifice moins urgent et plus douloureux. C'est ainsi que, sans prétendre diminuer le mérite de la spontanéité de la résolution prise par le Gouvernement de S. M. I. le Sultan, pour l'application de la première partie de l'Article 24 du Traité du 13 juillet, chaque Puissance peut revendiquer sa part dans ce premier résultat obtenu.

II est certainement regrettable que les conseils réiterés que nous mémes, nous n'avons pas cessé de faire entendre, à Constantinople aussi bien qu'à Athènes, sur les avantages d'une entente directe qui aurait répondu aux vues du Congrès de Berlin n'aient pas été mieux écoutés. Les Puissances se trouvent aujourd'hui en présence d'une déclaration formelle de la Turquie de ne pouvoir concéder à la Grèce qu'une rectification de frontières que celle-ci, se fondant sur le 13ème Protocole du Congrès, se refuse à prendre en considération. Le cas, prévu dans l'Article 24 du Traité, où la Sublime Porte et la Grèce ne parviendraient pas à s'entendre sur la rectification de frontière indiquée dans le Protocole susdit, s'étant ainsi vérifié, l'Italie, tout en réservant san opinion sur le fond de la question croit que le moment est venu pour les Puissances d'offrir leur médiation aux deux parties afin de faciliter les négociations. Nous sommes dane préts à répondre à la Grèce qui en a fait la demande, que l'Italie est disposée à offrir à la Turquie la médiation dont parle l'Article 24 du Traité de Berlin, d'accord avec l'Allemagne, l'Autriche-Hongrie, la France, la GrandeBretagne et la Russie.

Le Gouvernement Français nous propose en outre une d0~arche simultanée pour inviter les parties intéressées à nommer des plénipotentiaires pour reprendre les négociations à Constantinople et, quant à la médiation, M. Waddington croit que les Cabinets devraient en confier l'exercice à leurs représentants auprès de la Sublime Porte réunis en conférence. La proposition du Gouvernement auprès duquel Vous étes accrédité, ne soulève pas de notre part des objections de principe. Notre assentiment est acquis à toute proposition que les Puissances considéreront camme pouvant mener à bonne fin une négociation à laquelle nous n'avons jamais cessé de porter le plus vif intérét. C'est pourquoi bien que des deux còtés les parties intéressées nous aient fait connaitre l'impossibilité qu'il y a, à leur avis, de s'entendre directement, nous ne nous refusons pas à faire un nouvel appel à leur esprit de conciliation pour que les

négociations, transportées à Constantinople, puissent y étre poursuivies sous la haute infiuence morale des six Puissances. Il serait toutefois désirable, quant à la méthode à suivre pour l'exercice de la médiation par les Représentants auprès de la Sublime Porte, réunis en conférence, qu'une entente s'établisse afin que des questions de forme, qui pourraient étre préalablement résolues, ne viennent pas nuire à l'efficacité de l'oeuvre conciliatrice que toutes les Puissances ont en vue (1).

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 778. Belgrado, 4 maggio 1879 (per. il 15).

La notizia della sottoscrizione della convenzione austro-turca per l'occupazione eventuale di Novi Bazar produsse un profondo malcontento in Serbia e contribuì a spingere più oltre il vivo rancore sorto, prima dall'occupazione della Bosnia e poi dai provvedimenti doganali contro le esportazioni serbe.

Questo sentimento d'irritazione si fa manifesto nel pubblico molto più che nelle regioni ufficiali, ove mantiensi discretezza e moderazione: ed andò tant'oltre che incominciasi a rifiutare la compra d'ogni mercanzia au<;tro-ungarica.

Dal suo canto il Signor Ristié riconosce invece come necessario il por mano in spirito di conciliazione alle trattative commerciali che si apriranno a Vienna: non opponsi a che siena parallelamente trattate l.a questione commerciale e la questione ferroviaria: ma teme, sembrami, che il Barone di Schwegel non abbia rinunciato all'unione doganale. Puossi supporre, in fatto, che il governo Austro-Ungherese, quando sia dimostrata l'incapacità della Serbia a sopportare il peso finanziario della costruzione delle ferrovie, peso fatto più grave assai che noi sarebbe dall'obbligo di assumere qual'è il contratto fra la Porta ed il Signor Hirsch, può supporsi, dico, che si tenti il governo Serbo con offerte finanziarie tanto favorevoli che il vantaggio materiale faccia tacere le considerazioni di natura politica.

Il ministro degli esteri, sebbene più prudente che noi siano gli altri cittadini, non chiude l'occhio ai pericoli che contiene per l'esistenza stessa della Serbia, la politica del gabinetto di Vienna nella penisola Balcanica: teme egli che, vedendosi contrastato il monopolio commerciale non sia quello spinto con maggior forza ad impossessarsene spingendo le occupazioni fino a Salonicco. Ad impedire il cammino all'Austria-Ungheria, il Signor Ristié pone fiducia nell'opera della Russia: vi pone intera ed assoluta fede: me lo ripeté. In fatto, se non avesse pure altri motivi per adagiarsi in quella sicurezza, la condotta ed il linguaggio del Signor Persiani mi sembrerebbero a rigore sufficienti ad incoraggiarlo in quel pensiero.

Il Ministro di Russia oppone senza alcun riguardo ogni passo della politica Austro-Ungherese. A me disse d'avere in mano il modo di sollevare la Bosnia a breve termine, quando ciò occorra: mi disse che non permetterà che la costruzione della ferrovia, e tanto meno la proprietà e l'esercizio di essa, cada in mano di Società Austro-Ungherese. Non so se al Signor Ristié tenga simile discorso: ma so che lo tiene col Signor Radivoi Miloicovié, ministro dell'interno, col quale da qualche tempo ha relazioni più intime che col ministro degli esteri: e ciò forse perché, e non a torto, lo giudica più energico, più avventuroso, e più caldo oppositore della monarchia vicina.

Se mancasse a noi, diceami il Signor Ristié, il sostegno eventuale della Russia, non saremmo da noi soli in condizione da chiudere all'Austria-Ungheria il passaggio verso l'Egeo. Da nessun altro Stato abbiamo speranza di soccorso: l'Inghilterra ci sosterrà in una politica commerciale indipendente, ma non al di là: nell'Italia abbiamo una costante amica fino a Berlino: ma il suo voto impreveduto nella quistione di Vranja scosse la nostra confidenza e non ci permette di fare calcolo sovra di essa.

L'occasione parvemi offrirsi di soggiungere che la prima condizione perché una resistenza al tendere dell'Impero Austro-Ungherese verso Salonicco abbia speranze di riuscita, sembrandomi essere l'armonia e l'amicizia fra i popoli che trovansi sul suo cammino: e che la Serbia colla sua condotta s'era fatti nemici gli albanesi, i quali, se pure non del tutto inciviliti, vanno dimostrando d'avere coscienza piena della loro individualità nazionale e della loro risolutezza accompagnate dalle doti tradizionali della loro razza. Osservai al Signor Ristié quanto riprovevole e poco saggia fu la condotta delle autorità militari che, contro l'avviso del ministero, fecero impossibile agli albanesi il soggiorno nei distretti acquistati dalla Serbia e lo pregai a fare che la questione delle future relazioni fra quelli e la Serbia fosse studiata precisamente dal punto di vista che maggiormente deve premere al Principato, cioè da quello della necessità di porre ostacolo all'avanzarsi dell'Austria-Ungheria. Mi promise che il farebbe valendosi dell'opera specialmente del Console che fra breve la Serbia manderà a Prisrend.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 1049. Vienna, 5 maggio 1879 (per il 10).

Non mi trovo evidentemente in grado di accertarmi se l'autografo diretto da S. M. Francesco Giuseppe in occasione delle sue nozze d'argento, a Sua Santità Leone XIII, di cui l'E. V. mi fece cenno col Suo ossequiato dispaccio del 29 scorso mese n. 734 (1), fosse precisamente concepito nei termini di cui corse voce in questi giorni in Italia. Credo però non andare errato dicendo che, mentre i sentimenti espressi, a quanto si assicura, in quel foglio, corrispondono appieno a quelli indubbiamente professati da S. M. l'Imperatore, anche la scelta dell'attuale momento per fare una simile manifestazione, è in piena armonia colle tendenze, a cui chiaramente s'informa da qualche tempo, la politica sia interna che estera della Monarchia Austro-Ungarica.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, TORNIELLI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT

D. 739. Roma, 6 maggio 1879.

L'E. V. mi ha riferito con rapporto del l o maggio, n. 1046 (2), l'esito della missione del Conte Schouvaloff per quanto questa rifletteva il dissenso manifestatosi tra la Russia e l'Austria-Ungheria circa il modo di interpretare i patti di Berlino riferentisi alla evacuazione della Rumelia orientale. È notevole, a questo riguardo che Lord Salisbury in una recente conversazione col R. Incaricato d'affari, ebbe a manifestare un parere diametralmente opposto a quello espresso dal Conte Andrassy. Il Ministro della Regina opina che l'art. 22 del

Trattato di Berlino e massimamente il protocollo della 5" seduta del Congresso concedono un intervallo di altri tre mesi, a decorrere dal 3 maggio per lo sgombro completo di quella provincia e della Bulgaria.

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CATALANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 378/278. Londra, 6 maggio 1879 (per. il 10).

Ieri sera, nella Camera dei Lords, in risposta ad un'interpellanza di Lord Granville, il Marchese di Salisbury, passando in rassegna gli articoli del Trattato di Berlino, dichiarò che tutte le stipulazioni di quell'Atto Internazionale erano state o sarebbero scrupolosamente messe in esecuzione.

l o -La prima parte del Trattato, disse Lord Salisbury, preacrive che la Bulgaria sia costituita in un principato autonomo; abbia un governo cristiano, una

milizia nazionale, un principe scelto liberamente dalle popolazioni, confermato dalla Porta coll'assentimento delle Potenze, ed un'assemblea di notabili per elaborare, prima dell'elezione del Principe, la costituzione della provincia.

Tutte queste prescrizioni sono state messe in esecuzione.

2° -n secondo articolo del Trattato determina i confini della Bulgaria. Una Commissione fu nominata per contrassegnarli la quale cominciò i suoi studii l'anno scorso e li riprese nell'anno corrente. Varie difficoltà furono messe in campo nel seno d'essa, poiché, a norma delle consuetudini del Diritto Internazionale, ogni decisione doveva essere approvata dall'unanimità dei componenti.

Bensì le Potenze hanno ora evitato tale difficoltà prescrivendo che tutti i punti controversi siano decisi dai varii Gabinetti d'accordo fra loro.

Un altro inciampo fu la disposizione dell'ultima parte dell'articolo 2 del Trattato; cioè che la Commissione dovesse pigliare in considerazione «la necessità del Sultano di poter difendere la frontiera dei Balcani e della Rumelia Orientale». Bensì le Potenze hanno ora deciso che la wasserscheide, o linea dì separazione fra due bacini di acque, sia segnata come confine; purché però, in tutti quei luoghi dove non sia sufficiente per apprestare alla Turchia base per le opere di difesa da costruirsi, sia oltrepassata, scegliendosi terreno più acconcio dall'altro lato.

La maggioranza della Commissione determinerà i punti dove ciò dovrà aver luogo.

3° -Quindi il Trattato provvede al mantenimento della libertà religiosa in Bulgaria, e le prescrizioni d'esso sono state scrupolosamente adottate. Provvede che il reggimento provvisorio non debba prolungarsi oltre i 9 mesi dopo lo scambio delle ratificazioni del Trattato; e questa disposizione è stata osservata.

Il tributo che la Bulgaria dovrà pagare alla Porta dovrà essere determinato nello scorcio dell'anno che seguirà il riordinamento di quel Principato; ed il tempo non è ancor giunto.

Però l'articolo che prescrive che le fortezze nella Bulgaria debbano essere demolite nell'intervallo d'un anno dopo la ratificazione del Trattato non è ancor stato eseguito quantunque l'anno sia trascorso.

Questa è una quistione, soggiunse il nobile Lord, che dovrà fermare l'attenzione delle Potenze.

4. -Quindi il Trattato si occupa della Rumelia Orientale. Una Commissione è stata nominata, continuò Lord Salisbury, per segnare confini di quella provincia.

Un Governatore Generale doveva essere eletto dalla Sublime Porta per cinque anni, coll'assentimento di tutte le Potenze; ed Aleko Pascià è stato nominato dal Sultano e la sua nomina ha ricevuto l'assentimento dei Gabinetti. Quella scelta, soggiunse Sua Signoria, sarà grata alla popolazione, e, d'altra parte, il Sultano avrà proposto chi accudirà agli interessi dell'Impero Ottomano.

Una Commissione Europea fu designata, per l'ordinamento della Rumelia Orientale ed i Rappresentanti dell'Inghilterra, nel seno d'essa, furono due membri del Parlamento, ai quali Lord Salisbury indirizzò parole di lode. Questa Commissione condusse a termine i suoi lavori, e la Costituzione che fu elaborata non aspetta che la sanzione del Sultano; ciò è quistione di forma. Il solo disappunto fu che la Commissione avrebbe dovuto terminare i suoi lavori in tre mesi e ve ne impiegò nove.

L'art. 15 del Trattato provvede che nella Rumelia Orientale siano instituite una gendarmeria ed una milizia, di cui gli ufficiali saranno nominati dal Sultano, tenendosi conto, secondo le località, della religione degli abitanti. A questa bisogna ha provveduto la costituzione.

La Commissione Europea era anche incaricata, in conformità dell'art. 19 del Trattato, di amministrare le finanze della provincia finché il nuovo ordinamento non fosse terminato. Questa era una misura provvisoria di cui l'opportunità è trascorsa.

Tuttavia, soggiunse Lord Salisbury, per quanto riguarda la Rumelia Orientale, le prescrizioni del Trattato di Berlino sono state eseguite letteralmente e tecnicamente. Furonvi però indugi, contro i quali la Commissione ha protestato ripetute volte, cagionati dall'azione degli ufficiali militari Russi.

5° -L'art. 22 del Trattato prescrive che il corpo d'occupazione dell'esercito Russo dovrà consistere di sei divisioni di fanteria e due di cavalleria, e che l'occupazione dovrà durare nove mesi.

Ora, argomentò Lord Salisbury, se lo sgombero delle truppe Russe fosse cominciato prima dei nove mesi, queste divisioni non avrebero potuto rimanere nella loro integrità, nel tempo prefisso, ma sarebbero state materialmente scemate di numero, e per conseguenza le disposizioni del Trattato non avrebbero avuto effetto.

Spirati i nove mesi lo sgombero dovrà principiare ed essere continuato con acconcia sollecitudine; dimanieracché l'occupazione autorizzata dal Trattato cesserà il 3 Agosto, nella qual'epoca non dovranno essere più truppe d'occupazione a mezzogiorno ed a ponente della Bulgaria (veggasi pag. 17) (1). Ed il nobile Lord fece notare a questo proposito che aveva ragioni di credere che lo sgombero non solamente fosse già cominciato ma che continuava senza procrastinare.

6° -L'art. 23 del Trattato si riferisce alla revisione deìla costituzione di Creta; e la costituzione di quell'isola era stata riveduta con un indirizzo sommamente liberale; onde gli abitanti n'erano soddisfatti. Dicevasi che qualche disordine avesse avuto luogo nelle montagne, ma Sua Signoria soggiunse che sperava che un periodo di tranquillità fosse cominciato per l'isola.

In conformità dello stesso articolo del Trattato, riprese Lord Salisbury, costituzioni analoghe a quella di Candia, ma acconcie ai bisogni locali, dovevano

essere introdotte, da particolari Commissioni nelle altre provincie della Turchia Europea per le quali non era stato fatto provvedimento speciale.

Senonché la costituzione Cretese essendo terminata in Febbraio scorso, la Turchia non poteva essere addebitata d'alcun indugio per la nomina delle altre Commissioni; tanto più che la Porta aveva palesato l'intenlione di riformare le altre provincie della Turchia Europea sul modello della Rumelia Orientale.

Se si dimostra una certa pieghevolezza e se non s'insiste per una perfetta identità di riforme in tutte le parti dell'Impero Turco, Lord Salisbury sostenne che quest'articolo del Trattato avrà eziandio effetto.

7° -L'art. 24 del Trattato prescrive, seguitò il nobile Lord, che se la Turchia e la Grecia non riescissero a mettersi d'accordo sulla rettificazione delle frontiere indicata nel Protocollo 13 del Congresso di Berlino, le sei Potenze si riserverebbero di offrire la loro mediazione alla Grecia ed alla Turchia per facilitare le negoziazioni.

Quest'articolo è in procinto di esser messo in esecuzione poiché il Governo Francese ha fatto alle altre Potenze una proposta di mediazione e le altre Potenze v'hanno assentito.

8° -Quindi il Trattato prescrive che la Bosnia e l'Erzegovina debbano essere occupate ed amministrate dall'Austria-Ungheria ed è ben noto che questo provvedimento fu messo in esecuzione.

Il Montenegro eziandio, malgrado le difficoltà incontrate, non per il mal volere della Porta ma per la neutralità degli abitanti e per la natura dei luoghi, è in possesso di tutta l'estensione del territorio alla quale, 'l norma del Trattato di Berlino, aveva diritto.

9° -Poche difficoltà, continuò Lord Salisbury, furon messe in campo intorno agli articoli del Trattato che concernono la Serbia e la Rumania. Gli arbitri eletti dalle Potenze credettero necessario di misurare scientificamente il territorio; e ciò necessariamente ha frapposto un ritardo.

In Rumania la questione della fortezza di Arab-Tabia resta indecisa.

Non s'incontrano grandi ostacoli nella delimitazione dei confini della Serbia.

Senonché, il Congresso di Berlino avendo deciso che libertà religiosa, nel più ampio ed esteso significato della parola, fosse accordata alla popolazione di quei due Principati, impose ad essi quella condizione prima che la loro indipendenza fosse riconosciuta dalle Potenze.

In Servia si sono presi accordi soddisfacenti e, malgrado che non si sia giunto ad una decisione assoluta, le trattative sono abbastanza inoltrate da giustificare le quattro Grandi Potenze occidentali a riconoscere l'indipendenza di quel Principato.

Della Rumania le tre Potenze limitrofe riconobbero tosto l'indipendenza, ma l'Italia, l'Inghilterra, la Francia e l'Austria si sono finora :1stenute.

Si ha però ogni ragione di credere, soggiunse Sua Signoria, che il Governo Rumeno darà, fra non guarì, tali assicurazioni da poter fare assegnamento che,

anche per questo rispetto, il Trattato di Berlino sarà completamente e fedelmente messo in esecuzione, onde con gran compiacimento potremo salutare la Rumania fra le nazioni indipendenti (1).

9° -Per quanto riguarda le cessioni di territorio della Turchia in Asia, io posso dichiarare, continuò Lord Salisbury, che quella parte della linea di confine che doveva essere segnata in seguito ad un accordo fra la Turchia e la Russia, fu da me medesimo segnata, in concerto col Conte di Schouvaloff, nel Congresso di Berlino. Quest'accordo non faceva parte del Trattato ma fu stampato con esso. Una Commissione Inglese prese parte alla delimitazione del lato meridionale dei confini. La delimitazione è già cominciata e non dubito che sarà terminata colla massima sollecitudine.

Senonché, faccio notare che, l'Imperatore di Russia avendo dichiarato nell'art. 59 del Trattato che Batoum sarebbe destilnata a d.ivenire porto franco, e città essenzialmente commerciale, essa dovrebbe per conseguenza esser fornita di docks. Finora questo risultato non è stato ottenuto.

10° -Coll'art. 61 del Trattato la Porta s'impegnò ad effettuare i miglioramenti e le riforme che i bisogni locali esigono in Armenia.

Una Commissione è stata mandata in Asia; imperocché prima che le riforme siano effettuate è opportuno che l'Inghilterra conosca appieno lo stato dei paesi e della popolazione.

Bensì, soggiunse Lord Salisbury, finché le condizioni finanziarie della Porta non siano migliorate è vano l'attendere alcuna riforma amministrativa. Certamente poi la prima riforma da provvedere sarà lo stabilimento d'un corpo di gendarmeria per proteggere le persone ed i loro beni.

11o -Finalmente, concluse Lord Salisbury, mercé l'art. 72 del Trattato, il principio della libertà religiosa è stato introdotto nel Codice Turco; né evvi alcun'intenzione, per parte della Sublime Porta, di eludere e di oppugnare quel principio.

Il discorso di Lord Salisbury fu accolto con applausi.

Prima di chiudere questo rapporto volli avere una conversazione con Lord Salisbury sulle cose da lui enunziate.

Sua Signoria mi disse che il suo discorso era un compendio della presente situazione politica, per quanto si riferisce al Trattato di Berlino.

Mi fece notare inoltre, con incarico di avvertirne l'E. V., ch'egli aveva dichiarato che il 3 agosto prossimo non vi dovevano essere più truppe Russe al mezzogiorno ed al ponente del Pruth e non già della Bulgaria come i «reporters » dei g-iornali avevano riprodotto (veggasi pag. 8) (2).

Al presente rapporto si riferiscono i due telegrammi di quest'Ambasciata

n. 266 e 268 in data d'oggi (3).

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, TORNIELLI, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, MACCIO'

D. 24. Roma, 9 maggio 1879.

Col suo rapporto politico s.n. riservato, in data 21 decorso apr.ile (2), la

S. V. Illustrissima facendomi cenno del malcontento ognora crescente di codeste popolazioni, cagionato dalla cattiva amministrazione della cosa pubblica, parla di certe voci che farebbero ritenere come non lontano lo scoppio di serii disordini intesi a rovesciare l'attuale primo Ministro del Bey.

Ella ben sa che il R. Governo ha il più grande interesse a vedere stornati da codesto paese i pericoli inerenti ai mot1 popolari. D'altra parte però Ella non può ignorare come in uno stato come la Tunisia, ove il Sovrano ha illimitato potere sul suo primo Ministro, ed ove non è sempre agevole far intendere personalmente al Principe i consigli della saggezza importa sovrattutto di non destare la gelosia o l'animosità di chi esercita di fatto il potere. Conviene quindi adoperare con ogni maggiore cautela nel far sentire al Bey che il suo beninteso interesse vuole che sia provveduto a correggere l'amministrazione da quegli abusi che sempre più gli alienano gli animi.

Faccio quindi assegnamento sulla prudenza della S. V. Illustrissima, qualora Ella reputasse opportuno di porgere alcune avvertenze al Bey nell'intento di prevenire ogni possibile disordine.

33 -Documenti diplomatici -Serle II -Vol. XI

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 505. Parigi, 9 maggio 1879 (per. il 12).

Chiesi jeri al Signor Waddington quanto vi fosse di vero nella voce corsa a Tunisi che il Bey potesse avere in animo di ridurre l'interesse, come dal Dispaccio dell'E. V. N. 451 della serie politica in data del 20 aprile ultimo (2).

Il Signor Waddington se ne mostrò sorpreso e disse riescirgli affatto nuova una simile diceria. Ed osservandogli io allora che codesta •notizia poteva non essere arrivata sino a Lui, da più giorni assente, e giacere forse fra i molti

affari che attendevano il suo ritorno a Parigi, mi rispose con insolita vivacità:

«No, non è possibile, Tutto ciò che riflette Tunisi lo leggo io cogli occhi miei e mi raggiunge in qualunque luogo mi trovi l>.

Questa risposta del Signor Waddington sfuggita ad un involontario ex abrupto ed accompagnata da un impeto vivace, non consueto in lui, mi sembra degna di qualche riflessione.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 1051. Vienna, 9 maggio 1879 (per. il 12).

Pervennemi stamane col dispaccio dell'E. V. del 5 corrente n. 733 (l) la copia di quello ch'Ella rivolgeva il giorno prima al R. Ambasciatore in Parigi (2), relativamente alla proposta presentata dal Governo Francese per l'esercizio della mediazione fra la Turchia e la Grecia. Dall'esame di quel documento parvemi rilevare che il R. Governo non credette fare riserva di sorta relativamente alla eventuale riunione in conferenza dei rappresentanti esteri presso la Porta, onde usercitare la loro mediazione, limitandosi ad accennare la convenienza che un accordo preventivo si stabilisca fra i varii Gabinetti, onde risolvere in antecedenza quelle questioni di forma, che potrebbero nuocere alla efficacia dell'azione conciliatrice. Se veramente questa mia interpretazione fosse giusta, non si potrebbe dire con precisione che ci troviamo d'accordo col Conte Andràssy su questa questione della mediazione, poiché Egli avrebbe per l'appunto formulato le sue riserve a riguardo della riunione in conferenza dei rappresentanti delle grandi Potenze a Costantinopoli, essendo suo desiderio, se possibile, che queste esercitino il loro mandato di mediazione senza che per C'iò abbiano a dare alle riunioni, che potranno a tale effetto tenere. il formale carattere di una conferenza.

Ho creduto dover far cenno di questa differenza, poiché avendo, come già scrissi alla E. V., comunicato al Conte Andràssy il tenore del telegramma ch'Ella compiacevasi rivolgermi il 6 corrente (3), da cui emergeva che la risposta fatta pervenire al Signor di Waddir:gton fosse conforme alle vedute del Gabinetto di Vienna. non sarebbe impossibile mi si facesse poi rilevare l'abbastanza sostanziale differenza che passa fra quella e queste. Riuscirebbemi quindi grato se l'E. V. ben volesse porgermi al riguardo quelle deiucidazioni. atte a mettermi in grado di dare al riguardo quelle spiegazioni che potrebbero essere del caso se mi si interpellasse in proposito.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, PAGET (2)

D. S.N. Roma, 10 maggio 1879.

Ringrazio V. E. della nota che mi fece l'onore di dirigermi il 2 di questo mese (3) per annunziarmi che il Governo di Sua Maestà Britannica ha approvato l'elezione del principe Alessandro di Battenbrrg al trono di Bulgaria.

Il Governo del Re ha esso pure fatto conoscere a Costantinopoli il suo assenso a quella elezione. Rimane però dubbio. per noi. se, trattandosi d'un assenso che deve essere espresso per gli effetti dell'articolo III del trattato di Berlino. non sarebbe conveniente che il voto delle Potenze fosse consegnato in un loro atto collettivo, protocollo o dichiarazione, od almeno mediante uno scambio di note identiche con la Sublime Porta.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 655. Parigi, 11 maggio 1879, ore 22,10 (per. ore 23,25).

J'ai été en quete de nouvelles. Démission Waddington parait indubltable. On espère de retenir Léon Say. La crise ministérielle ne pourra se prononcer en tout cas que mardi. L'on parle du marquis de Noailles pour les affaires étrangères.

Si Gambetta refusait de nouveau présidence du Conseil des ministres, on croit que le garde des sceaux, ou bien le ministre des travaux publics s'en chargerait.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 1054. Vienna, 13 maggio 1879 (per. il 17).

Tutti i principali giornali di Vienna di oggi riportavano il testo della Convenzione conchiusa fra l'Austria-Ungheria e la Turchia in data del 21 scorso aprile, ed a quanto pare pubblicata dalla Turquie dell'8 corrente. Unisco per regolarità di corrispondenza la traduzione tedesca che ne dà la Neue Freie Presse.

Parve qui assai strano a tutti che la pubbHcazione di un così interessante documento, se veramente avvenne a Costantinopoli sei giorni fa, non sia immediatamente stata segnalata telegraficamente dalle varie Agenzie; ma su questo incidente non m'arresterò per ora, riservandomi a tornarvi sopra se ulteriori informazioni al riguardo vi dessero importanza.

Recatomi ieri al Ministero chiesi al Barone Calice, se quel documento fosse esatto. S. E. risposemi che sostanzialmente riproduceva la Convenzione stipulata fra i due Governi, ma che però il testo datone dai Giornali non era pienamente conforme al documento ufficiale: esso riproduce, dicevami Egli, il testo corrispondente ad uno degli stadi del negoziato, non quello definitivo. Avendo però avuto più tardi occasione d'incontrarmi col Conte Zichy, l'Ambasciatore Imperiale a Costantinopoli (che parte oggi per far ritorno al suo posto) gli ripetei la stessa interrogazione e ne ebbi in risposta, che la Convenzione quale fu pubblicata dai giornali riproduce précisement sans variante aucune, cosi Egli esprimevasi, le teste exact du document original. La Convenzione portando per l'appunto la firma del Conte Zichy, devo ritenere la sua osservazione siccome la più esatta, essendo facile che la memoria abbia fatto difetto al Barone Calice nel leggere i giornali del mattino.

La stampa fin qui non ha ancora fatto oggetto di un'ampia discussione quella convenzione: parmi però che tanto gli annessionisti quanto gli antiannessionisti ne siano poco soddisfatti. A mio avviso quell'accordo ha ciò di buono pei due Governi contraenti di aprire la porta a tutte le eventualità e di prestarsi a tutte quelle interpretazioni che le circostanze potrebbero pre

sentare favorevoli all'uno od all'altro. Esso è essenzialmente un modus vivendi, ed anche soltanto come tale è di vero vantaggio pei due Governi, che veramente in difetto di quel patto speciale si trovavano a fronte l'un dell'altro in una situazione troppo anormale.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, NIGRA

T. 239. Roma, 14 maggio 1879, ore 15,10.

On télégraphie de Livadia à l'ambassadeur de Russie que le prince de Bulgarie recevra à Livadia méme la députation bulgare, fera ensuite la tournée des grandes Cours et accélérera ainsi le moment de son arrivée en Bulgarie où en attendant, selon le désir du prince et le consentement de l'Empereur continuera à fonctionner l'administration actuelle. Le baron d'Uxkull est chargé de nous dire que son Gouvernement, en vue des avantages pratiques de cette combinaison espère qu'elle sera par nous bien agréée. J'a,i répondu que l'Italie qui a salué avec sympathie l'élection faite par l'assemblée nationale bulgare ne saurait voir qu'avec plaisir tout ce qui est de nature à accélérer le moment du fonctionnement régulier des nouvelles institutions que la Principauté s'est données. Nous comprenons cependant la nécessité de combinaisons transitoires destinées à assurer pratiquement la marche des affaires et à pourvo'r aux besoins de l'administration du pays (1).

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 665. Parigi, 14 maggio 1879, ore 15,30 (per. ore 17,35).

Crise ministérielle parait évitée par l'influence personnelle du président de la République; mais on croit que la crise se présentera de nouveau et bientòt. Ce matin Waddington fait dire qu'il recevrait le corps diplomatique après 2 heures, et à mid'i il nous a fait connaitre par écrit qu'H se voyait dans l'impossibllité de nous recevoir. Evidemment il y a quelque chose là-dessous.

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 669. Pietroburgo, 15 maggio 1879, ore 15,40 (per. ore 18.06).

J'ai porté à la connaissance du prince Gortchakow contenu du télégramme de V. E. concernant l'accord entre les Cabinets de Vienne et de Londres pour la

fixation de la date de l'évacuation au 3 juillet prochain (1). Je lui ai dit que Gouvernement du Roi serait heureux de pouvoir constater acceptation de la Russie et de voir ainsd terminées toutes les difficultés à ce sujet. Son Altesse m'a dit que l'Empereur Alexandre avait répondu qu'il ferait tout son possible pour accélérer l'évacuation, qu'il ne pouvait pas prendre à cet égard engagement forme!. Prince Gortchakow m'a informé que l'Autriche avait répondu dans un sens favorable à la communication concernant le voyage du prince de Bulgarie (2) et ses intentions relativement à la continuation intérinaire de l'administration actuelle dans la Principauté jusqu'à son retour.

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI, ALL'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT (4)

L. P. Costantinopoli, 16 maggio 1879.

Approfitto dell'occasione del corriere Inglese gentilmente offertomi da Sir Henry per scriverti queste righe. Durante tutta la negoziazione Austro-Turca io non cessai di tenere il Governo ragguagliato, per rapporti confidenziali, delle fasi per le quati esse ebbe a passare. E pochi giorni dopo che fu firmata la

( 3) Cfr. n. 578.

convenzione, cioè più di due settimane fa, ne mandai il testo che ebbi la fortuna di potermi procurare per l'amicizia di qualcuno. Per qual ragione non abbiano comunicato né a te né alle altre Ambasciate queste informazioni io ignoro. Della Convenzione non ti parlerò poiché fu indi pubblicata dai giornali, però ti dirò qualcosa dell'artico:o segreto. Contemporaneamente alla convenzione era dunque firmato un articolo segreto di cui io dava pure es::ttta conoscenza al Ministero. Per esso si stabiliva che le due parti coopererebbero colle rispettive [forze] all?, difesa del Sangiaccato di Novi Bazar qualora venisse attaccato da forze estere. Era una specie di esca che il Governo Austro-Ungarico aveva voluto offrire al Turco. a debolissima imitazione della garanzia del territorio asiatico che l'Inghilterra forniva alla Turchia quando intascava l'isola di Cipro. Tutto era finito e firmato ed il Conte Zichy si disponeva a partire allorché vennero degli scrupoli al Sultano, il quale temette si potesse presentare il caso d'una rivolta dei Mussulmani, e le sue truppe fossero obbligate ad unirsi agli austriaci per combatterla. Sua Maestà espose i suoi timori ai Ministri, e questi fecero chiamare il Conte Zichy per pregarlo di annullare l'articolo. Ma questi naturalmente rispose non potere mutare una convenzione già approvata dal suo Governo, però aggiunse farebbe oflì.cij n Vienna, e credeva otterrebbe l'adesione richiesta. Non poteva infatti essere dubbio che il Governo Austro-Ungarico sarebbe lieto di liberarsi da questo impegno, e così fu, che il Conte Zichy telezrafò pochi giorni appresso il Governo avere acconsentito all'annullamento dell'articolo in discorso. Ed ora rimane la convenzione quale la conosci, con due aggiunte non pubblicate, l'una delle quali riguarda il trattamento dei Bosniaci nel territorio Ottomano che per ora è conservato come per lo passato, l'altro per le donne Mussulmane che avranno ad essere rispettate da Giasur? Il Sultano finì dunque per acconsentire alla convenzione per la quale però si usò la precauzione di darle valor legale senza le ratìfiche, poiché s'ebbe paura che all'ultimo momento Sua

Maestà potrebbe rifiutare la sua firma.

Io credo che a! punto a cui erano giunte le cose era meglio anche per la Turchia di prestarsi alla convenzione, poiché un rifiuto avrebbe potuto costringere l'Austria ad andare più lontano che non voleva. Nell'atto vi sono, a dir vero degli addentellati, de' quali l'Austria può valersi per andar più lontano, ma quando essa venisse in tale determinazione avanzerebbe ancl1e senza gli addentellati. Il Sultano però non l'ha ancora digerita e conserva profonde ire contro l'Austria, contro Zichy, perfino contro Caratheodori, e non sa darsi pace perché gli soffiano ancora all'orecchio che i Mussulmani ed anche una parte dei Cristiani della Bosnia sono contrarissimi alla dominazione Austriaca e rimpiangono la Ottomana. Ed io sono veramente convinto che l'Austria abusò della posizione avversa al Congresso di Berlino, spinta dall'Inghilterra e dalla Germania, applaudita dalla Francia, appoggiata dalla Russia, domandando questo Sangiaccato di Novi Bazar. Essa ha voluto stravincere, e certamente depassò i limiti della moderazione. Tu dici che io non fui mai d'avviso che l'occupazione

ed anche l'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina fosse un pericolo né un

danno per l'Italia. Ma se essa volesse veramente andare a Salonicco le cose

sarebbero ben diverse, non precisamente per Salonicco, che se si fanno le strade

ferrate e questo porto presenterà dei vantaggi commerciali, l'Italia non potrà impedire che quella diventi la via di comuni::azione fra l'Oriente ed il centro d'Europa. Ma l'Austria occupando la zona che andrebbe a Salonicco potrebbe, per assicurarsi il fianco destro, occupar l'Albania, il che muterebbe grandemente l'equilibrio delle Potenze nell'Adriatico, né potrebbe essere visto con indifferenza dall'Italia. Senonché, per ovviare a questi pericoli fu sempre ed è tutt'ora mio avviso che convenga all'Italia d'intendersi coll'Austria, imperocché a noi che conquistammo la nostra indipendenza non conviene di porre a repentaglio l'avvenire con una nuova guerra col vicino lmpero. Questa fu la base della politica che io seguii, poiché la prima condizione per intendersi coll'Austria era quella di ristabilire con essa le amichevo:i relazioni. Fu questa la via seguita dagli altri? Tu lo saprai meglio di me.

Sotto questo punto di vista io ti dirò anche in confidenza che deplorai amaramente la missione De Gubernatis nell'Epiro, e la conseguente agitazione Albanese, i quali atti ci inimicarono la Grecia e suscitarono gravi sospetti a Vienna. Mentre io sono invece convinto che la migliore politica da seguirsi per noi sarebbe stata precisamente di spingere la Grecia in quella direzione, perché l'occupazione di quelle barbare regioni sarebbe una sfortuna per l'Italia, e ci condurrebbe probabilmente a gravi complicazioni coll'Austria. Saressimo invece assicurati da quella parte se la Grecia venendo a Janina si facesse ad assorbire tutta l'Albania, ché l'Italia non ha nulla a temere dalla Grecia. Vedo con piacere dalla tua ultima che t'accosti alla mia opinione non essere questo un momento opportuno per mostrare i denti. Per seguire una politica energica bisogna primieramente sapere dove si vuol andare. Ora sai tu dove vonno andare Depretis e Tornielli? Se i denti si vonno mostrare all'Austria, tanto per lusingare quegli elementi di cui Garibaldi è la personificazione più Rpiccata, e Cairoli e Zanardelli due de' più vivi partigiani, io la crederei grande sventura per ì'Italia. Ma poi che si guadagna a mostrare i denti? Ci siam provati in Egitto, ed anche per la questione finanziaria, e non ci ascoltano perché nessuno sa in che acque navighiamo, con chi siamo e con chi non siamo.

L'esser male coll'Austria non ci mette soltanto male con questa, ma ci compromette anche a Londra ed a Berlino. E se si vuole essere giusti conviene pure riconoscere che dopo la guerra del 66 non è l'Austria che s'è mai sognata di domandar qualcosa all'Italia, ma questa che elevò pretensioni su quella. Per tutte queste ragioni, mentre mi trovai nella selva oscura, io lottai con tutte le mie forze per migliorare le nostre relazioni coll'Austria, lottai tanto che quasi m'infransi. La lotta era tanto più àura ma necessaria pel bene d'Italia avendo Cairoli per capo e Zanardelli per collega. Eppure io sono convinto che andremo incontro a grandi sventure se non si troverà ancora in Italia un forte partito che sostenga questa politica, c la faccia trionfare. Scusa se mi sono assai allargato sopra questa tesi, ma mi preme che bene sappia che quello che ho fatto non fu opera del caso ma fu inspirato unicamente dal sentimento d'amor patrio. Dopo l'Austria la Potenza che qui è più mal vista è l'Italia, a cagione della viva opposizione che il R. Governo non cessa di fare contro tutte le combinazioni finanziarie che si trattano, e ciò a cagione di quella quistione dei delegati. Capisci che quando si muore di fame, non s'ama quegli che toglie il pane dalle mani di chi l'offre. Ma poco me ne cale. A Roma si buccina talvolta

459 che Tornielli intrighi per trovare il mezzo di farmi richiamare da Costantinopoli. Ma in fin dei conti credo non ne farà nulla, poiché per lui è assai meglio che io sia sulle rive del Bosforo che su quelle del Tevere, massime dopo che mi è noto tutto quello che fu fatto in questi cinque mesi, e la tribuna del Senato essendo a mia disposizione. Arroge che colla salute m'è accresciuto il vigore dell'animo. Se avessi la bontà di scrivermi qualcosa di confidenziale potresti sempre profittare del corriere Inglese che Elliot deve spedire ogni settimana il Sabato o la Domenica. E mi farebbe grandissimo piacere di conoscere le tue impressioni sulle cose sopradette.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI

D. 471. Roma, 17 maggio 1879.

In luogo dell'Ambasciatore di Francia, impedito da indisposizione, venne il Segretario dell'Ambasciata a leggere un dispaccio del Signor Waddington relativo alla risposta (l) che noi facemmo alla proposta sua circa il modo di esercitare la mediazione nella controversia turco-ellenica.

Ho notato che il Signor Waddington, prendendo atto nel suo dispaccio, della nostra risposta in tutte quelle parti che costituiscono adesione alla proposizione francese, ne espone il senso in termini diversi da quelli nei quali essa è espressa, e non fa alcun cenno delle riserve in essa contenute. Il dispaccio finisce semplicemente col pregare il Marchese di Noailles di ringraziare!.

Ho risposto facendo notare che il dispaccio di cui ho udito la lettura riassume ciò che da noi fu scritto all'E. V. meno quella parte in cui, nello scopo di evitare ulteriori difficoltà, noi accennavamo alla opportunità di intenderei sopra varie questioni preliminari. Fatta questa osservazione non mi rimaneva che a ringraziare, a mia volta, per la fattami comunicazione. Del resto le nostre notizie confermano le nostre previsioni le quali ci portavano a ritenere che la proposizione di una Conferenza non avrebbe avuto il favore di tutte le Potenze. Era per noi manifesto che quei Gabinetti i quali si erano opposti, per ragioni d'ordine generale, alla riunione dei rappresentanti a Costantinopoli in Conferenza per >l'affare di Arab-Tabia, avrebbero incontrate le stesse difficoltà ad ammettere la riunione di una Conferenza per un affare ben altrimenti importante e spinoso nel quale si avrebbero a risolvere questioni molto gravi ed a conciliare interessi disparatissimi.

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 680. Cairo, 19 maggio 1879, ore 13 (per. ore 15.15).

Les Gouvernements autrichien et prussien protestent contre le décret du 22 avril (2), n'ayant pas été fait d'accord avec magistrature, conséquemment infraction décret novembre 1876 qu'ils considèrent camme un contrat avec les créanciers.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, TORNIELLI, ALL'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, NIGRA

D. 370. Roma, 21 maggio 1879.

Il Ministro di Turchia mi ha rimesso in questi giorni la Memoria di cui qui acchiudo copia e nella quale sono riassunte gravi doglianze per i procedimenti dei Bulgari contro i loro compatriotti mussulmani. In pal'i tempo Turkhan Bey richiamava la mia attenzione sopra le complicazioni che potrebbero derivare dalla emigrazione che si verrebbe provocando tra i Bulgari dei territori rimasti sotto il dominio diretto del Sultano, ed esprimeva il desiderio che, così per l'uno come per l'altro argomento, il R. Governo facesse opportuni officii presso il Gabinetto di Pietroburgo.

Nella condizione presente delle cose, non parrebbe, a vero dire, doversi rivolgere a codesto Governo le osservazioni di cui si tratta. Nondimeno, per soddisfare in alcun modo alla richiesta di Turkhan Bey, La prego di voler porgere alla Cancelleria Imperiale notizia delle istruzioni che impartisco in proposito ai RR. Agenti in Bukarest e in Rumelia, manifestando la fiducia che anche la Russia voglia adoperarsi nello stesso senso coi mezzi di cui dispone.

Tanto al R. Console Generale in Bulgaria, come al R. Delegato nella Commissione per la Rumelia Orientale fu scritto affinché conformino il loro linguaggio al nostro pensiero, che cioè sia provveduto, per quanto si possa, alla pacifica coesistenza delle popolazioni senza distinzione di razza e di religione (1).

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 508. Parigi, 22 maggio 1879 (per. il 23).

Nel pomeriggio di jeri ho diretto all'E. V. un telegramma {l) il di cui tenore Le ripeto per iscritto.

Da certe frasi del Signor Waddington ho potuto comprendere che 11 dispaccio, di cui il Marchese Noailles diede comunicazione all'E. V., non aveva altro scopo fuorché di prender atto e felicitarsi dell'accordo esistente tra l'Italia e la Francia sul fondo della quistione relativa aUa frontiera turco-ellenica. Rimaneva poi la quistione di forma, alla quale alludeva il Dispaccio di V. E.

N. 466 (2) di cui diedi lettura e copia al Signor Waddington. E su questa questione di forma Egli mi assicurò di avere scritto a Roma avant'ieri.

Si tratterebbe di affidare la delimitazione della frontiera Turco-ellenica ai Rappresentanti delle grandi Potenze a Costantinopoli, i quali si riunirebbero senza carattere ufficiale d'una vera Conferenza e senza stendere protocollo alcuno.

Quantunque la delimitazione della frontiera sia riservata al voto unanime dei Rappresentanti delle grandi Potenze a Costantinopoli, ragion vuole che cadauno d'essi riceva istruzioni dal suo rispettivo Governo. Perciò chiesi al Signor Waddington qual fosse il tracciato che Egli ordinerebbe all'Ambasciata di Francia di propugnare a Costantinopoli. Converrà ritornare, così rispose, al nostro primo pensiero di essere, cioè, larghi verso la Grecia in Tessaglia, sobrii nell'Epiro.

Si potrebbe in Tessaglia portare la frontiera greca sino all'Olimpo, !imitarla nell'Epiro poco oltre il Golfo d'Arta. Replicai chiedendo se vorrebbe estenderla sino a comprendervi il territorio di Parga e Margariti. Rimase titubante e disse vi rifletterebbe meglio. Soggiunse però essere desiderosissimo di finire co

desta questione e di risolverla al più presto o in un modo o nell'altro. Aver fiducia di riuscire a dare un'equa soddisfazione alle pretese greche che permetta poi di frenarle energicamente in avvenire e dia campo alla Turchia di cicatrizzare le sue piaghe, riordinare le sue Finanze e procedere alla lenta riorganizzazione del suo sconnesso Impero. Riassumendosi disse necessario di soddisfare possibilmente la Grecia, ma senza troppo indebolire la Turchia non potendo convenire a noi il suo completo sfacelo.

Le prolungate esitanze del Signor Waddington relativamente alla nuova frontiera Turco-ellenica, i diversi concetti ch'Egli accarezzò successivamente e le sue parole di ieri provano in modo palese che l'animo suo fu combattuto da criteri opposti e che all'ultimo ha ceduto all'influenza inglese accettandone il programma e facendo qualche cosa per la Grecia, affine di chiuderle la bocca, pur volendo salvare da maggiori danni l'impero Turco e dargli agio di riordinarsi e risorgere.

L'Ambasciatore turco Savfet Pacha si era mostrato sino a quest'ultimi giorni tenacemente opposto a qualsiasi concessione alla Grecia. Lo trovai ier l'altro tutto mutato e bramoso soltanto di risolvere la quistione greca, onde sia lecito alla Turchia di assaporare un po' di calma dopo tanti guai, farsi dimenticare dall'Europa e concentrare ogni studio, ogni forza nel ripristinamento delle Finanze e nella soluzione dei molti problemi interni.

Mi colpirono queste idee di Savfet pacha, dissimili troppo dai suoi precedenti discorsi; e forse manifestano antic,ipatamente che la Porta accetterà con rassegnazione Ja nuova frontiera turco-ellenica, secondo il tracciato che gli Ambasciatori indicheranno e le grandi Potenze vorranno imporle.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 1060. Vienna, 22 maggio 1879 (per. il 27).

Ho chiesto ieri al Barone Orczy se la Russia avesse poi effettivamente fatto qualche passo presso il Gabinetto di Vienna, come ne corse voce, onde ottenere il suo concorso nell'azione diplomatica da essa intrapresa a riguardo della Svizzera, onde combattere le mene internazionali che colà s'annodano e che avrebbero poi per conseguenza i ripetuti attentati contro la vita dei Sovrani.

S. E. risposem1 che dal Gabinetto di Pietroburgo non era pervenuta a Vienna comunicazione di sorta di tal natura: che i due Governi si erano unicamente preoccupati di addivenire a comune accordo, onde tutelarsi a vicenda contro l'azione della propaganda socialistica che ha gettato le sue radici nella Polonia Russa e nella confinante Galizia. Egli aggiungevami che a tale effetto le rispettive autorità giudiziarie delle Provincie di frontiera erano state autorizzate a trasportarsi nella limitrofa circoscrizione giudiziaria dell'altro Stato ed a prendervi conoscenza degl'incartamenti riferentesi ai processi in corso per imputazioni di detta natura, seguendo anche, ove lo credano, i processi inquisitori ed i successivi dibattimenti giudiziali, onde trame norma ed indizi per gli analoghi procedimenti ad istruirsi presso i tribunali dello Stato a cui appartengono.

Nel ciò riferire all'E. V. a schiarimento delle dicerie sparse dai giornali, credo dover mio aggiungere, risultarmi che effettivamente in Galizia la propaganda socialista si sarebbe fatta in questi ultimi tempi assai intensa, tale anzi da impensierire il Governo.

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 701. Vienna, 23 maggio 1879, ore 19,20 (per. ore 19,45).

Prince Battenberg part ce soir pour Berlin et autres grandes capitales. Il m'a dit qu'il sera à Rome le 18 juin et qu'il espère y trouver encore Leurs Majestés et se présenter à elles (l).

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, MENABREA, E A VIENNA, DI ROBILANT

T. 253. Roma, 24 maggio 1879, ore 13,30.

Ambassadeur de France m'a communiqué une dépikhe de M. Waddington du 19 mai. Ce ministre constate que la proposition qu'il a faite en vertu de l'art. 24 du traité de Berlin a été acceptée par toutes les Puissances et il s'applique à déterminer les conditions dans lesquelles la médiation doit s'exercer. L'Europe, dit-il, n'a pas à se substituer aux négociateurs mais seulement à s'interposer entre eux pour aplanir leurs dissentiments et contribuer à les rapprocher. M. Waddington explique ensuite dans quelle pensée il aurait proposé une conférence. Il s'agissait d'assurer que les conseils des Puissances représenteraient leur opinion commune et d'écarter les inconvénients qui seraient le résultat d'une divergence de vues et de langage de la part des représentants à Constantinople. Ceux-ci pourraient se borner à se réunir et à convenir entre eux sans aucune solemnité de forme, sans tenir protocole des conseils qu'ils auraient à faire entendre. Les résolutions prises à l'unanimité devraient seules etre connues des parties intéressées. Chacun conserverait la plus grande latitude quant à la forme de ses communications aux négociateurs tures et grecs, pourvu qu'il fut bien entendu que ces communications seraient faites de commun accord. Afin d'assurer cette unité de vues et l'action collective des Gouvernements investis par le congrès de la mission d'affermir la paix en réglant la question des frontières de la Grèce, M. Waddington propose que les Cabinets invitent la Porte et la Grèce à déléguer immédiatement des plénipotentiaires et mettent leurs agents diplomatiques à Constantinople en mesure de remplir la mission qui leur est confiée, en leur adressant des instructions. Enftn le ministre des affalres etrangères de France exprtme le désir que les négociations puissent commencer dans la première quinzaine de juin.

Je n'ai exprimé aucun avis sur cette communication. Je désire que V. E. fasse connaitre le plus promtement possible l'accueil que le Gouvernement anglals (autrichien) lui fera de son còté (l).

(Pour Vienne). Vous pouvez dire au Comte Andrassy que nous attachons le plus grand prix à nous entendre avec lui pour cette affaire dont le règlement semble déstiné à clore la période des complications ori.entales.

(Pour Londres). Vous pouvez dire à Salisbury que le moment nous semble venu de donner une valeur pratique à la communauté des vues qui doit etre la conséquence de l'analogie des intérets de l'Angleterre et de l'Italie dans le règlement des questions de la péninsule des Balkans. Nous sommes prets à nous entendre quant au fond et à la forme avec le Cabinet de Londres sur la double base de la non intervention et de la conciliation des vues des populations de toute race avec les intérets d'ordre général qui se rattachent à la conservation de l'Etat ottoman dans les conditions de vitalité suffisante.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI

D. 845. Roma. 24 maggio 1879.

Le esprimo i miei ringraziamenti per le notizie favoritemi dalla S. V. Illustrissima col suo rapporto n. 1479, confidenziale riservato, in data 4 corrente (1).

Da quanto Ella mi ha comunicato col predetto rapporto, è lecito desumere che, per ora almeno, sia andato fallito lo scopo principale cui mirava l'Austria

Ungheria, e che consisterebbe appunto nell'acquistare, nella Turchia Europea, un posto analogo a quello che attualmente occupa l'Inghilterra nella Turchia Asiatica. In conseguenza di ciò, e massimamente di fronte alla sfavorevole accoglienza fatta al Trattato austro-turco del 21 decorso Aprile dalla pubblica opinione nelle due parti della Monarchia austro-ungarica, sarà opportuno di esercitare la più accurata vigilanza circa tutto ciò che potrebbe servire al Gabinetto di Vienna d'occasione propizia per ritentare la prova testé fallita e raggiungere lo scopo che pare gli stia tanto a cuore.

Torneranno quindi gradite ed utili al R. Governo tutte quelle informazioni che Le sarà dato di raccogliere intorno a questo importante argomento (1).

L'AMBASCIATORE A VIENNA, DI ROBILANT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 1064. Vienna, 24 maggio 1879 (per. il 27).

Avendo espresso al Conte Andràssy il desiderio di prendere da Lui commiato prima di assentarmi da Vienna per fruire del congedo accordatomi dall'E. V., S. E. risposemi che sarebbe tanto più lieto di vedermi, che a sua volta desiderava conversare meco un po' a lungo prima della mia andata a Roma. Ieri quindi all'indicatami ora mi recai da Lui. S. E. esordì ìl suo discorso dicendomi, non potersi abbastanza lodare del linguaggio tenuto in ogni occasione dall'E. V. col Barone di Haymerle, tanto per ciò che riflette le questioni Europee come per quanto ha tratto alle relazioni fra i due Governi, ed aggiungeva ancora che quel linguaggio trova la sua piena conferma in tutti gli atti dell'E. V. e del R. Governo. Dopo avere ripetutamente insistito nel porre in sodo questo fatto, il Conte Andràssy dicevami, non potere però a meno di preoccuparsi delle manifestazioni così ostili all'Austria che il Generale Garibaldi, ed il partito che attorno al suo nome si aggruppa, non cessa dal porre in iscena. Egli non vede in ciò un serio pericolo per la Monarchia Austro-Ungarica ed è poi convinto che ove si tentasse un'impresa qualsiasi oltre il nostro confine, il R. Governo non mancherebbe di reprimere simili tentativi con tutta la voluta energia: ma, dicevami Egli: «Ove un principio di fatti di quella natura si verificasse, noi saremmo in allora spinti in modo assoluto dal sentimento dominante nelle due parti della Monarchia a concentrare truppe alla vostra frontiera per impedire una qualsiasi anche momentanea violazione del confine: ed indubbiamente tanto per voi quanto per noi, ciò nuocerebbe gravemente a quelle buone relazioni che da ambe le parti si vuole non solo conservare ma anzi mai sempre maggiormente rafforzare». Egli dicevami, essersi trattenuto dal rivolgere a questo proposito una comunicazione scritta al R. Governo. sebbene fosse stato più volte eccitato a farlo, ravvisando che un passo di tal natura sarebbe già per se solo bastevole ad influire sfavorevolmente sulle relazioni fra i due Governi; avere anzi fatto invitare i giornali influenzabili a toccare quella questione con molta moderazione di forma. Riescivagli però anche difficile il tacere assolutamente, poiché ove pure avesse a verificarsi uno di quei casi che sperava non si realizzerebbero, gli si sarebbe potuto fare il non infondato appunto, che se in tempo opportuno Egli avesse chiamato l'attenzione del Governo Italiano su di un sì pericoloso stato di cose, quelle lamentevoli conseguenze non si sarebbero prodotte. Quindi, Egli chiedevami di fare io presente tale situazione tanto a Sua Maestà quanto all'E. V., affinché il R. Governo veda se non sarebbe di sua convenienza di far sentire esplicitamente tanto al Generale Garibaldi quanto ai suoi amici, che, qualsiasi atto di natura a turbare le relazioni col vicino Impero sarebbe con tutti i mezzi preventivamente impedito.

Tutto il discorso del Conte Andràssy si può dire si aggirò sul pensiero espresso in quest'ultima frase, che, avviluppata nei termini i più cortesemente cordiali, Egli mi ripetè parecchie volte, insistendo nel pregarmi di far considerare all'E. V. la necessità di prevenire, per non aver poi a reprimere, un grave e torse irreparabile danno per le relazioni tra i due Stati.

Non mancai per conto mio di valermi nelle risposte, colle quali interrompevo di quando in quando il mio nobile interlocutore, delle informazioni che l'E. V. compiacevasi porgermi sopra sì delicata questione col suo telegramma del 25 scorso mese (1), responsivo a'l mìo del giorno precedente (2) e come era accentuato in quel dispaccio, insistetti a mia volta nel ripetere, che l'E. V. aveva;mi assicurato «ìl R. Governo trovarsi in grado di non permettere cosa alcuna, atta a turbare le relazioni dell'Italia coi suoi vicini,>, e ben potere io dire che in questa questione il Ministero ha in suo favore il più completo concorso ed appoggio dell'opinione pubblica. In quanto alla manifestazione che come azione preventiva si desidererebbe il Governo facesse, come di ragione, mi tenni in un'estrema riserva, dicendo che avrei bensì ripetuto alla E. V. le cose dettemi, ma che non potevo esprimere neppure un apprezzamento in proposito, non avendo dati per giudicare con fondamento la maggiore o minore possibilità di conati del genere di quelli di cui il Conte Andrassy mostrava impensierirsi: d'altronde la scelta dei mezzi per prevenirli alla occorrenza dipendendo da circostanze di vario genere e d'opportunità anzi tutto, che io da Vienna non sono in posizione di valutare con precisione.

Devo poi notare che mai per lo passato il Conte Andràssy, toccando meco questa questione così delicata pei due paesi, ebbe a farlo con tanto riguardo e con tanta cura di evitare qualsiasi parola atta ad eccitare la giusta suscettività di chi ha l'onore di rappresentare l'Italia, e persino facendo cenno con ben marcata intenzione della visita di cui Sua Maestà l'Augusto Nostro Sovrano degnavasi onorare il Generale Garibaldi, impiegava un giro di frase tale, da rendere inappuntabile la sua, d'altra parte, poco velata insinuazione.

Avrò fra poco l'onore di sottoporre verbalmente all'E. V. le considerazioni suggeritemì dal colloquio che ho creduto dover riassumere nel presente rapporto, avendo la persuasione che il Conte Andràssy ne darà contezza al Barone Haymerle e sembrandomi quindi conveniente che ne rimanga del pari traccia nel mio carteggio ufficiale.

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 708. Vienna, 26 maggio 1879, ore 15 (per. ore 17,15).

Orczy que je viens de voir m'a dit que Andrassy tout en accueillant favorablement propositions françaises contenues dans circulaire du ministre des affaires étrangères de France du 19 courant (4) n'a pas encore fait de réponse à l'ambassadeur de France. Ce dernier m'a répété la meme chose, en se plaignant du retard que l'on apporte ici à prendre une décision. Mon impression est que l'on veut s'entendre préalablement avec Angleterre. Détails par poste.

Approvo interamente il linguaggio da Lei tenuto in questa circostanza. Esso è in perfetta correlazione con la poca premura dimostrata dal Gabinetto di Berlino di presentire, a questoriguardo, l'opinione dell'Italia, la quale, per la situazione geografica è più di qualunque altra Potenza interessata alla tranquillità di un paese ove vivono frammiste popolazioni albanesi e greche».

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI

D. R. 478. Roma, 26 maggio 1879.

Sono grato assai all'E. V. d'avermi riferito, con rapporto del 14 di questo mese, n. 507 (3), le pratiche da Lei fatte presso il Signm Camondo in con

formità del desiderio che lo aveva espresso nel dispaccio delli 8 maggio, numero 467 (1).

Il Governo ottomano avendo dichiarato che farebbe all'Italia la stessa posizione della Francia e dell'Inghilterra qualora capitali nostri, insieme ai francesi ed inglesi reclamassero la loro parte nella operazione in corso di trattativa, il compito del R. Ministero era: 1° di far constare della partecipazione di cospicue case bancarie italiane nella operazione stessa; 2° di far conoscere alle case medesime che da esse può dipendere che l'Italia venga posta in condizione di efficacemente tutelare i loro interessi prendendo a Costantinopoli una posizione eguale a quella di altri Stati che saranno chiamati ad esercitare uno speciale controllo e per tal modo un'influenza particolare in tutto ciò che si connetterà con la protezione degli interessi finanziari dei loro sudditi in Turchia.

È: sopratutto per questa ragione ed a questo titolo che noi abbiamo desiderato metterei in rapporto con la casa Camondo e che crediamo convenga che dalla medesima non si ometta ciò che potrebbe assicurare all'Italia una situazione eguale a quella di altri Stati in un affare di alto interesse finanziario e politico.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, MENABREA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 715/272. Londra, 27 maggio 1879, ore 20 (per. ore 1,45 del 28).

Conformément au dernier télégramme de V. E. (l) et à sa dépeche du 24 courant (2), j'ai aujourd'hui interpellé le marquis de Salisbury sur l'accueil qu'il avait fait à la circulaire de M. Waddington, relative au difiérend turcogrec, en lui exprimant de nouveau le désir de notre Gouvernement de marcher d'accord avec celui de la Reine dans toutes les questions qui s'agitent dans la péninsule des Balkans. Le noble lord m'a chargé de remercier nouvel!ement V. E. des ses bonnes dispositions à ce sujet, vu que nos deux pays ont des intérets identiques dans cette question. Il m'a confirmé son opinion que j'avais déjà fait connaitre à V. E. par mes rapports 22 et 24 courant (3), c'està-dire qu'il admet le concours des représentants des Puissances pour faire d'un commun accord une proposition médiatrice à la Porte et à la Grèce pour régler la question de frontière, mais sans les formalités de protocole, ni pro

3'i -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. XI

cès-verbal. Le Cabinet de Saint James ne pourrait s'associer à une proposition ayant pour objet la cession de Janina à la Grèce. Les autres Puissances pourraient la faire et la Porte l'accepter; mais l'Angleterre ne pourrait répondre des conséquences et des désordres sérieux qu'une telle cession entrainerait probablement. La médiation proposée devrait avoir un caractère purement pacifique et ne point conduire à une coercition de la part des Puissances pour la faire accepter. La responsabilité d'un refus retomberait sur celle des deux parties qui aurait refusé. Salisbury désirerait savoir d'avance l'opinion de V. E. pour le cas que la Porte demandat des garanties contre d'ultérieures agressions de la part de la Grèce, après que celle-ci aurait obtenu les rectifications proposées par les médiateurs. Je pense que dans ce cas la Grèce ne pourrait plus compter sur le protectorat des Puissances.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 716. Parigi, 28 maggio 1879, ore 18 (per. ore 20,40).

Waddington vient de me dire qu'au cas probable de la réussite d'un emprunt turc, il a mis comme condition formelle que la commission de contròle internationale soit composée de trois délégués, un itaUen, un français, un anglais. Il m'a confié que la seule opposition contre le délégué italien vient de Kerredine pacha (2). Il est d'avis qu'il faut chercher à s'entendre à tout prix au sujet de la convention monétaire, car si l'union latine venait à se dissoudre, la liquidation présenterait de grandes difficultés, et peut-etre de véritables dangers pour nos rapports. Il a ajouté que M. Luzzatti allait venir Paris pour cette affaire.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI

D. 486. Roma, 28 maggio 1879.

Le 24 de ce mais S. E. M. le marquis de Noailles m'a laissé copie d'une nouvelle dépeche de S. E. M. Waddington, portant la date du 19.

Après avoir constaté l'unanimité des puissances, qui, avec nous ont admis que le moment est venu d'offrir à la Grèce et à la Turquie la médiation prévue dans l'Article 24 du Traité de Berlin, le Ministre des Affaires étrangères de la République nous présente des explications complémentaires dans le but de déterminer d'une manière précise les conditions dans lesquelles cette mediation pourra s'exercer.

Il s'agirait, en résumé, de charger les représentants des six Etats à Constantinople de se réunir et de convenir entre eux, et dans la forme la plus simple, des conseils qu'ils auraient à faire entendre aux plénipotentiaires de la Turquie et de la Grèce pour aplanir leurs dissentiments et contribuer à les rapprocher. L'efficacité de ces conseils dépendrait nécessairement de la communauté des vues, de l'unité de langage et de l'unanimité des résolutions des Cabinets. Aussi portageons-nous complètement l'avis, exprimé par S. E.

M. Waddington, que les parties intéressées ne devront etre informées que des délibérations prises à l'unanimité par les Agents diplomatiques des six Gouvernements.

L'Italie en donnant son assentiment à la proposition de la France, s'associera donc aux efforts que les cinq autres Puissances médiatrices jugeront à propos de faire pour faciliter entre la Grèce et la Turquie la conclusion d'un acte international destiné à affermir la paix de l'Orient, moyennant le règlement de la question des frontières entre les deux Etats limitrophes. Mais le Gouvernement du Roi ne saurait perdre de vue, en cette occasion, l'intéret principal, à ses yeux, d'écarter tout danger de complications ultérieures, pouvant compromettre l'oeuvre de pacification du Congrès de Berlin et faire croire, en dernier lieu, à la nécessité de recourir à l'intervention armée étrangère, contrairement au principe qui forme une des bases immuables de sa politique internationale. Un esprit de sage prévoyance, dans le présent, épargnerait sans doute, à cet égard, bien des mécomptes dans l'avenir.

En exprimant ainsi la pensée dans laquelle seront conçues les instructions que nous nous proposons de donner au Représentant du Roi à Constantinople,

je désire mettre à meme V. E., d'engager avec S. E. M. Waddington des pour

parlers confidentiels, dont l'utilité nous semble incontestable dans une affaire

pour laquelle l'impartialité et le désintéressement de l'ltalie et de la France

sont une garantie de leur commun accord.

Vous pouvez, M. l'Ambassadeur, donner à S. E. M. le Ministre des Affaires

Etrangères de la République l'assurance la plus formelle que le Représentant

italien à Constantinople recevra en temps utile les instructions qui le met

tront à meme de prendre part aux délibérations communes des Agents diplo

matiques des Puissances médiatrices.

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 1068. Vienna, 29 maggio 1879 (per. il 1° giugno).

Ho potuto constatare l'esattezza della notizia trasmessa all'E. V. dal Rappresentante del Re a Costantinopoli, di cui è cenno nel dispaccio n. 744 (1), circa un progettato articolo segreto, mercé il quale la Sublime Porta ed il Gabinetto di Vienna promettevano di cooperare a vicenda alla difesa del Sangiaccato di Novi-Bazar. È anche vero che, in seguito alle vivissime istanze del Sultano, il Governo Austro-Ungarico abbia fatto sapere a Costantinopoli essere esso disposto a rivocare l'articolo sovraindicato.

Senza poter precisare ancora le ragioni che indussero il Conte Andràssy a desistere, sono per altro in grado di affermare essersi egìi espresso con un Ambasciatore come persona intimamente convinta che presto o tardi sarà pregato dal Sultano di vegliare da solo alla difesa del Sangiaccato. Non bisogna obliare che prima dell'attuazione della convenzione e stante il riavvicinamento della Russia alla Turchia, non sarebbe prudente per l'Austria di essere troppo esigente a Costantinopoli.

P. S. -Ho l'onore di accusare ricevimento dei Dispacci n. 744 (l), 745, 746 (2), di questa serie.

IL CONSOLE GENERALE A MARSIGLIA, STRAMBIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 194. Marsiglia, 30 maggio 1879 (per. il 4 giugno).

Col suo riverito dispaccio dell'8 maggio corrente, S. N., di questa serie (2),

V. E. ordinavami di trasmetterle notizie sulla Società Anonima Franco-Tunisina di credito Industriale e Commerciale, il Direttore e gli Amministratori della medesima, la sua importanza e solidità ed il carattere di cui è rivestita.

Ho attinto colla massima riserva tutti questi ragguagli che credo completi, alle fonti più attendibili, e li riferisco all'E. V. aggiungendovene altri che suppongo non interessar meno sullo spirito da cui possono essere diretti i capi di questa nuova impresa.

La Società Anonima Franco-Tunisina è creazione degli Amministratori della Société Marseillaise de Crédit Industriél et Commerciai et de Dépots di questa

città, istituzione essenzialmente locale; data dal 1865. Il suo capitale è di 40 milioni di cui metà versato. Gli amministratori ed azionisti della medesima sono in gran parte Banchieri, negozianti, industriali e possidenti di questa città. Gli amministratori sono tutti uomini di esperienza e personalmente ricchi. Essi, assieme alle loro attinenze, che sòno numerose e facoltose, combinano per proprio conto affari importanti che appoggiano alla Société Marseillaise mediante retribuzione per il concorso dei capitali occorrenti e per quello personale del Direttore e degli impiegati della Società a cui è vietato, secondo i suoi statuti, di speculare per conto suo e di stabilire succursali in Francia ed all'Estero.

La Società Franco-Tunisina è dunque opera degli Amministratori della Société Marseillaise e le 2000 azioni emesse, quale capitale della Tunisina, se le sono divise tra di loro. Non ve ne sono in vendita a nessun prezzo. Queste 2000 azioni da 500 franchi l'una rappresentano per la Tunisina il suo capitale di un milione, di cui metà versato a ragione di 250 franchi per azione. Cinquecentomila franchi di capitale effettivo per una Società del genere della Tunisina, non corrisponderebbe certo al suo programma, né all'importanza che le si attribuisce, ma che ha realmente per fatto della Société Marseillaise, la quale terrà cassa aperta e credito illimitato a disposizione della recente creazione dei suoi amministratori. Questo è quello che costituisce la solidità e l'importanza della Società Franco-Tunisina.

Il Direttore di quest'ultima, Signor Giulio Forti, nativo di Tunisi, ma di sudditanza francese è stato educato in parte a Marsiglia ed in parte a Parigi. Ha un discreto patrimonio; egli viveva qui agiatamente colle sue rendite ma, in seguito a qualche perdita subita nel tracollo dei fondi turchi. si era trasferito provvisoriamente in Tunisi per colmare il vuoto con qualche piccolo affare sicuro e specialmente con quella maggiore economia che colà avrebbe potuto fare. Ha conseguito lo scopo e stava per ritornare in modo definitivo a Marsiglia. ma sorta la combinazione della Società Franco-Tunisina è stato segnalato alla Société Marseillaise come quello che più di ogni altro avrebbe potuto assumerne vantaggiosamente la Direzione in Tunisi. Chiamato qui poco tempo fa dagli Amministratori della Marseillaise si è messo facilmente d'accordo con loro, e costituitasi la Società in discorso, fece ritorno a Tunisi, dove sotto la sua direzione è entrata subito in attività. Conosce bene Tunisi e Marsiglia e gode credito in ambedue le località. Si apina essere intelligente, istruito e probo.

Per fare risaltare maggiormente i vincoli strettissimi della Société Mar

seillaise colla Société Franco-Tunisienne si fa osservare che il Signor Albert

Rey. Presidente del Consiglio di Amministrazione della Sede Sociale in Mar

siglia della Franco-Tunisienne è il Direttore della Société Marseillaise. Gli

amministratori qui della Tunisina fanno tutti parte del Consiglio di Ammi

nistrazione della Société Marseillaise all'eccezione del Signor Giacomo Lumbroso

nativo di Tunisi congiunto di Forti, negoziante, per molti anni agente del

Be:v di Tunisi. suddito italiano qui stabilito, che è amministratore della So

cietà Franco-Tunisienne per la sua grande esperienza del Commercio di quella

Reggenza.

Reduce in questi giorni da Costantinopoli ove era andato a visitare il suo amico e protettore il Gran Visir Keredin e discorrendo naturalmente degli Affari Turchi e poi di quelli di Tunisi dissemi che dapprincipio aveva egli contrastato al progetto della Società Franco-Tunisina, come quello la cui realizzazione doveva nuocere agli affari che la sua casa fece sempre con quel paese ed alle relazioni che v'intrattiene, ma che poi a fronte della persistenza degli Amministratori della Marseillaise s'è messo anch'egli nel movimento per trarne la sua parte di profitto; che anzi volevasi mandar lui a Tunisi come Direttore della nuova Società con lo stipendio di 50.000 franchi che rifiutò, non potendo contare sulla stabilità di questo dopo che avrebbe bene avviata la Società, che ben prevedeva si avrebbe voluto mettere sotto la direzione di un francese e per tale motivo favorì la scelta del suo parente Signor Forti.

Già io avevo ricercato con particolare cautela le prove o gl'indizi almeno dell'iniziativa od impulso del Governo della Repubblica per l'installazione a Tunisi, con scopo politico, d'una Società Finanziaria Francese, ma non potei venire a capo di scoprir nulla, dovetti anzi assicurarmi che questi sospetti. che paiono ben naturali, non hanno fondamento. Certo il Governo di Parigi avrà appreso con soddisfazione la costituzione di questa Società in Tunisi, ed il Signor Roustan in particolare se ne sarà rallegrato ed avrà promesso la sua grazia e protezione a chi gli apportava quest'accrescimento della sua influenza ed importanza, ma l'idea di quella fondazione è indipendente affatto dal Governo, sibbene tutta propria degli amministratori della Marseillaise, i quali già intrattenendo operazioni di commercio e di Banca colla Reggenza e potendo disporre di vistosi capitali, han creduto bene esser scopo esclusivo di lucro di stabilire in quel paese una Società particolare di credito, siccome più direttamente altre Società finanziarie di Marsiglia stabilirono loro succursali in varie città dell'Algeria od in paesi di Oriente. Del resto è evidente che queste istituzioni cooperano all'aumento del prestigio della Francia ed alle viste politiche del suo Governo; ed è a rimpiangere che Società simili italiane non abbiano fatto altrettanto o meglio e più presto.

La Société Marseillaise non ha un colore politico o li ha tutti cominciando dal suo Direttore che è un razionalista e non pratica alcun culto e venendo ai clericali cattolici, legittimisti ed imperialisti, ad un ricchissimo greco naturalizzato francese repubblicano ed amico intimo di Gambetta e finalmente a due israeliti.

Cosi fu composta ad arte onde potere godere influenza sotto tutti i regimi. scopo solo ed esclusivo essendo quello di guadagnare moneta il più che sia possibile. Che se si accreditasse l'opinione che il Governo francese protegge la nuova Società questa al certo non lo disdegnerebbe.

Per ragione adunque delle persone che la compongono e la dirigono e l'appoggio che ha della Marseillaise, la Società Franco-Tunisienne è stimata solida ed importante.

Essa Società è legalmente costituita a norma delle prescrizioni del Codice Francese, ma senza Decreto del Governo, questa formalità essendo stata abolita dal 1867 in poi.

Restituendo a V. E. la circolare della Franco-Tunisienne, aggiungo qui per maggiore delucidazione: l o I statuti della Società suddetta;

2° Le norme relative alle formalità da adempiersi in Francia per la costituzione delle Società Anonime;

3° Il numero del Semaphore del 9 Aprile u.s. contenente una corrispondenza di Tunisi relativa a questa creazione finanziaria francese.

4° Altro numero del Semaphore del 23 stesso mese, con altra corrispondenza di Tunisi alla seconda pagina, e la pubblicazione legate alla quarta facciata, terza colonna dell'atto di Società della Franco-Tunisienne.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI

T. 261. Roma, 31 maggio 1879, ore 17,35.

Je vous prie de remercier M. Waddington de l'appui efficace qu'il nous donne dans l'affaire du contròle international financier en Turquie (l). Afin de vaincre les résistances de Kereddine pacha, je viens de télégraphier au comte Corti (2)

qu'il fasse savoir à la Porte qu'en dernier lieu ne pouvant taisser accomplir le sacrifice des nombreux intéréts italiens engagés dans les finances ottomanes, nous serions forcés de demander l'application du protocole :!.8 du congrès de Berlin. Je v>iens également d'intéTesser l'Angleterre à nous préter son appui à Constantinople (l).

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 725. Costantinopoli, 1° giugno 1879, ore 11,55 (per. ore 12,45).

Je suis persuadé que la déclaration formulée par Waddington au général Cialdini (2) concernant la question de la dette ottomane n'est que le résultat des suggestions faites par l'ambassadeur de France à Constantinople, récemment à Paris, et se référant à la phase Tocqueville. Aucune négociation n'a eu lieu entre la France et l'Angleterre sur la question financière depuis plusieurs semaines, de sorte que le Gouvernement français ne peut pas connaitre les déclarations qui nous ont été faites en dernier lieu par !es ministres du Sultan.

J'agirai de nouveau dans le sens des deux télégrammes de V. E. (3). La position du grand vizir parait secouée.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEG4I ESTERI, DEPRETIS, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, DE LAUNAY, A LONDRA, MENABREA, A PIETROBURGO, NIGRA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, E AI MINISTRI AD ATENE, MAFFEI, E A COSTANTINOPOLI, CORTI

T. 268. Roma, 1° giugno 1879, ore 17.

Le général Cialdini doit avoir reçu ce matin la réponse (2) que nous avons faite à la dernière proposition française relative à la médiation. Cette réponse contient une adhésion formelle de notre part au modus procedendi proposé par le Cabinet de Paris. Nous avons cependant jugé a propos de ne pas laisser ignorer au Gouvernement français que cette adhésion ne nous faisait pas écarter de 'la politique que nous avons suivie jusqu'ici dans le but d'éviter toute complication nouvelle et des situations qui pourraient faire croire en dernier lieu à la nécessité d'une intervention étrangère.

IL CONSOLE AD ALGERI, VICARI DI SANT'AGABIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. S. N. Algeri, 1° giugno 1879 (per. il 7).

Monsignor Lavigerie, Arcivescovo di Algeri, partì pochi giorni orsono per Tunisi, nell'intento di crearvi stabilimenti religiosi. Persone ben informate e degne della maggior fede mi assicurarono che egli, coll'ajuto forse della Propaganda Fide e del Governo francese, voglia colà spendere più milioni.

Se quel Prelato intelligentissimo e tenace ne' suoi propositi, mettesse in esecuzione tali progetti, l'influenza della Francia aumenterebbe talmente nella Tunisia, che la Reggenza potrebbe oramai dirsi affatto Francese.

IL MINISTRO AD ATENE, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 733. Atene, 2 giugno 1879, ore 19,15 (per. ore 20,20).

Je remercie V. E. pour son télégramme d'hier (l). Le chargé d'atiaires d'Allemagne a eu ordre d'appuyer d'une manière efficace les démarches du Cabinet français pour engager le Cabinet d'Athènes à désigner son commissaire dans le but de reprendre les négociations avec la Porte. Le ministre d'Autriche qui part demain pour un congé de quelques mois, sans attendre instructions, va autoriser son secrétaire à s'associer à la méme démarche. Interprétant le sens du télégramme cité comme une autorisation à m'unir au premier pas collectif que la France parait désirer faire ici, si je ne reçois pas d'ordre contraire, j'agirai d'accord avec mes collègues sans me départir des instructions fournies par V. E.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 512. Parigi, 3' giugno 1879 (per. il 6).

Ier sera mi riuscì di vedere il Signor Waddington e dargli comunicazione del dispaccio n. 486 del 28 maggio (2). Egli se ne mostrò molto soddisfatto e mi chiese se poteva !asciargliene copia, cosa alla quale acconsentii secondo le istruzioni dell'E. V.

Poiché siamo d'accordo sulla quistione di forma, così prese a dire il Signor Waddington, conviene ora che c'intendiamo sulla delineazione di questa nuova frontiera. Io mi occupo adesso di scandagliare le varie Potenze e spero potervi dire fra pochi giorni l'ultimo mio pensiero, sul quale si modelleranno le istruzioni all'Ambasciatore di Francia a Costantinopoli. Ma frattanto amerei sapere cosa ne pensate Voi e se sareste disposti all'occorrenza a consentire la cessione di Janina alla Grecia. Risposi avere il Governo del Re considerata la vertenza Turco-ellenica a grande altezza e cercarne la soluzione nell'armonia del suo assieme senza dare soverchia importanza a questo od a quel dettaglio. Sembrare all'E. V. opportuno di concedere alla Grecia tanta parte di nuovo territorio, che basti a soddisfare, nei limiti del giusto e del possibile, le sue nazionali aspirazioni ed a renderla tranquilla, per un numero d'anni almeno. Sembrare opportuno che nel dar fine alla questione Greca non si faccia sorgere la questione Albanese e volendo spegnere una fiamma non si faccia nascere un incendio. Sembrare opportuno che la Porta non esca da tutto ciò soverchiamente indebolita, condizione a cui non giova condurla per riflessi politici manifestamente palesi, e per la salvezza pur anche degli ingenti interessi che abbiamo in Turchia. E finalmente sembrare opportuno all'Italia di non guastare l'accordo delle Grandi Potenze, come quello che costituisce la miglior guarentigia di un completo pacificamento in Oriente per sola virtù

della sua morale influenza ed esclude cosi la necessità di una pressione materiale, a cui l'Italia non vorrebbe né potrebbe associarsi senza scuotere la base della sua politica. Anch'io la penso così, soggiunse il Stgnor Waddington e non è per certo nel temperamento della Francia attuale di spingere le cose sino ad un intervento armato.

Gli chiesi allora se fosse ben sicuro della piena adesione delle varie Potenze e se non avesse a temere qualche difficoltà per parte dell'Austria e dell'Inghilterra. Rispose subito essere sicuro che il Conte Andrassy non farebbe seria opposizione, per quanto a Lui possa dolere, che i Greci si avvicinino al Golfo di Salonicco: e di ciò lo facevano persuaso i discorsi tenuti in proposito dal Conte Andrassy nel Congresso di Berlino. In quanto all'Inghilterra disse che il Governo mostrava acchetarsi alla proposta soluzione ed accettare presso a poco la frontiera tracciata a Berlino. Ma che c'era tutto a temere dalla tenace e contraria personalità dell'Ambasciatore Britannico a Costantinopoli, Signor Layard, il quale caldeggia soverchiamente gl'interessi Turchi e mostra poche simpatie pei Greci.

Dalle parole del Signor Waddington emerge, a parer mio, ch'egli vorrebbe cedere alla Grecia buona parte d'Epiro sino al corso del Kalamas (compresa per conseguenza Janina) oltre ai territorii di Tessalia sino al corso del Salambria almeno. Non ben sicuro ancora che il suo progetto trovi buona accoglienza da tutte le Potenze, Egli si riserba evidentemente di allargarlo o restringerlo; a destra o sinistra, in tutto o in parte, secondo le notizie che vada man mano ricevendo. In sostanza Egli poco teme gli Albanesi e desidera, potendo, favorir molto i Greci. Ecco quanto parmi dover argomentare dal procedere e dal linguaggio del Signor Waddington. A questo colloquio allude il mio telegramma d'oggi stesso (1).

P. S. -Non è forse superfluo far osservare all'E. V. la discrepanza che esisterebbe fra l'idee presenti del Waddington e quelle da Lui manifestate nel primo periodo di questa vertenza. Come risulta dai rapporti ch'ebbi l'onore di spedire a V. E. in allora il Signor Waddington diceva e ripeteva «il faudra donner à la Grèce beaucoup de Thessalie et fort peu d'Epire ».

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 756. Berlino, 6 giugno 1879, ore 16,05 (per. ore 18).

Biilow vient de me dire que l'Angleterre s'associe de mème que l'AutricheHongrie aux protestations de l' Allemagne en Egypte. Le Khédive jusqu'ici se tient sur la réserve. Toutes les Puissances ayant approuvé mode de procéder proposé par la France pour l'exercice de la médiation dans le confl.it turco-grec, le Cabinet de Berlin à fait engager la Grèce à nommer un commissaire.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI

D. 858. Roma, 6 giugno 1879.

Nel lungo colloquio che ho avuto oggi con Turkhan-bey, lo esortai a far sapere al suo Governo che, secondo informazioni precise giunteci da Parigi (1), qualora si facesse colà un'operazione finanziaria per la Turchia, la Francia metterà per condizione che l'Italia sia rappresentata nel Comitato finanziario da istituirsi per guarentigia dell'operazione stessa. Noi abbiamo saputo che il solo Kerredine pascià faceva opposizione alla nostra ammissione nel Comitato suddetto. Era necessario che a Costantinopoli non si facessero illusione che tale opposizione ci arresterebbe. Noi seguiremmo, se ciò avvenisse, l'esempio della Germania e dell'Austria in Egitto, e, messa in non cale ogni altra considerazione, protesteremmo contro le nuove operazioni, invocando il protocollo XVIII del Congresso di Berlino, come quello al quale è nostro diritto di far appello, dal momento che contro ogni ragione di equità si facessero nuove operazioni che sarebbero sottratte al nostro controllo.

Turkhan-bey prese nota di queste mie dichiarazioni e promise di informarne il suo Governo.

L'AMBASCIATORE A LONDRA. MENABREA. AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE -188/299. Londra, 6 giugno 1879 (per. il 10).

Nel colloquio che io ebbi ieri col Marchese di Salisbury. io portai la conversazione sul progetto accennato dalla E. V. col suo dispaccio del 26 mag

gio ultimo (Serie Politica n. 607) (1) relativo alla reintegrazione del Controllo sulle Amministrazioni Egiziane da affidarsi a due Funzionari, l'uno Inglese e l'altro Francese.

Non mancai di far rilevare che una tale reintegrazione sarebbe considerata come la ricostituzione del Ministero precedente Anglo-Francese, che non aveva potuto resistere imperocché desso rappresentava. non gli interessi di tutti i creditori del Governo Egiziano, ma soltanto quelli di una classe di essi e p'ù specialmente del Crédit Foncier francese e del Gran Sindacato di Parigi. Io non tra1asciai di notare che le difficoltà che aveva incontrato il Ministero Anglo-Francese, sarebbero ostacolo al nuovo Controllo; per cui affinché una tale instituzione fosse efficace, ciascuna Potenza dovrebbe avervi la parte che i suoi interessi stessi le assegnano.

Ricordai che già la Germania aveva protestato contro la non esecuzione delle sentenze dei Tribunali internazionali; che forse altre potenze (si dice l'Austria) le t:;rrebbero, fra poco, dietro. Per cui pregava il nobile Lord di ponderare tutte queste considerazioni prima di accettare il ::;istema esclusivo che si ventilava. Il Marchese di Salisbury mi rispose che questo non era ancora che allo stato di semplice idea; nulla era deciso; egli scorgeva le difficoltà e non si faceva illusioni sulla influenza che i gran consorzii flnanziarii anzi citati esercitavano sul Governo Francese. Nulla però egli mi disse sulla deliberazione che desso intendeva prendere; solo accennò ai pericoli che sovrastavano al Kedive, e dal tuono del suo discorso mi parve che egli sia alquanto perplesso essendo da una parte sollecitato dalle insistenze del Governo Francese che ha sempre in mente la ereditaria smania della sua influenza in Egitto, mentre dall'altra parte egli vorrebbe wincolare gli interessi dell'Inghilterra da quelli della Francia; opinione questa che sembra risultare non solo dalla polemica dei giornali inglesi, ma anche dalle informazioni confidenziali, che ella mi dà col suo dispaccio del 2 corrente (Serie politica n. 619) (2).

In questa medesima occasione io accennai al Marche:;e di Salisbury la voce sparsa del richiamo del Signor Vivian dall'Egitto.

Eg'i mi disse che il Signor Vivian ritornava in Inghilterra dietro propria domanda per assistere al prossimo parto di sua moglie. ma che nulla era stabilito in quanto al cambiamento della di lui destinazione attuale.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, MENABREA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 495/304. Londra, 6 giugno 1879 (per. il 10).

Non appena ricevetti il pregiatissimo dispaccio dell'E. V., in data del 17 marzo p.p., n. 548, di questa serie (l), ed altre comunicazioni precedenti che si riferiscono all'attitudine del Governo Francese in Tunisi, per rispetto al Signor Queillé ed alla Commissione finanziaria Tunisina, mi recai a premura di rivolgere al Marchese di Salisbury un pro-memoria su quell'argomento.

Valendomi del rapporto del R. Agente e Console generale in Tunisi, in data dell'll marzo scorso (2), e della corrispondenza scambiata dall'E. V. col Signor Cavaliere Macciò e con questa ambasciata, feci rimarcare al nobile Lord che il richiamo del Signor Queillé era un oblio per parte della Francia dei diritti che la convenzione del 1869 dava all'Inghilterra e all'Italia, in tutto ciò che concerne il Comitato Finanziario Tunisino, ed il suo funzionamento indipendente da tutta influenza estera. Inoltre non tralasciai di fare osservare al nobile Lord che avendo il Gabinetto di Parigi nominato un rimpiazzante al Signor Queillé, scegliendolo non fra gli Ispettori delle Finanze,

ma nel personale del demanio, una simile scelta non era bene accolta né dal Bey né dalla Commissione Finanziaria. In questo stato di cose io soggiunsi che il Governo Italiano aveva creduto che il momento fosse venuto di far conoscere al Governo Francese che l'Italia non aveva rinunziato alla posizione che l'accordo del 1869 le aveva assicurato, in tutto ciò che concerne l'organizzazione ed il personale della Commissione finanziaria di Tunisi, e credeva che alcun cambiamento non può essere apportato in questa istituzione senza un accordo preliminare delle tre potenze interessate. Conchiusi il promemoria chiedendo al Marchese di Salisbury se il Gabinetto di S. Giacomo aveva l'intenzione di fare pratiche a Parigi analoghe a quelle dell'Italia, all'effetto di preservare, in questo affare, i diritti comuni dell'Italia e dell'Inghilterra. Ora ho l'onore d'informare l'E. V. che in risposta a tal documento, il Marchese di Salisbury mi ha trasmesso la lettera, che mi pregio di spedirle qui unita in traduzione, nella quale mi informava che, nell'opinione del Governo Britannico, le obiezioni che sono state fatte dai componenti della Commissione Tunisina al nuovo membro francese, che non è Ispettore di Finanze, sono ben fondate. Il nobile Lord conchiude dicendo di aver dato istruzioni all'Ambasciata di Sua Maestà a Parigi di fare osservare al Governo Francese, che, quantunque l'Inghilterra non ha intenzione di disturbare gli accomodamenti stati fatti a quel riguardo, pure si crede obbligata di accettarli sotto riserva.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, AL MINISTRO AD ATENE, MAFFEI

D. 213. Roma, 7 giugno 1879.

Mi preme di esporle alcune considerazioni in relazione con le cose riferite nel Rapporto di Lei, in data 29 maggio scorso n. 330 (1).

Proposito nostro essendo unicamente quello di promuovere con l'ingrandimento territoriale il rinvigorimento della nazionalità ellenica, noi non abbiamo alcun preconcetto giudizio intorno alla linea di frontiera che dovrebbe preferirsi per raggiungere seriamente questo scopo. Tutte le relazioni che abbiamo in proposito, g'i studii imparzialmente da noi eseguiti ci hanno permesso di formarci la convinzione che, mentre l'ingrandimento in Tessaglia corrisponderebbe sicuramente allo scopo che abbiamo in vista, l'allargamento in Epiro incontrerebbe, secondo ogni probabilità, deile difficoltà molto serie e delle quali la nostra imparzialità di giudizio ci costringe a tener conto. Noi non pretendiamo alla infalllbilità di questa nostra opinione. Però la convinzione nostra è abbastanza fondata per autorizzare la nostra formale dichiarazione che, qualora una opinione contraria prevalesse, in nessun caso da noi si ammetterebbe l'intervcnzione straniera come mezzo di sedare lo stato d'insurrezione che potrebbe derivarne nelle provincie adriatiche dell'Impero Ottomano.

IL MINISTRO AD ATENE, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 335 bis. Atene, 7 giugno 1879 (per. il 19).

Il malcontento che non mancherà di cagionare in Grecia il naufragio della speranza d'ingrandirsi da ambo i lati della propria frontiera, avrà a mio avviso, l'immediato risultato di gettare questo paese nelle braccia della Russia. Non è certo per effetto di simpatia, ma gli Elleni scorgono, sebbene un po' tardi, il cattivo servizio che ad essi han reso le loro diffidenze per la politica del Gabinetto di Pietroburgo.

La storia del cambiamento nelle relazioni, sì intime avanti la guerra d'Oriente, tra il Governo dello Czar e quello di Re Giorgio è stata ampiamente svolta nel mio carteggio. Accentuatasi subito dopo la prima ripulsa che incontrarono in Atene le aperture fatte dal Generale Ignatieff nell'inverno del 1877, l'attitudine fredda e contegnosa della Russia toccò poi il suo colmo quando, avvenuti i disastri di Plevna, il Signor Sabouroff rendevasi organo di proposte più dirette, non celando come in quel supremo momento l'entrata in campagna della Grecia, la quale cominciava appunto ad aver posto qualche assetto alla sua organizzazione militare, avrebbe potuto produrre una diversione utilissima alle armate dello Czar. Ma la ripulsa di nuovo opposta, e questa volta senza neppur darsi la pena di dissimulare che sola ragione del gran rifiuto era la più astiosa diffidenza, completò il distacco tra i due paesi.

Rammento tali fatti, avvegnaché si ravvisino adesso in Atene i sintomi del pentimento provato per aver tenuto simile condotta. E dal canto suo il Gabinetto di Pietroburgo, il quale in seguito agli antecedenti narrati, lasciava volentieri ad altri una iniziativa in favore della Grecia che, in tempi diversi, avrebbe forse bramato prendere, tende in modo evidente ora a ravvicinarsi al Regno Ellenico, colla indulgente longanimità di un potentissimo Signore, cui non riesce discaro di perdonare al fedifrago vassallo, che ha avuto campo di sperimentare appieno i funesti effetti della sua diserzione e dell'isolamento derivatone.

La Russia ha, dopo la guerra, qui adottato un sistema differente da quello osservato dalla quasi totalità delle altre Potenze. Mentre ognuna, eccettuata la Germania, più o meno s'ingeriva nelle cose di Grecia, il Governo dello Czar, non mostrandosi certo ostile, si tenne in disparte. Ora poi che positivamente si va delineando una situazione nuova, il Rappresentante russo in Atene ha riassunto un contegno che chiaramente rivela il desiderio di aprire la via ad un ritorno di quella influenza che un futuro più o meno prossimo farà ambire allo Czar di esercitare, forse più ancora che per lo passato. Il Signor Sabouroff, da nove anni Ministro in Grecia, è uno di quegli agenti che la Cancelleria Russa conserva per la fedele esecuzione del suo programma in Oriente, ed ha attualmente molta probabilità di essere nominato Ambasciatore a Costantinopoli. Credo adunque che i suggerimenti suoi devono avere qualche peso a Pietroburgo, ed egli esorta il Gabinetto imperiale a non negligentare l'occasione di amicarsi il Regno Ellenico, allorché questo, nella amarezza dei suoi disinganni, si considererà generalmente abbandonato dall'Europa. Nelle sue conversazioni il Signor Sabouroff, che da molto tempo intimamente conosco, sempre mi appalesa la sua persuasione che l'Austria si troverà ineluttabilmente sulla strada della Russia nella penisola balcanica, e che una guerra tra di loro sarà inevitabile. Ora essendo universale e pungentissimo il rammarico in Grecia di non aver preso parte agli ultimi avvenimenti, è fuori di dubbio che, fatta più forte, essa non trascurerà l'occasione di impugnare le armi, appena ne abbia l'opportunità. Non recherà perciò maraviglia che la diplomazia russa già prepari il terreno per l'avvenire.

Le arti spiegate dal Governo dello Czar prima della guerra per attirare nella sua orbita questo debole Regno, provano l'interesse che a Pietroburgo si annetteva ad avere in Oriente tutta l'elemento cristiano in lotta contro il mussulmano. Divenuta la Nazione Ellenica, come dissi, più importante e più temibile, in grado maggiore si presenta la convenienza alla Russia di trascinarla a far causa comune cogl'altri popoli che tuttora agognano di scuotere il giogo ottomano.

Gentilmente il citato mio Collega mi fé vedere il dispaccio contenente le istruzioni mandate al Principe Lobanoff, a proposito della seconda Gircola,re Waddington. Nelle medesime mi colpì, non tanto il generale tenore favorevole che prevaleva, in base alla più larga interpretazione del Trattato di Berlino, quanto il punto di vista significantissimo, sotto il quale la controversia turcoellenica veniva giudicata dal Governo russo. A parer suo, doveva essere precipuo oggetto di preoccupazione la certezza di ulteriore conflitto, ove alla Sublime Porta fosse permesso svincolarsi da quelle concessioni che le Po

tenze intesero imporle. Naturalmente il Signor Sabouroff ebbe ben cura di tosto comunicare a questi Ministri il dispaccio cui alludo.

All'uscire dall'udienza di congedo accordatagìi nei passati giorni da Sua Maestà, l'Inviato Austro-Ungarico mi disse che, anche lui, dopo i discorsi del Re, non poteva riferire a Vienna altro giudizio tranne che, allo stato odierno delle cose la Grecia sarà interamente in balia della Russia.

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 1070. Vienna, 8 giugno 1879 {per. il 12).

Tutte le difficoltà che intralciano l'opera della Commissione di delimitazione per il Montenegro. dovute al malvolere ed alle risposte spesso evasive della Sublime Porta, se non trovano qui tacito appoggio, sono per lo meno placidamente tollerate. La Cancelleria di Stato non osa smentirle, né porre in dubbio la mala fede delle Autorità Ottomane, di Hussein Pachà segnatamentc, ma, allo scopo probabilmente di evitare alcuna entratura che potesse essere fatta al Governo I. R. per far sentire alla Sublime Porta tutta la irregolarità della sua condotta in questa occasione, si adducono ragioni di ogni sorta per iscusare la Turchia. Il Barone Orczy, col quale ebbi occasione

d'intrattenermi a lungo su questo argomento, raccontavami ridendo più che sorridendo tutte le malizie usate dai Turchi per rallentare i lavori della Commissione e si affrettava quindi, a più riprese, di soggiungere che si erano spediti ordini al Delegato I. e R. perché si mostri longanime e paziente.

La controversia sorta, tra le altre, rispetto alle isole di Gorica-Topal non sembra qui avere molta importanza: la linea di frontiera dovendo muovere dalla costa, dicevami il mio interlocutore. sarà ben facile determinare quali delle isole dovranno essere cedute al Montenegro.

Siffatta arrendevolezza fa palese ancosa una volta quanto sia fermo l'intendimento del Conte Andràssy di assumere un atteggiamento affatto benevolo per la Turchia in tutte le questioni che rimangono tuttora da assestare nella Penisola Balcanica fino al giorno in cui l'Austria si troverà forte e, forse sola, nel Sangiaccato di Novi-Bazar (1).

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 1506. Terapia, 9 giugno 1879 (per. il 17).

Ebbi altre volte l'onore di intrattenere l'E. V. delle condizioni della Macedonia ed in particolar modo dell'agitazione taluni supponevano vi suscitassero degli agenti Austriaci. E sta di fatto che questi sospetti si erano talmente raffermati presso il Governo Russo, verso il cadere del passato anno, che considerevoli movimenti di truppe Russe si effettuavano in quella direzione nello scorso novembre affine di essere parati ad ogni eventualità. Pare veramente che quelle voci non fossero prive di fondamento, e la relativa agitazione si facesse sotto co

Le relazioni che il Ministero possiede relativamente alla importanza che il Gabinetto di Vienna attribuirebbe alla rinuncia che il Montenegro facesse del possesso della valle di Goussinié Plava, danno all'attEggiamento del Gabinetto stesso un carattere assai diverso di quello che gli si potrebbe attribuire, ove si badasse unicamente alla intonazione del discorso che il Signor Orczy le tenne sopra questo soggetto».

!ore di propaganda cattolica. Ma, sia che gli agitatori mutassero d'avviso, sia che la propaganda cattolica non presentasse alcuna probabilit?t di riuscita infra quegli elementi ortodossi, le mene Austriache si affievolivano, ed in seguito alla conchiusione della Convenzione Austro-Turca credo cessassero intieramente. Senonché le Autorità Russe della Bulgaria, mosse dal desiderio di prevenire gli effetti avrebbero potuto venire da quelle agitazioni, s'adoperarono dal loro canto a combatterle mandando agenti bulgari ad eccitare le simpatie di quelle popolazioni verso le provincie recentemente emancipate. Gli agenti Bulgari avevano riuscito a raccogliere somme d'una entità per tale scopo, e fino a che furono sostenuti dalle Autorità essi agirono quasi apertamente, e questo lavoro seguiva nei primi mesi del presente anno. Aprivasi dipoi l'Assemblea di Tirnovo, e giungevano categoriche istruzioni dal Governo Russo per scoraggiare qualunque movimento che non fosse conforme agli intendimenti del Trattato di Berlino, di cui si voleva la fedele esecuzione. I quali ordini erano poscia confermati in modo ancor più severo per la missione del Generale Obroutchew. Ed innanzi ad essi le Autorità Russe cessavano naturalmente dal promuovere torbidi nella Macedonia. Si dividevano allora i Bulgari in due partiti, il conservatore il quale sotto la direzione dell'Esarca, voleva procedere in conformità delle istruzioni venute da Pietroburgo, ed il rosso o della unione il quale tendeva a mantenere viva l'agitazione affine di ottenere l'intiera emancipazione di quelle provincie. Questo secondo partito si costituiva in società segrete, e nominava un comitato direttivo il quale aveva a continuare l'organizzazione dei mezzi per ottenere lo scopo. E si crede che, disponendo esso dei fondi già raccolti, ed avendo anche l'appoggio degli elementi rivoluzionarii esistenti fuori dell'Impero, potrà nella prossima estate suscitare gravi movimenti nella Macedonia.

Le quali informazioni io traggo da buona fonte, né v'ha dubbio che questi Ambasciatori di Russia e d'Austria-Ungheria si preoccupano seriamente della materia, entrambi accusando il Governo dell'altro di intrighi in quelle regioni. E veramente se dovesse un giorno seguire un conflitto fra i due Imperli la Macedonia potrebbe ben essere il primo terreno sul quale le rispettive forze avessero a misurarsi (l).

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 2328. Berlino, 10 giugno 1879 (per. il 19).

Le retour à Rome du courrier AnieUi me fournit une occasion sure pour présenter quelques observations sur le contenu des annexes aux dépeches que

V. E. m'a fait l'honneur de m'adresser sous les numéros 824 (3) et 830 (l) des 9 et 15 mai échu.

Le langage de M. de Radowitz dans san premier entretien avec le Ministre du Roi à Athènes a été beaucoup plus accentué que dans le second entretien. La Italie aurait tous les titres à formuler des réserves, et à demander des garanties relativement à l'Albanie parfaitement adaptée à une légitime exercice du prestige italien. Une opposition n'était pas à prévoir de la part de l'Autriche-Hongrie, puisque dès avant le Congrès le comte Andrassy avait prié le Cabinet de Berlin de pressentir nos intentions. Le diplomate allemand allait jusqu'à nous donner rendez-vous à Vallona, quand le comte Maffei objectait avec raison que nous ne visions à aucune conquète vers les còtes Orientales de l'Adriatique.

Dans le second entretien, l'idée d'une annexion devenait beaucoup moins saillante, et disparaissait mème entièrement pour faire place au projet d'une influence directe de l'Italie sur l'Albanie qui devrait etre dotée d'un régime autonome.

J'avoue que je n'ai jamais pris très au sérieux des ouvertures ou plutòt de simples allusions jetées ça et là en quelque sorte comme des fiches de consolation, dans le but de chercher à nous faire admettre sans trop de répugnance un pas en avant de l'Autriche dans ces contrées. Il ne m'a pas été avoué que le comte Andrassy se prévaHìt de l'entremise du prince Chancelier pour sonder nos vues. Et l'aveu m'en eut-il été fait, je me serais tenu plus encore sur mes gardes, en me souvenant que déjà alors le Cabinet de Vienne prenait ombrage d'un agrandissement quelconque de notre sphère d'action. Cependant je trouvais plus tard le joint de parler là dessus avec M. de Biilow. Il me laissait entendre que cet innuendo avait sa raison d'ètre, quand tout portait à croire qu'il s'agissait d'un partage véritable de la Turquie d'Europe.

Depuis la réception de la dépèche précitée de V. E. n. 824, j'ai été dans le ca:s d'expliquer notre attitude dans l'affaire du règlement de frontières entre la Turquie et la Grèce, et le soin que nous apportions à éviter toute complication, à faciliter l'existence de la Turquie dans ses nouvelles conditions, et à résoudre d'une manière équitable lcs questions encore en suspens. Précisément parceque les intéréts de la Grèce nous tenaient à coeur, nous ne voulions pas l'encourager à pousser ses prétentions au délà d'une mesure qui l'exposerait aujourd'hui à de graves mécomptes et compromettrait son avenir. Je rappelai les suggestions à notre adresse pour l'Albanie. Elles ne nous avaient pas fait dévier de notre plan de conduite. Si dans ces contrées notre position géographique ne nous permettait pas de nous déclarer désintéressés, nous ne visions point à des conquètes, mais à ce que ces populations très attachées à leurs privilèges ne changent pas de maìtre, et vivent en bonne harmonie avec la Grèce. Nos conseils sont ceux de véritabìes amis, quand nous prèchons à Athènes de rester dans les bornes de la modération.

M. de Btilow me disait de son còté que les insinuations faites d'ici témoignaient du bon vouloir de l'Allemagne vis-à-vis de l'Italie. Je n'ai pas voulu traiter plus à fond ce sujet avec le secrétaire d'Etat. Je m'abstiendrai également de provoquer les confidences de M. de Radowitz.

C'est là un thème trop délicat pour le discuter en toute confiance. L'exemple de M. Benedetti doit servir d'enseignement pour se défier de cette générosité qui s'exerce en offrant le bien d'autrui, en éveillant des convoitises qui peuvent tourner à mal, et fournir à telle ou telle autre Puissance, ayant aussi jeté secrètement son dévolu sur le mème territoire, matière à conflit. En attendant le tentateur rit peut-étre sous cape d'avoir fait des dupes.

Loin de moi de vouloir suspecter à ce point les vues du prince de Bismarck, et d'affirmer qu'un piège se cache sous ses offres. Mais si elles ont été sérieuses, le calcul de cet homme d'Etat utilitaire s'appliquait à ce qu'il supposait des convenances plus allemandes qu'italiennes. C'était peut-étre à ses yeux un moyen de créer un élément de plus de division à l'étranger, de nous lancer comme l'Autriche dans une voie semée de difficultés, et de détourner notre attention du centre de l'Europe où il se réserve la haute main.

Le fait est que ce qu'il voudrait nous inculquer n'est pas d'accord avec sa manière de voir et d'agir quand il s'agit des intérets de l'Allemagne. Après 1866 on lui reprochait de n'avoir pas prof.ité de la déroute de Sadowa pour s'emparer de la Bohème et de la Silésie Autrichienne. A ces reproches le Chancelier opposait la doctrine suivante: il ne faut pas se laisser fourvoyer par le mirage d'agrandissement 'possible, ou facile; ce qu'il convient c'est de bien établir d'avance les véritables besoins du Pays, quel est l'objectif utile, et d'y faire converger en suite ses aspirations, et ses forces d'une manière pratique. Dans une de mes entrevues avec M. de Bismarck, au retour de ma mission en Russie de 1865 à 1867, il m'expliquait pourquoi l'armée victorieuse de la Prusse s'était arretée presque aux portes de Vienne, sans dicter des conditions trop onéreuses. Il ne craignait nullement l'ingérence de la France, mais il avait du se demander que deviendrait l'Autriche si on prolongeait la lutte? Son existence meme eùt été en jeu. Comment combler le vide qui résulterait de la disparition de cette ancienne Monarchie? Il a reculé devant ce problème.

Dans le fond de son esprit germait peut-etre la pensée que la Prusse et l'Allemagne seraient appelées un jour à s'incorporer les pays allemands de l'Autriche. Le fruit murirait de lui-meme. Les conjonctures politiques ne se preteraient pas encore à la réalisation d'un tel projet. En attendant on se défend de semblables arrière-pensées, mais on serait presque induit à croire qu'on prépare du moins un terrain favorable à leur accomplissement réservé à l'oeuvre d'une autre génération. Le fait que le Cabinet de Berlin voit d'un oeil favorable l'Autriche se frayer une nouvelle voie vers l'Orient. Il l'y encourage, et lui prete ses bons offices. Il la désintéresse par là de plus en plus d'un retour offensif vers l'ancienne politique traditionnelle. Les provinces hérédìtaires allemandes de la Monarchie des Habsburg risquent fort de voir leur influence supplantée par les éléments slaves et hongrois, et de ne pouvoir échapper à leur pression qu'en cherchant appui auprès de l'Empire d'Allemagne.

'l'out cela n'est peut-etre que de la politique conjecturale à long terme, mais les apparences lui donnent quelque degré de vraisemblance, bien faite pour nous encourager à persévérer dans une ligne de conduite prudente, en ce qui concerne notamment les questions ayant trait au règlement de frontières entre la Grèce et la 'l'urquie. Nous devons en effet éviter de nous aliéner les sympathies des Albanais de crainte qu'ils n'accordent leurs préférences à l'Autriche. D'un autre còté, il est regrettable que jusqu'ici nos rapports avec le Cabinet de Vienne, par suite d'incidents qu'il serait superflu de rappeler, n'aient pas un degré d'intimité de nature à permettre un échange de vues amicai et confiant afin de parer de part et d'autre aux dangers que l'avenir nous ménage à tous deux. Il va de soi qu'une entente ne pourrait se produire que sur la base de concessions mutuelles, de compensations pour un appui réciproque dans des limites nettement tracées.

A propos de la question Héllenique, je suis autorisé à induire du langage de l'Ambassadeur de France qu'il se prononce chaleureusement pour l'annexion de Janina à la Grèce. Et cependant il résulte d'un rapport du Chevalier 'l'osi n. 2186

37 -Documenti diplomatici -Serle II -Vol. XI

du 1er novembre 1878(1), qu'à cette époque le Cabinet de Paris favorisait l'idée d'accorder à la Grèce une plus grande extension de territoire vers la Thessalie en dédommagement pour Janina. Je crains fort que M. Waddington par un excès de zèle, par son désir immodére de jouer le premier ròle dans cette question, ne compromette la cause qu'il croit servir.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, MENABREA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. CONFIDENZIALE 511/308. Londra, 11 giugno 1879 (per. il 15).

Ieri ebbi l'onore di pranzare in casa del Marchese di Salisbury col nuovo principe di Bulgaria, principe di Battenberg, che è un grande e bellissimo giovane, di fisionomia aperta e che ha incontrato molto nella società inglese.

Egli venne quest'oggi a vedermi per parteciparmi che nel recarsi a Costantinopoli per raggiungere quindi il suo principato, passerebbe per l'Italia, e si

recherebbe a presentare i suoi omaggi rtlle LL.MM. il Re e la Regina, dove si troveranno, od a Roma od a Monza. Intanto siccome Sua Maestà il Re gli aveva fatto gentilmente afferire una nave da guerra Italiana per condurlo da Brindisi a Costantinopoli, egli cm desideroso di valersi di quella graziosa ofierta: ma mentre egli si trovava a Livadia, l'Imperatore di Russia aveva già deciso di mettere un suo vapore a disposizione di quel giovine principe. Egli mi disse che in seguito all'offerta del nostro Re, aveva cercato a non valersi del bastimento Russo, imperocché trovava che un bastimento Italiano fosse più acconcio per la circostanza. Ma l'Imperatore di Russia avendo insistito perché il principe facesse il suo ingresso a Costantinopoli sopra nave Russa, questo che aveva già precedentemente accettato l'offerta dello Czar, non ha più osato insistere nel suo rifiuto: epperciò egli si trova costretto, con vivo rincrescimento, a non profittare del bastimento Italiano che si voleva mettere a sua disposizione.

In conseguenza egli mi ha pregato di far conoscere questa circostanza a

V. E. e di far 1pervenire a S. M. il Re l'espressione della sua gratitudine per la graziosa offerta del nostro Sovrano ed il dispiacere che prova di non potersene valere. Prego l'E. V. di essere presso il Re l'interprete di questi sentimenti.

Il principe si fermerà ancora alcuni giorni in Inghilterra.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 774. Berlino, 12 giugno 1879, ore 0,40 (per. ore 13).

Mon collègue de France me dit qu'il a informé Cabinet prussien que le Gouvernement français appuie protestation allemande en Egypte. L'ambassadeur ajoute que la Russie en fait autant. J'en donne avis, à toute bonne fin, à V. E. La lettre souveraine a été remise à l'Empereur et j'ai fait à Sa Majesté le message du Gouvernement.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, MENABREA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 516/313. Londra, 12 giugno 1879 (per. il 16).

Concordemente al dispaccio di V. E. del 6 corrente (Serie politica n. 624) (l) accennai ieri al Marchese di Salisbury la risposta che Ella con tutta riserva,

crederebbe che si potrebbe fare alla Sublime Porta, ove questa chiedesse delle guarentigie pel caso in cui la Grecia, ottenuto ora un incremento di territorio, rinnovasse più tardi le sue aggressioni. Io feci osservare al Nobile Lord che la condizione dell'Inghilterra rispetto alla Grecia era diversa dalla nostra, in primo luogo l'Inghilterra era una delle potenze che avevano contribuito allo stabilimento del Regno Ellenico, e che ne avevano assunto il protettorato: inoltre l'Inghilterra aveva obbedito a considerazioni di alta politica col cedere alla Grecia le Isole Jonie, dichiarando la neutralità di Corfù. Notai inoltre che, nel caso di una lotta fra la Grecia e la Turchia, questa essendo la più potente, potrebbe probabilmente schiacciare la sua nemica; qualora ciò accadesse, io domandai al Marchese di Salisbury se l'Inghilterra avrebbe permesso che fosse cancellato dal novero delle nazioni il Regno di Grecia, che si era considerato, all'epoca della sua istituzione, come destinato ad essere un elemento d'ordine nel Mediterraneo. Egli mi rispose che non aveva ancora studiato la questione, specialmente sotto questo ultimo punto di vista; che si riservava di parlarne con me un'altra volta; però la sua prima impressione lo portava a credere che, in caso di guerra fra la Turchia e la Grecia, bisognerebbe !asciarle, per l'attacco come per la difesa, nelle condizioni di qualunque altro Stato indipendente, purché però le ostilità non avessero per risultato la distruzione del Regno Ellenico né il distacco delle Isole Jonie dalla Grecia.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 781. Parigi, 13 giugno 1879, ore 12,50 (per. ore 14).

Le télégramme du journal Le Figaro paru ce matin dit que dans la tournée d'avant-hier V. E. aurait répondu au député Biancheri que Nice fait toujours partie de la famille italienne. Ces paroles pouvant produire grave impression en France, je prie V. E. de m'indiquer ce que je dois répondre à Waddington et à toutes les personnes qui pourraient me questionner à ce sujet de nature fort délicate (2).

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY

T. 295. Roma, 13 giugno 1879, ore 15,40.

La protestation contre les décrets d'avril ne constitue jusqu'ici, si nous sommes bien informés, qu'un acte négatif. La situation au moment où ces décrets ont été publiés était celle-ci. La commission d'enquete avait formulé un pian financier que le Khédive n'a pas voulu accepter. Son Altesse substitua au pian de la commission un autre pian qui a été sanctionné par les décrets du 22 avril. La commission d'enquéte donna alors sa démission et elle communiqua en méme temps aux Cabinets le résultat de ses travaux et le plan qu'elle avait préparé. On s'est trouvé ainsi en présence de deux plans, celui du Vice-Roi et celui de la commission d'enquéte. Les Cabinets qui protestent contre le premier, acceptent-ils le second? Il faut tenir compte que les deux plans imposent certains sacrifices aux créanciers de l'Egypte, car la possibilité de tout payer aux échéances voulues semble étre exclue, aussi bien dans le plan de la commission que dans celui que le Vice Roi a sanctionné par ses décrets. Dans cet état de choses, notre avis serait que les Cabinets devraient s'entendre non seulement pour une protestation contre l'acte du Khédive, mais aussi pour demander que les plans financiers soient examinés dans le double but: 1° de constater la possibilité ou l'impossibilité pour l'Egypte de maintenir intégralement ses obligations envers toutes les catégories de ses créanciers, 2° de proposer les moyens les plus justes et les plus efficaces pour donner aux réclamations des dits créanciers la satisfaction compatible avec la déclaration contenue dans le protocole 18 du congrès de Berlin et l'on pourrait se flatter d'arriver par ce moyen à une solution pratique, équitable et satisfaisante dans la mesure du possible des difficultés présentes. Veuillez formuler une proposition confidentielle dans ce sens à M. de Btilow en le priant de nous faire connaitre le plus tòt possible s'il l'accepte (l). Elle pourrait en ce cas servir de base à une entente pour l'action commune des Puissances.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI

T. 299. Roma, 13 giugno 1879, ore 23,55.

Le télégramme du Figaro (l) est tout-à-fait inexact. Pour appuyer la demande de M. Biancheri en faveur de la ligne Còni-Nice, j'ai incidentellement dit que Nice a fait partie de la famille i:talienne et a été unie pendant des siècles aux Etats de la maison de Savoie. Je vous envenai le texte du compte rendu officiel aussitòt qu'il sera imprimé.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS (l)

R. 2335. Berlino, 14 giugno 1879 (per. il 18).

En suite du télégramme qui m'est parvenu hier au soir de Rome (2), je me suis ménagé dés aujourd'hui un entretien avec le Secrétaire d'Etat. J'avais préparé un pro-memoria accompagné d'une proposition formulée dans le sens des instructions qui m'étaient tracées par V. E. J'en ai donné communication confidentielle, en y ajoutant les considérations que Vous avez bien voulu me transmettre et que je me suis appliqué à développer de mon mieux.

M. de Biilow exprimait la satisfaction de voir que nous apprécions aussi les avantages d'une action commune, camme d'autres Puissances l'avaient fait d'une manière plus accentuée en s'associant à la protestation de l'Allemagne. En attendant voici quelle était la situation. Le Gouvernement Impérial s'étant adressé à la Porte en mème temps qu'aux différents Cabinets pour qu'il fùt enjoint au Khédive d'avoir à remplir ses engagements internationaux, le Vice Roi a répondu au Sultan que l'intention n'avait jamais existé de méconnaitre les obligations prises envers les Puissances, ni de frustrer les créanciers. Bien loin de là Son Altesse avisera pour que justice soit rendue à qui de droit. L'Allemagne a fait savoir qu'elle prenait acte de ces déclarations mais qu'aussi longtemps que les faits ne viendraient pas à l'appui, elle devait persister dans ses réclamations. Depuis lors, le Cabinet de Berlin avait appris que le Vice Roi serait disposé à revoquer ses décrets d'avril. M. de Biilow disait que c'était ce qu'on demandait essentiellement ici. L'Allemagne tanait avant tout à la question de principe. Elle ne réclame aucun privilège; elle ne veut pas exploiter dans un but politique la situation financière de l'Egypte. Mais elle ne saurait admettre que ses nationaux, là ou ailleurs, soient privés arbitrairement des droits existants et reconnus. Elle ne saurait accepter une violation ouverte et flagrante des obligations internationales contractées lors de la réforme judiciaire. Dès que

les décrets du 22 avril seraient retirés, l'Allemagne se montrerait accomodante, et se préterait à des transactions pour un arrangement financier. En ce moment, aujoutait M. de Billow, il n'y avait qu'à attendre le dévelopment de la situation exposée ci-dessus, et que les faits répondissent aux paroles du Khédive. Quant à notre proposition, le Gouvernement Impérial en ferait l'objet d'une étude attentive, et y trouverait sans doute un point de vue pratique.

J'ai eu soin de bien faire ressortir que c'était précisément à un point de vue pratique que nous énoncions une proposition qui pourrait servir de base à une action commune des Puissances. Les protestations risquent fort de ne constituer qu'un acte négatif, si on ne se concerte pas aussi pour demander un examen sérieux des plans financiers dans le double but que nous signalions. L'application à l'Egypte du principe qui a dicté la déclaration insérée au 18ème protocole du Congrès de Berlin, serait parfaitement justifiée et indiquée pour résoudre, dans la mesure du possible, les difficultés présentes. Nous attacherions beaucoup de prix à ce que le Gouvernement Impérial partageàt notre manière de voir.

J'ai également demandé si les protestations des Cabinets contre le projet du 22 avril, impliqueraient une acceptation du règlement préparé par la commission supérieure d'enquéte et rejeté par le Khédive.

Le Secrétaire d'Etat évitait de se prononcer sur ce point. Il se bornait à paraphraser les arguments susmentionnés à l'appui de l'attitude de l'Allemagne. Il me répétait qu'il convenait d'attendre comment se développerait la situation, qui aujourd'hui paraissait étre devenue meilleure.

Dans ces conjonctures, je crois qu'il n'y a pas lieu d'insister davantage pour une réponse prompte et catégorique à la proposition de V. E.

*Un instant, j'ai hésité si je donnerais cours à une semblable démarche. Je craignais que M. de Blilow posàt la question préalable, en me demandant si nous étions disposés, malgré la réserve montrée jusqu'ici à nous joindre à la protestation de l'Allemagne, comme point de départ de pourparles ultérieurs. D'ailleurs *, le point de vue auquel nous nous plaçons n'est pas identique à celui de l'Allemagne. Elle se révolte contre les décrets, malencontreux et arbitraires du Khédive. Elle lui dénie le droit d'aller unilatéralement à l'encontre des engagements internationaux. C'est pour elle avant tout une question de principe; l es griefs des créanciers viennent en seconde ligne; elle parai:t méme prete à aller jusque aux extrèmes limites de transaction ·pour ce qui concerne les dettes de l'Egypte. L'Italie, pour son compte, se préoccupe moins de la question de principe, à ses jeux douteuse et complexe, que de la sauvegarde des intéréts des créanciers, que nous voudrions voir satisfaits sans aucune exception de catégorie. Je ne parle pas du còté politique de la question, sur lequel nous nous taisons, mais qui doit nous tenir très à coeur, tandis que l'Allemagne déclare, lors méme qu'en F'rance nommément, on se refuse à croire à son entier désintéressement, qu'elle ne poursuit aucun but politique.

*Si M. de Biilow n'a fait qu'une allusion délicate à notre abstention de nous joindre à sa démarche au Caire, son langage m'a toutefois laissé le sentiment que nos ouvertures, pour le moment du moins, ne cadraient pas avec les vues

du Cabinet de Berlin. Et c'est pourquoi il m'a paru inopportun de trop insister pour une prompte réponse *. En me référant à mon téìégramme de ce jour. (l) ...

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY

T. 303. Roma, 15 giugno 1879, ore 19,20.

L'agent italien au Caire mande (3) que hier 14 ìl a reçu une circulaire par laquelle le Gouvernement du Vice Roi soumet à l'approbation des Puissances les dispositions contenues dans le décret d'avril et assure le paiement intégral de la dette flottante. Cette démarche de la part du Khédive rentre dans l'ordrP d'idées que je vous avais expliqué dans mon télégramme du 13 juin (4). Le développement de la situation qu'à votre avis il fallait attendre avant d'insister auprès du Cabinet de Berlin pour une réponse plus catégorique à notre proposition semble s'etre effectué, car les Cabinets se trouvent actuellement en présence d'une proposition qui pratiquement leur offre l'opportunité de procéder ensemble à l'examen des divers projets d'arrangements financiers qui ont été formulés et des questions différentes qui s'y rattachent. Je pense donc que vous pourriez entretenir M. de Biilow de la démarche faite par le Khédive et tacher en cette occasion de l'amener à accepter l'ordre d'idées que nous avons développè dans le télégramme du 13 (5). Nous faisons une proposition dans ce meme sens à Londres, à Paris et à Vienne (6).

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS (2)

R. 2337. Berlino, 16 giugno 1879 (per. il 21).

Le Secrétaire d'Etat, malgré ses préparatifs du départ en congé, a pu me recevoir aujourd'hui encore. Je tenais à remplir sans retard les instructions qui m'étaient tracées par le télégramme que V. E. m'a transmis hier. dans la soirée (3). Ainsi qu'une fois déjà je l'avais fait dans ma visite d'avant hier

38 -Documenti <liplomatici -Serle II -Vol. XI

(rapport n. 2335) (1), j'ai exposé et soutenu notre point de vue entièrement conforme aux intérèts généraux de l'Europe, et qui trouverait une application pratique dans un assentiment aux propositions que, d'ordre de mon Gouvernement, j'avais formulées par écrit. La circulaire récente, par laquelle le Gouvernement du Khédive soumet à l'approbation des Puissances les dispositions contenues dans le décret du 22 Avril, et assure le payement intégral de la dette flottante, constitue un premier succès remporté en suite des protestations de différents Cabinets. Il ne conviendrait pas de s'arrèter à mi-chemin, lorsque l'expérience a démontré ce que valent des promesses qui se modifient et se multiplient trop souvent sans se réaliser jamais, parce que les ressources de l'Egypte pour rembourser ses créanciers semblent insuffisantes, soit à cause d'une dette trop disproportionnée avec ses revenus, soit à cause d'une administration irrégulière. Quoi qu'il en soit, la démarche du Vice Roi offre une opportunité qu'il faudrait saisir au vol, pour procéder ensemble à l'examen des divers projets d'arrangement financier et des questions qui s'y rattachent, et cela dans le double but que j'avais signalé a S. E. dans mon promemoria du 14 juin.

M. de Biilow se disait déjà informé de la démarche du Khédive. Il se montrait visiblement satisfait de ce résultat favorable à l'Allemagne et aux autres Puissances, nommément à l'Italie * à qui un service avait été rendu peut-étre un peu malgré nous *.

J'ai nouvellement indiqué les motifs de notre réserve. Mais l'absence d'une adhésion explicite n'empéchait nullement que nous félicitions l'Allemagne d'avoir amené les choses dans une meilleure voie. La question assume, selon tous nos désirs, un caractère européen. Il importe de le lui conserver, car à la moindre fissure qui se produirait dans l'accord général, le Gouvernement du Khédive retomberait dans ses anciens errements. D'un autre còté si l'ordre ne rentre pas bientòt dans I'admin:stration de ce Pays, le gage méme des créances, c'est à dire la richesse publique, disparaitra, et du méme coup l'indépendance de l'Egypte sera exposée à toutes les aventures. C'étaient autant de motifs pour se hater de résoudre la question.

Le Secrétaire d'Etat se plaçait au contraire dans un autre ordre d'idées, en ce sens qu'il estimait qu'après l'avantage obtenu par l'initiative allemande, le Cabinet de Berlin devait maintenant ne plus se piacer en première ligne pour les arrangements ultérieurs. Il pense que ce soin doit tout d'abord etre confié aux Puissances plus intéressées que lui en Egypte, notamment à la France et à l'Angleterre. Il ne les jalouse d'aucune manière pour le ròle qu'elles sont appelées à jouer dans ces parages. Et méme sous ce rapport, il voit avec satisfaction ces deux puissances s'entendre de nouveau pour rétablir une situation normale dans la vice-royauté, qui a si gravement méconnu ses devoirs internationaux.

J'ai fait observer que l'Italie élevait une voix qui méritait d'étre entendue. Nous avions comme la France et l'Angleterre des intéréts à sauvegarder dans la Méditerranée, et comme l'Allemagne nous nous appliquions à ce que justice fut rendue dans la mesure du possible à toutes les catégories de créanciers. Comme l'Allemagne, nous tenions également à écarter tout ce qui pourrait

donner motif ou prétexte de confiit en Europe. D'après toutes ces considérations, il serait urgent que notre proposition fiì.t acceptée.

M. de Biilow me disait qu'elle se trouvait entre les mains du prince de Bismarck, qui ne s'était pas encore prononcé.

J'ai *cherché à forcer le Secrétaire d'Etat dans ses derniers retranchements, en lui annonçant * (l) que nous venions de faire à Londres, à Paris et à Vienne, une démarche semblable à celle dont je m'étais rendu ici l'organe autorisé. Nous demandions à ces Cabinets camme à celui de Berlin de se prononcer sur notre proposition.

S. E. maintenait sa manière de voir, et ajoutait qu'il convenait avant tout d'attendre les réponses qui nous seraient faites de Londres et de Paris.

Je me suis borné à énoncer l'idée que, si on ne se hàtait pas de resoudre cette question au moment où des chances favorables se présentaient pour le faire, ce moment passé, elle risquerait fort de se compliquer d'incidents qui pourraient la rendre presque inextricable. Nous avions suggéré un moyen pratique de tirer tout le parti possible des conjonctures actuelles dans un but de conciliation générale.

Il ne m'appartenait pas d'insister davantage. Après avoir vaincu la résistance du Khédive, après avoir augmenté l'inftuence de l'Allemagne et accru son prestige au profit de son commerce et de son industrie, le Cabinet de Berlin préfère évidemment de laisser aux principaux intéressés le soin principal de déblayer ultérieurement le terrain. Satisfait d'avoir ouvert la marche de la manière la plus correcte et à la fois la plus utile à son infiuence, il se dérobe maintenant au second rang.

*En me référant à mon télégramme d'aujourd'hui (2) *...

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY

T. 309. Roma, 17 giugno 1879, ore 18,40.

Je ne comprends pas que l'on puisse attacher une si grande importance à l'envoi d'un secrétaire de légation à Bukarest qui sera chargé des affaires lorsque l'agent politique quittera cette ville (l). Certainement il y a dans cette mesure administrative un acheminement à un prochain règlement de nos relations diplomatiques avec la Roumanie. Nous nous sommes trop souvent expliqués avec le Gouvernement allemand sur les motifs que nous avons de ne pas retarder indéfiniment ce règlement pour pouvoir supposer que nos dispositions à cet égard puissent causer une surprise désagréable au Cabinet de Berlin. Nous ne saurions en effet attendre indéfiniment à régler nos relations avec un pays avec lequel nous avons des rapports commerciaux d'une grande importance et qu'il n'est pas dans notre intérét d'indisposer en lui témoignant une méfiance qui n'est désormais plus justifiable.

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 810. Vienna, 17 giugno .1879, ore 19,20 (per. ore ... ).

Le Gouvernement austro-hongrois n'a reçu aucun avis de la remise à son agent au Caire de la circulaire égyptienne. Le baron Calice que je viens d'enteretenir sur le contenu du télégramme de V. E. (2), m'a di t qu'il n'a aucune

autorité pour donner une réponse quelconque à notre ouverture. Il a cependant pris note des observations de V. E. et m'a promis de les présenter aimi que notre proposition le plus tòt possible au comte Andrassy qui attache, m'a-t-il ajouté, le plus grand prix à s'entendre avec l'Italie. Andrassy est souffrant depuis plusieurs jours; mais son mal ne lui empeche pas de donner des dispositions conseillées sur les différents affaires. On me fait espérer une réponse pour demain ou après.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, TORNIELLI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, MENABREA

D. 635. Roma, 18 giugno 1879.

Col suo pregiato rapporto del 6 corrente, n. 300 di questa serie (1), l'E. V. mi riferiva la conversazione avuta col Ministro degli affari esteri della Regina, circa la formazione probabile di una Commissione di controllo internazionale delle finanze ottomane.

Mentre la ringrazio per non avere indugiato ad intrattenere di quella eventualità il Marchese di Salisbury, approvo pienamente che Ella abbia insistito su quel proposito, malgrado il poco buon volere manifestato dal nobile lord di occuparsi di quell'argomento.

In siffatte materie le risoluzioni dei gabinetti possono essere determinate da circostanze che non sempre sono di lunga mano prevedute; epperò, qualora le disposizioni future del Gabinetto inglese dovessero modificarsi in senso favorevole alla formazione del comitato internazionale di sorveglianza, sarà per noi d'incontestabile utilità l'aver in tempo condotto il principale segretario di Stato di Sua Maestà britannica a riconoscere la ragionevolezza dei titoli che noi abbiamo per essere chiamati a far parte di qualsiasi comitato che possa aver influenza sulle sorti del credito pubblico dello stato ottomano.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI

T. 310. Roma, 19 giugno 1879, ore 8.

Les représentants des Puissances à Athènes n'ayant pu s'entendre pour adresser une note collective, se sont rendus tous ensemble chez le ministre des

affaires étrangères et chacun d'eux a remis une communication écrite non identique. Le chargé d'affaires d'Italie a remis en cette occasion une note par laquelle il remettait copie de la dépeche que je lui avais adressée (l) en réponse à la circulaire hellénique et engageait le Gouvernement grec à renouer les négociations avec la Porte ottomane à Constantinople. Si vos collègues ne se mettent pas d'accord pour faire une communication identique et simultanee, je pense que quant à nous il serait préférable de faire auprès de la Sublime Porte la meme chose que nous avons fait à Athènes. En ce cas vous pourriez donc remettre à Carathéodori pacha la copie de ma dépeche du 3 juin en l'accompagnant d'une note. Mais si au contraire tous vos collègues sont d'accord pour faire à la Porte une communication identique et simultanee, vous etes autorisé à vous associer à leur démarche dans la forme qui tout le monde aura acceptée.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 821. Parigi, 19 giugno 1879, ore 16 (per. ore 22,50).

J'ai communiqué à Waddington votre idée de nommer une commission composée des six Puissances pour praiiquer examen comparatif du projet primitif repoussé par le Vice-Roi d'Egypte et celui qui vient d'etre élaboré par son nouveau Ministère (3). Après réf1lex,ion, Waddington m'a répondu que dans ce cas, il croyait indispensable que la commission internationale fut composée de tous les représentants des Puissances qui ont signé la réforme judiciaire, ce qui nous menerait loin. Waddington était informé déjà par Noailles de notre manière de voir au sujet de la délimitation pratique de la nouvelle frontière turco-grecque (4). Il regrette que vous soyez aussi p eu généreux pour la Grèce du

còté de l'Epire; mais il espère encore que vous finirez bien par admettre aussi la cession à la Grèce tout au moins du golfe d'Arta entier. Quand je pense aux idées successivement contradictoires de Waddington à l'égard de cette frontière, j'ai lieu de croire que, au fond, il lui est bien égal d'obtenir plus ou moins en faveur de la Grèce, mais il tient à poser devant celle-ci, comme protecteur efficace de ses intérets et comme son meilleur ami. En attendant, Waddington a dù. reconnaitre que nous avons toujours tenu le mème langage, en manifestant les mèmes idées à ce sujet depuis l'origine de cette question jusqu'à ce jour.

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 825. Cairo, 19 giugno 1879, ore 23 (per. ore 1,25 del 20).

Les agents français, anglais viennent de présenter note officielle au Vice-Roi pour demander au nom de leurs Gouvernements d'abdiquer immédiatement pour maintenir le Prince héréditaire au gouvernement de l'Egypte: différemment on exigera de la Porte sa déchéance et il perdrait l'héritage direct. Le Vice-Roi demanda 48 heures pour répondre. Les agents ont refusé toute dilation et l'ont quitté Cl).

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, MENABREA

T. 312 (1). Roma, 20 giugno 1879, ore 0,25.

Je vous ai télégraphié le 15 courant (2) au sujet de la solution que nous pensions pouvoir sauvegarder en Egypte tous les intérèts le différente nature engagés dans la crise actuelle. Nous pensions que les gouvernements intéressés à maintenir l'Egypte dans la condition d'autonomie qui constitue une garantie pour toutes les Puissances auraient pu prendre en examen la véritable situation financière et économique de ce pays dans le double but de s'assurer de la nécessité des sacrifices à imposer aux créanciers et de fixer la mesure et la juste repartition de ces sacrifices. Notre avis est qu'un pareil travail comprend avant tout l'examen comparatif du pian financier de la commission d'enquète et du pian édicté par le Vice-Roi dans le décret du mois d'avril. Ce travail ne pourrait en outre ètre fait d'une manière satisfaisante que par une commission internationale et nous avons suggéré de s'en tenir à cet égard au principe admis dans le protocole 18 du congrès de Berlin. J'ai lieu de croire que ce projet de commission ne rencontrerait pas d'objections de principe à Paris.

Il devient maintenant de plus en plus urgent que le Cabinet de Londres nous fasse connaitre son avis sur la proposition sus indiquée, car les nouvelles que nous recevons du Caire confirment celles que la presse anglaise ébruite sur l'abdication que les Cabinets de Londres et de Paris voudraient imposer au Vice-Roi sus peine de déchéance. Tout ceci constitue une situation des plus graves sur laquelle je vous prie de m'envoyer le plus tòt possible des information sures. Il nous importe de connaitre la vérité sur les intentions du Gouvernement anglais.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

T. 313. Roma, 20 giugno 1879, ore 0,50.

Vos télégrammes (2) nous signalent une situation des plus graves sur laquelle nous manquons de renseignements assez précis pour pouvoir émettre un avis. Nous persistons toutefois à croire que la situation aurait pu etre sensiblement modifiée si le Vice-Roi avait suivi les conseils que nous lui avons fait parvenir à plusieurs reprises et que nous ne savons pas encore pourquoi il n'a pas voulu écouter. Nous nous mettons en communication avec les autres Cabinets dans l'espoir que tout ne soit pas encore perdu, si le Vice-Roi invoque les décisions d'une commission internationale et s'y soumet.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, MENABREA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS,

T. 830/279. Londra, 20 giugno 1879, ore 16,30 (per. ore 19,20).

J'ai fait part au marquis de Salisbury du contenu du télégramme de V. E. en date du 16 courant (1), relatif aux affaires d'Egypte. Le noble Lord m'a d'abord déclaré que la protestation adressée par l'Angleterre au Vice-Roi ne se référait qu'à l'exécution des sentences des tribunaux dont l'institution et l'autorité se trouvaient placées sous la garantie des Puissances. Il n'a pas cru devoir encore se prononcer sur la proposition suggérée par V. E. pour la réorganisation du système financier de l'Egypte, et m'a demandé de lui communiquer un pro-memoria à ce sujet. Pourtant il admet en principe que la question soit examinée par un très-petit nombre de délégués spéciaux, ayant pleins pouvoir des Puissances intéressées, pour formuler un réglement qui deviendrait par le fait mème obligatoire pour le Gouvernement égyptien, car il ne voudrait pas que la question retourne à la délibération des Puissances, ce qui entrainerait des longueurs interminables. Ayant ensuite demandé à Salisbury ce qu'il y avait de vrai dans l'injonction faite au Vice-Roi de déposer le pouvoir, il n'a ni confirmé, ni démenti ce bruit. Seulement il m'a parlé du Vice-Roi en termes qui démontrent le peu de confiance qu'il lui inspire. Il parait néanmoins que tandis que la déclaration du consul français au Vice-Roi pour qu'il se démette aurait été impérative, le représentant anglais se serait borné à lui conseiller de se retirer dans son propre intérèt. Les organes de la City insistent sur la nécessité de l'abdication. Ayant depuis demandé à Salisbury si le duumvirat anglo-français serait rétabli pour gouverner l'Egypte, il m'a Jaissé comprendre par sa réponse que pour le moment tel n'était pas son désir. On vient de déchiffrer le télégramme que V. E. m'a adressé cette nuit (2). Il confirme d'une manìère plus explicite le projet énoncé, motivé dans le précédent télégramme de V. E. Je demanderai une nouvelle entrevue au marquis de Salisbury. Je ne pense guère le voir avant lundi à cause du dimanche. En attendant, je lui transmettrai le pro-memoria qu'il m'a demandé et sur !eque! j'appelerai son attention spéciale.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS (2)

R. 2340. Berlino, 20 giugno 1879 (per il 24).

Par mon rapport n. 2337 (3), qui s'est croisé avec votre télégramme expédié la nuit dernière ( 4), V. E. aura pu se rendre compte des intentions du Cabinet de Berlin dans la crise augue que l'Egypte traverse. Il est vrai que cette crise à la date du 16 juin n'avait pas encore le caractère de gravité, et que les prévisions de M. de Btilow n'allaient pas jusque là. Mais l'Allemagne, contentée par l'accueil fait à sa protestation, se retirait dès lors en seconde ligne. Elle se déclarait satisfaite de tout ce qui en Egypte mettrait d'accord la France et L'Angleterre déjà en bonne voie de s'entendre.

Ainsi, lors meme que j'eusse la presque certitude que les nouvelles récentes ne modif.ieraient en rien la ligne de conduite du Cabinet de Berlin, je me suis fait un devoir, conformément au télégraphe précité, de sonder une fois encore le terrain.

Je me suis donc ménagé un entretien avec M. de Radowitz, le suppléant du Secrétaire d'Etat parti en congé.

Je lui ai demandé si la Chancellerie Impériale avait quelques données sur la pression exercée en ce moment sur le Khédive par les agents Consulaires français et anglais.

Il se disait informé de leurs démarches qui contribueraient probablement à résoudre les difficultés en assurant un meilleur Gouvernement dans ces parages. Peu importait à l'Allemagne qu'il passàt des mains d'Ismail Pacha à Tewfik Pacha, du moment où il serait fait droit aux réclamations des créanciers, et que les tribunaux rentreraient dans l'exercice régulier de leurs fonctions, sans courir le risque que leurs sentences ne fussent pas respectées.

J'ai rappelé combien se trouvait justifiée la proposition que nous avions faite il y a quelques jours à l'effet que les Puissances se concertassent sans tarder pour donner une solution pratique, équitable et à la foi efficace aux questions visées par la protestation du Cabinet de Berlin. Il avait eu gain de cause, mais en ne s'appliquant pas à maintenir l'alignement entre les Puissances, on s'exposait au danger de velléités de prépondérance, au danger que l'initiative de l'Allemagne ouvrirait la bréche à qui considérait peut-étre son immixtion camme un empiètement sur un terrain réservé à des infiuences exclusives. Je me souvenais d'avoir laissé entendre à M. de Biilow que si l'on ne se hatait pas, camme nous y avions convié les Cabinets de Berlin, de Londres, de Paris et de Vienne, de procéder d'un commun accord et sur la base indiquée par nous, l'état des choses risquerait fort de se compliquer d'incidents les plus regrettables. L'événement nous a donné raison. Il est à craindre maintenant que le remède que la France et l'Angleterre voudraient appliquer, ne soit pire que le mal auquel l'Allemagne désirait parer.

M. de Radowitz pensait au contraire que l'action combinée de la France et de l'Angletevre offrait des chances d'un arrangement satisfaisant de la question. Pour ce qui la concerne, l'Allemagne prendrait une position expectante, en laissant les Puissances, bien plus intéressées qu'elle, se piacer en première ligne. Sa protestation avait eu pour but non seulement d'obtenir satisfaction contre les actes arbitraires du Vice-Roi, et le payement des créances, mais aussi en associant à sa démarche les autres Cabinets et nommément la France et l'Angleterre, de prévenir entre elles une divergence de vues qui avait commencé à se manifester. On se félicite ici de ce résultat et on n'ira pas plus loin. Le Gouvernement Impérial attache beaucoup de prix à mettre en évidence qu'il n'a été mù par aucune arrière pensée politique à son propre avantage.

Ce langage est bien la confirmation de celui qui m'a été tenu il y a cinq jours par le Secrétaire d'Etat. Il est méme plus accentué. J'ai dù ainsi me convaincre, à mon regret, que le Cabinet de Berlin ne se départira pas de la ligne de conduite qu'il s'est tracée dans les conjonctures actuelles.

J'ai reçu ce soir, un second télégramme de V. E. Cl) m'annonçant l'ultimatum posé au Khédive. ''' Comment s'expliquer cet acte de prépotence d'un si facheux exemple et surtout une démarche collective de la France et de l'Angleterre, lorsque celle-ci, à en juger du moins par le langage de Lord Odo Russell. semblait revenue à l'idée du maintien du statu qua dans le sens indiqué dans mon rapport n. 2329 du 11 courant? (2). A Londres on était, entre autres, contraire à une déchéance du Khédive. Les Cabinets de Londres et de Paris ne manqueront pas de déclarer qu'il souhaitent l'un et l'autre la réalisation des réformes qui seulement peuvent sauver le peuple egyptien de la misère et garantir les payements de la dette; que leur action rentre sous ce rapport dans le meme ordre d'idées que celui que l'Allemagne avalt en vue quoique d'une façon moins complète.

Ces déclarations sont faites pour la galerie. On se rapprocherait, sans doute davantage de la vérité, en supposant, d'après certains articles de journaux de Paris notamment de la République trançaise, cet organe du grand motéur d'un parti si près du pouvoir, que le Cabinet Waddington cédant à cette infiuence voulait se mettre à la tete du mouvement contre l'Egypte et le diriger. L'Angleterre, jalouse de sa propre action, n'aura point voulu se laisser distancer dans ce ròle soit disant humanitaire et économique, et qui n'est autre que d'un ordre essentiellement politique. Les démonstrations des autres Puissances n'auradent ainsi abouti qu'à réveiller à Paris les anciennes traditions de préponderance en Egypte. L'Angleterre se croit obligée d'emboiter le pas pour mieux surveiller san compagnon d'aventures. Mais la tache sera bien ingrate. Le condominium de Puissances rivales aboutira tòt ou tard à des froissements.

Le télégramme précité de V. E., et qui doit etre une circulaire, se termine par une phrase qui me parait bien plus à l'adresse de mes collègues à Paris et à Londres, que à la mienne. Après ce qui m'a été dit soit par M. de Btilow, soit par M. de Radowi:tz, il me paraìtrait peu digne et au surplus dnutile de revenir ici à la charge. Vis-à-vis du Cabinet de Berlin le mieux serait d'attendre avec calme le cours des événements. Quant aux démarches opportunes à Londres et Paris afin que dans l'arrangement financier l'Italie ait la part que sa position et san intérét lui assignent, je serais d'avis que cette part nous devrions non pas la solliciter, mais la revendiquer sans hésitation. S'il n'étatt pas fait droit à ces justes exigences, nous aurions à énoncer des réserves très positives, et attendre ensuite que les alliés d'aujourd'hui deviennent demain des adversaires, en nous plaçant alors du còté où nous trouverions le plus d'avantages. Ou je me trompe fort, ou nos préférences devraient ètre pour l' Angleterre.

Je me réfère à mon télégramme d'aujourd'hui contenant un résumé de ma conversation avec M. de Radowitz (3), et j'ai en meme temps l'honneur d'accuser réception de la dépeche politique n. 849 du 18 courant (3), et de restituer le reçu signé des documents diplomatiques qui ont été expédiés à la meme date.*

39 -Documenti diplomatici -Serie II -Vol. XI

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 1074. Vienna, 20 giugno 1879 (per. il 25).

La preoccupazione principale di questo Governo e del pubblico nei momenti attuali è senza dubbio l'attuazione dell'articolo VII della Convenzione Austro-Turca dei 21 Aprile ultimo. Questo articolo che tocca ad alcune modalità per la sua esecuzione, non determina l'epoca della occupazione del Sangiaccato di Novi-Bazar e l'annesso di detta Convenzione fa palese la necessità del possesso della linea del Lim per l'Austria-Ungheria, prima di procedere verso quella Provincia: ma anche siffatto movimento è ritardato, comunque riconosciuto di maggiore urgenza. Perché dunque tante preoccupazioni e tanto indugio? Il Governo interpellato risponde, doversi prima regolare con la Sublime Porta tutte le questioni relative alle vettovaglie ed all'alloggio delle forze Austriache: ma sono propenso a credere che, oltre alla studiata lentezza dei Turchi addotta siccome ostacolo essenziale, s'abbia a tenere in maggior conto la riluttanza delle capacità militari le quali non reputano sufficiente la cifra di 5000 uomini per occupare Priboi, Priepoliyé e Biélopoliyé. Lo spazio che separa questi tre punti dagli attuali accampamenti orientali Austriaci è abitato da popolazioni ostili al nuovo dominio e percorso da numerose bande di Albanesi: un conflitto sfavorevole agli invasori potrebbe riaccendere l'insurrezione e provocare per conseguenza nuovi armamenti su grande scala in questo paese. Questa eventualità vuolsi assolutamente evitare per la questione finanziaria già tanto spinosa pel Governo, il quale parmi fermamente deciso a non completare il mandato affidatogli dal Congresso di Berlino, che il giorno in cui gli sarà assicurata la cooperazione della Sublime Porta, ovvero potrà disporre liberamente di forze soverchianti. Difatti sono in grado di asserire essere attualmente pendenti a Costantinopoli nuovi negoziati per ottenere all'Austria, quando che sia, l'aumento della cifra di 5000 uomini fissata nell'annesso della Convenzione.

Ad ogni modo sarebbe difficile disconoscere quanto il Gabinetto di Vienna sia andato a ritroso dell'obbiettivo a cui mirava: ad una annessione pura e semplice della Bosnia e della Erzegovina, desiderio agognato e poco mascherato, è sottentrata un'amministrazione, riconfermata dalla Convenzione del 21 Aprile che mantiene al Sultano tutti i diritti di Sovranità. Se il Conte Andrassy avesse avuto il coraggio di difendere apertamente dinnanzi alle Delegazioni la sua politica, il paese avrebbe probabilmente accettato un fatto compiuto che ne accarezzava l'orgoglio e non sarebbe stato mestieri vincolarsi con la Turchia: invece il prisma di un ingrandimento territoriale scomparve ed il pericolo di rinnovare armamenti e chiedere altri sacrifici al paese sussiste tuttora, mmacc1ancto resistenza del Gabinetto.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI

T. 316. Roma, 21 giugno 1879, ore 13,50.

Aussitòt après avoir reçu la nouvelle de la <lémarche faite au Caire par les agents de France et d'Angleterre, je me suis empressé de télégraphier à

V.E. (l) afin qu'elle fit les démarches les plus opportunes pour sauvegarder notre position dans la question financière egyptienne. J'aurais pu ajouter que

546 le silence de M. Waddington lorsque vous lui avez exposé notre manière ae voir sur le moyen pratique d'arriver à un arrangement ftnancier, me semble ne pas répondre à la conftance que nous lui avons toujours témoigné. Mais je ne pense pas que des récriminations seraient de mise. Je préfère vous transmettre la ci~culaire egyptienne (l) afin que vous puissiez demander pourquoi, après la soumission du Vice-Roi, on en demande l'abdication ou la déchéance.

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 835. Vienna, 21 giugno 1879, ore 18,20 (per. ore 20,20).

A titre d'échange de procédé amicai de V. E. comte Andrassy vient de me faire communication suivante et très-confidentielle par Calice: Avant hier ambassadeur de France représentait nécessité d'inviter Isman à abdiquer et invitait le Cabinet autrichien à s'associer à cette décision irrévocable de la France et de l'Angleterre. Il ajoutait que si Vice-Roi avait consenti à abdiquer volontairement, il aurait assuré succession dans sa famille, plus une liste civile pour lui très-convenable. Dans le cas contraire on demanderait au Sultan sa destitution. Ce n'est qu'à l'instant meme qu'Andrassy a pris le parti de s'associer aux deux Puissances, en me faisant observer que s'il avait donné son con

sentement, c'était seulement pour ne pas laisser la France et l'Angleterre en quelque sorte maitres de la situation en Egypte. Quant à la question financière, il m'a fait dire qu'il appréciait fort les vues de V. E., mais en présence d'événements beaucoup plus graves et qui n'étaient pas à prévoir il y a quelques jours, il croit devoir en remettre la discussion après que la question politique sera réglée. Il sera alors très-heureux d'entrer en pourparlers avec le Gouvernement du Roi.

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, TORNIELLI, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI (3)

D. 875. Roma, 21 giugno 1879.

Col mio telegramma di jeri (20), (4) *confermato questa mattina *, (5) io informava la S. V. dei passi fatti dagli Agenti di Francia e di Inghilterra presso il Khedive per indurlo ad abdicare.

(l} Cfr. n. 693.

Il Generale Menabrea mi telegrafava ieri sera che da una conversazione che egli aveva avuta col Marchese di Salisbury avea riportato la impressione che la comunicazione francese avesse il carattere imperativo, mentre che l'Agente Inglese avrebbe dovuto limitarsi a consigliare Sua Altezza nel suo proprio interesse, ad abdicare il potere.

Questo passo fatto dalle due Potenze, cinque giorni dopo che il Khedive aveva dichiarato nella Circolare del 14, di volere sottomettere all'esame delle Potenze il piano finanziario che egli aveva approvato col decreto 22 aprile, e di essere pronto a riconoscere come un atto internazionale gli accordi finanziarii che fossero presi dalle Potenze per tutelare gli interessi dei suoi creditori stranieri, è chiaro indizio * della irrevocabile decisione di punire il Viceré per avere osato emanciparsi dal duumvirato che aveva avuto la debolezza di lasciarsi imporre, allorché accettò il Ministero anglo-francese* (l).

La Germania, la cui attitudine ha avuto molta influenza sugli avvenimenti che minacciano seriamente la situazione politica ed internazionale dell'Egitto, si ritira ora in seconda linea, contentandosi di dare la sua approvazione a tutto ciò che, in Egitto, potrà mettere d'accordo la Francia e l'Inghilterra.

Mi risulta che, la sera del 19 corrente, il Viceré telegrafava al Sultano chiedendogli se la sua abdicazione o la sua deposizione erano assolutamente decise. Dalla risposta che riceverà da Costantinopoli dipenderà adunque probabilmente la decisione di Sua Altezza.

Noi non abbiamo alcun titolo per farci gli avvocati del Khedive presso la Sublime Porta, ed abbiamo anzi forti ragioni di dolerci della sua attitudine verso di noi. Ma noi non sapremmo dispensarci dal dichiarare che la Circolare del 14 corrente conteneva, a nostro modo di vedere, una proposta atta a soddisfare tutti i reclami dei creditori. Che se per conseguenza l'abdicazione o la deposizione del Khedive non fossero domandate che per imporre al suo successore un Ministero franco-inglese, noi dovremmo fin d'ora rinnovare le nostre riserve e dichiarare alla Porta che nella crisi acuta che attraversa attualmente l'Egitto, noi scorgiamo la conseguenza naturale, da noi ben sovente preveduta, della introduzione in quel paese di un regime del quale non abbiamo mai cessato di segnalare gli intollerabili inconvenienti.

La mia precedente corrispondenza pone la S. V. in grado di far conoscere a codesto Governo il nostro modo di vedere circa i limiti imposti all'autorità della Sublime Porta in Egitto dagli accordi internazionali che ebbero luogo in occasione dello stabilimento dell'attuale regime.

Se * nel 1866 * (2) le Potenze si sono contentate di una comunicazione della quale presero atto, e di qualche discorso preliminare non avente un carattere ufficiale ben determinato, le cose si passarono ben diversamente allorché dai firmani del 1841, col consenso delle Potenze, erano state gettate le basi dell'attuale regime.

Ella vorrà esprimersi in questo senso coi Ministri del Sultano, lasciando loro intendere che gli interessi che ha l'Italia in Oriente sono troppo complessi

perché, nel caso che l'autonomia dell'Egitto dovesse essere sacrificata agli interessi separati *di alcune Potenze*, noi possiamo fare una distinzione fra ciò che succede :in Egitto e gli accordi che si stanno preparando relativamente ad altre parti del territorio ottomano.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

T. 321. Roma, 22 giugno 1879, ore 15.

Ainsi que je vous ai télégraphié la nuit du 19 au 20 (l), je me suis mis e n communication avec les autres Cabinets au sujet de la démarche faite par les agents de France et d'Angleterre pour amener l'abdication du Khédive. De votre còté vous m'avez fait connaitre que Son Altesse s'était adressée directement au Sultan. Des communications que nous avons reçues sur cette grave affaire, nous recevons l'impression que la personne du Khédive est désormais un empéchement pour le règlement dcs questions aux quelles tous les Cabinets s'intéressent et que son abdication en aplanissant les difficultés éviterait au contraire des complications qui pourraient avoir des conséquences fort graves aussi bien pour la famille du Khédive que pour l'état égyptien. Ces considérations qui s'imposent à tous les Cabinets induiront ces derniers à donner leur appui aux démarches de la France et de l'Angleterre, et nous mémes nous ne pouvons nous soustraire au pénible devoir de faire connaitre au Khédive les conséquences d'une résista:nce qui pourrait compromettre sérieusement les intéréts de sa famille et de son pays.

Veuillez donner communication à Son Altesse de ce qui précède. Nous déplorons vivement qu'Elle n'alt pas suivi dès le mois s'avt·il le conseil désinté

ressé que nous lui avions donné de soumettre la question financière à une commission des délégués de l'Europe. Aujourà'hui les deux Puissances occidentales qui ont demandé l'abdication du Khédive se sont trop avancées pour pouvoir espérer qu'elles veuillent revenir sur leurs délibérations.

Tenez-moi au courant de tout ce qui se passe au Caire et de la réponse que le Sultan aura faite au Khédive.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, DE LAUNAY, A LONDRA, MENABREA, A PARIGI, CIALDINI, A PIETROBURGO, NIGRA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENN A, CURTOPASSI, E AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, CORTI

T. 323. Roma, 22 giugno 1879, ore 18,30.

Le Gouvernement français nous a fait demander hier au soir d'appuyer auprès du Khédive la demande d'abdication. Dans le cas où Son Altesse refuserait, M. Waddington nous fait savoir que l'on aurait recours à l'autorité de la Sublime Porte, on provoquerait la déchéance du Khédive, ce qui entrainerait la perte de l'hérédité dans qa Iigne directe.

Le Vice-Roi nous ayant demandé conseil (2), nous n'avons pas hésité à lui représenter (3) toute la gravité d'un état de choses dans lequel sa personne était considérée désormais comme un empéchement au règlement des affaires

aux quelles toutes Ies puissances étaient également intéressées. Nous ne pouvions nous mèmes nous soustraire au pénible devoir de lui faire connaitre Ies conséquences d'une résistance pouvant compromettre sérieusement Ies intéréts de sa famille et de son pays.

Nous espérons que le Vice-Roi en faisant sacrifice de sa personne, évitera de plus graves complications. Quant à nous nous persistons à croire que de méme que les questions financières ne pouvaient recevoir une satisfaction équitable qu'à la suite d'un examen fait par une commission d'experts délégués par les Puissances, Ies quistions politiques concernant le régime actuel de l'Egypte ne sauraient former l'objet de décisions séparées ni étre livrées à l'arbitaire de la Porte.

(Per Vienna). Veuillez faire remercier le comte Andrassy pour le gracieux accueil qu'il a fait à nos ouvertures (l) et lui faire savoir tout le prix que nous attachons à nous entendre avec lui sur la marche à suivre dans cette affaire.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS (2)

R. 2341. Berlino, 22 giugno 1879 (per. il 26).

En suite des télégrammes reçus hier au soir et ce matin (3), j'ai fait visite aujourd'hui méme à M. de Radowitz pour lui exposer nouvellement la manière de voir de V. E. sur la crise Egyptienne.

Eludant d'abord une dlscussion, il se bornait à me dire que l'Ambassadeur de

France lui avait notifié hier la démarche franco-anglaise, et que le Cabinet de

Berlin y avait aussitòt adhéré en exprimant sa satisfaction de l'accord établi

entre les Cabinets de Paris et de Londres. Le Gouvernement Impérial savait que

l'Autriche-Hongrie avait également donné son adhésion.

J'ai insistè sur notre opinion au sujet des arrangements ultérieurs, et j'ai demandé si d'ici aucune réserve n'avait été enoncée dans ce sens. Il ne saurait convenir à l'Italie pas plus qu'à l'Allemagne de laisser régler 1es questions que soulève l'imbroglio politique et financier, sans sauvegarder leurs intéréts généraux aussi bien que ceux de leurs ressortissants. Le fait est que le Khédive avait fait acte de soumission parla circulaire du 14 juin et promettait de rendre justice aux réclamations dont le Cabinet de Berlin avait pris l'initiative. C'est au moment où Son Altesse promet de remplir ses obligations qu'on le place dans l'alternative d'une abdication ou d'une déchéance. Si l'on élevait des doutes sur la valeur des promesses, c'était avant plus ample examen, dépasser la juste mesure en les considérant en quelque sorte a priori comme non avenues. * Que devient le prestige du Sultan s'il est fait si bon marché de l'autorité de son feudataire? Que devient méme le traité de Berlin qui a eu pour objet essentiel de retarder autant que possible une solution définitive du problème orientai, et de conserver à la Turquie déjà trop affaiblie un reste de vitalité, si on ne veille pas à ce que son pouvoir soit respecté partout où il a été maintenu? L'assentiment de l'Allemagne n'a-t-il été accompagné d'aucune réserve nommément au sujet d'une satisfaction des intéréts lég.itimes des créanciers? * Il semblait au reste que la démarche des agents français et anglais au Caire, répondait plutòt à des intéréts d'ordre politique, mais ceux-ci également ne sauraient étre soustraits à l'examen et à une entente entre toutes les Puissances.

M. de Radowitz m'a repondu que la démarche de la France et de l'Angleterre auprès du Khédive, résultat d'un accord parfaitement arrété, avait été notifiée ici comme un fait déjà accompli. A Paris comme à Londres on ajoutait sans doute peu de confiance aux promesses données à la dernière heure par le Vice Roi, et on aura envisagé son éloignement comme l'unique moyen de résoudre la question. Le Cabinet de Berlin qui, pour son compte, voit avec plasir ces deux Puissances marcher du méme pas dans cette direction, et n'a d'ailleurs aucune arrière pensée politique, s'est empressé de faire acte d'adhésion pure et simple. Les réserves étaient sous-entendues, car il allait sans dire que toutes les Puissances reprendraient en commun l'oeuvre de réorganisation économique et administrative en Egypte. Le projet de la commission d'enquéte fournit déjà à cet égard des données tres utiles *etc. etc. Quant aux dispositions du Sultan, peut-étre sera-t-il bien aise qu'on écarte Ismail Pacha qui lui causait tant d'embarras *.

Du moment où ce langage constatait une fois de plus l'attitude prise par le Cabinet de Berlin, et que je n'avais pas manqué de signaler à V. E., il devenait superflu de discuter davantage. J'ai clos l'entretien par cette observation, que souvent les sous-entendus amenaient plus tard des équivoques là surtout où le jeu des influences avait un si grand ròle.

* En m'inspirant de ce dernier point de vue, je me suis permis dans le télégramme que j'ai expédié dans l'après midi à V. E. (1), d'émettre l'opinion que vu l'accord déjà établi entre quatre Puissances, nous ne devions pas rester à l'écart, en formulant toutefois nos réserves pour une action commune dans !es arrangements ultérieurs . *

J'ai reçu ce soir le télégramme (2) par !eque! V. E. veut bien m'informer de la demande qui nous a été adressée par la France, des conseils que nous avons transmis au Khédive, et de notre juste persistance à affirmer comment nous entendrions que fussent traitées !es questions financières et politiques se rattachant à l'Egypte. Je tàcherai de voir demain encore M. de Radowitz pour lui parler dans le sens de ce télégramme.

* En attendant, je crois presque inutile de faire observer combien il est regrettable de voir s'introduire dans !es rapports internationaux, le procédé qu'à tour de ròle certaines Puissances par un fait accompli préjugent une situation et demandent après coup l'accession ou l'appui des autres Puissances. En 1876 le Gouvernement Anglais repoussait avec indignation le memorandum de Berlin, surtout parce qu'il avait été concerté à l'avance entre !es trois Empires en dehors des autres Cabinets. Ce memorandum avait cependant été soumis à leur approbation avant de recevoir un commencement d'exécution. Et maintenant l'Angleterre puossant la France ou poussée par celle-ci, commet une irrégularité plus grande encore en affichant une prépondérance à deux, et en traitant en quelque sorte l'aréopage européen comme une simple cour d'enrégistrement.

En accusant réception des dépeches politiques n. 850 et 851, du 19 et du 20 courant... (3).

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, DE LAUNAY, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 325. Roma, 23 giugno 1879, ore 14,30.

Je vous remercie de vos télégrammes. Les communications faites par M. Waddington aux différents Cabinets au sujet de la question égyptienne indiquent qu'il a compris le besoin du concours de l'Europe dans une affaire dans laquelle il avait cru d'abord pouvoir s'en passer. Maintenant la question politique est replacée sur le terrain commun des intérets généraux de l'Europe. Un premier pas étant fait, il dépendra en partie de nous que la questione financière ne soit plus traitée séparément. Nos efforts doivent donc etre concentrés à relier ensemble les deux questions dont l'une n'est que la conséquence de l'autre.

<Per Berlino) Le langage que V. E. a tenu à M. de Radowitz (l) pour écarter toute équivoque à cet égard cadre parfaitement avec les idées du Gouvernement du Roi ainsi que vous avez pu vous en rendre compte par les déclarations avec lesquelles nous avons accompagné notre adhésion à la demande d'abdication du Khédive (2).

<Per Vienna) L'accueil que le comte Andrassy a fait (3) à nous ouvertures sur cette affaire dans laquelle l'Autriche et l'Italie ne peuvent avoir que des intérets identiques, me fait espérer que le Cabinet de Vienne partagera avec nous l'opinion que !es deux questions ne peuvent désormais plus etre séparées sans s'exposer au danger que l'une ne puisse etre réglée sans préjudice de l'autre.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, MENABREA

T. 328. Roma, 23 giugno 1879, ore 15,30.

Dans la journée d'hier sir A. Paget est venu me faire une communi.cation analogue à celle que le marquis de Noailles m'avait faite (l) pour l'abdication du Khédive. J'ai répondu que sur l'invitation de la France, nous avions donné à l'agent de Sa Majesté au Caire les instructions que Vous connaissez.

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

T. 845. Vienna, 23 giugno 1879, ore 19,15 (per ore 20,10).

Je me suis acquitté des ordres contenus dans les deux télégrammes de V. E. d'hier (1). Orczy m'a promis de communiquer ce soir méme au comte Andrassy notre ouverture et il espère pouvoir me donner demain une réponse. Agent autrichien s'est rendu hier au Caire avec son collègue d'Allemagne. Ils avaient instruction de faire auprès du Vice-Roi démarche identique à celle de France et d'Angleterre, mais isolément. II ne résulte pas au Cabinet autrichien jusqu'ici qu'invitation pareille à celle faite par France et Angleterre aux autres Puissances ait été adressée au Gouvernement russe.

L'AMBASCIATORE A PIETROBURGO, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS

R. 382. Pietroburgo, 23 giugno 1879 (per. il 2 luglio).

Ho ricevuto nella notte e nella giornata successivamente i tre telegrammi dell'E. V. relativi agli affari di Egitto (l) e segnatamente all'abdicazione del Khedive, richiesta dai Governi di Francia e d'Inghilterra. Col primo di questi telegrammi l'E. V. m'incaricava di fare un'entratura confidenziale presso il Gabinetto di Pietroburgo per provocare un accordo fra l'Italia e la Russia sul modo di agire delle due Potenze, che hanno interessi comuni o almeno non contrarli

in Egitto, pel caso in cui nella questione dell'abdicazione del Vice Re chiesta dalla Francia e dall'Inghilterra e delle conseguenze che possono derivarne, la Turchia si risolvesse ad agire all'infuori dell'accordo comune fra tutte le grandi Potenze. Col secondo telegramma, riassumendo l'ultima circolare del Governo Egiziano, colla quale il Vice Re sottomette all'approvazione delle Potenze le disposizioni contenute nel suo decreto del 22 Aprile scorso, e dichiara assicurare il pagamento intiero del debito fluttuante, l'E. V. proporrebbe che la questione finanziaria egiziana fosse sottomessa all'esame di una Commissione composta d'uomini speciali, nominati dai Governi delle sei grandi Potenze e che i temperamenti che sarebbero stimati equi e convenienti per risolverla, avessero cosi una sanzione internazionale. Coll'ultimo telegramma l'E. V. m'informò che il Governo francese ha richiesto il Governo del Re, d'appoggiare presso il Vice Re la domanda della di lui abdicazione presentatagli dagli Agenti francese ed inglese al Cairo.

Quest'ultimo passo presso il Governo del Re (e presso le altre grandi Potenze come ho saputo oggi) fatto dal Governo francese e probabilmente anche dal Governo Inglese od almeno col consenso di questo, dimostra che gli stessi Gabinetti di Parigi e di Londra, i quali presero l'iniziativa della domanda di abdicazione, considerano la questione come avente un carattere politico generale ed internazionale, e tale quindi da doversi risolvere col concorso delle Grandi Potenze e naturalmente anche della Sublime Porta. Ma, oltreché l'abdicazione del Vice Re lascia intatta la questione finanziaria, quest'appello fatto dalla Francia e dall'Inghilterra al concorso delle altre Potenze per ottenere la detta abdicazione non fa sparire (benché per avventura ne modifichi il carattere) la convenienza di un accordo nel modo di procedere dell'Italia e della Russia in questa circostanza, sia per quanto spetta all'abdicazione, sia per quanto spetta alle sue conseguenze future. Non esitai quindi a dar seguito alle istruzioni impartitemi col primo telegramma di V. E., ed intrattenni oggi il Signor de Giers su questo grave argomento.

Riassumendo le cose contenute nei tre telegrammi, dissi a S. E. che in questo complicato affare Egiziano, v'erano due questioni, una finanziaria ed una politica. Per quanto spetta alla questione finanziaria proposi che il Governo Russo s'associasse al Governo del Re per mettere innanzi la nomina d'una Commissione composta d'uomini speciali nominati dalle sei Potenze, e per stabilire il principio della sanzione internazionale da darsi ai temperamenti che sarebbero presi per comune accordo dalle Potenze stesse, com'è detto di sopra. Quanto alla questione politica dell'abdicazione e delle sue conseguenze, chiesi se il Governo Russo fosse disposto ad intendersi col Governo di Sua Maestà per un comune modo d'agire nel caso in cui la Turchia procedesse, in quest'occorrenza all'infuori d'un accordo fra tutte le Grandi Potenze.

Il Signor de Giers mi rispose che la questione dell'abdicazione del Vice Re, chiesta dai Governi di Francia e di Inghilterra, gli giungeva per dir cosi improvvisa, e che doveva anzi tutto prendere gli ordini dell'Imperatore. Però, senza pregiudicare le decisioni dello Czar, convenne che questa questione era d'indole politica e che interessava tutte le Grandi Potenze, e non esitò a dichiarare che a suo avviso essa doveva risolversi dalla Porta col concorso comune e col co

40 -Documenti diplomatici -Serle II -Vol. XI

mune accordo delle Potenze medesime. Relativamente alla questione finanziaria, il Signor de Giers non obbiettò al progetto proposto dall'E. V., ma osservò che in realtà ed al punto di vista pratico, la Russia era disinteressata non essendovi, a di lui notizia, nessun suddito Russo creditore del Governo Egiziano. Però, siccome la Russia si associò alla recente protesta della Germania, in quanto essa è fondata sull'accordo intervenuto fra le Grandi Potenze per la riforma giudiziaria in Egitto, il Signor de Giers pensa che il Governo dello Czar, fondandosi sulla medesima base, potrebbe dare il suo concorso ad una proposizione che riunisca i voti delle altre Potenze e confermi l'accordo di esse nell'applicazione e nelle conseguenze della riforma giudiziaria. S. E. mi promise che mi farebbe conoscere il più presto che potrà, probabilmente dopodomani, le decisioni alle quali sarà per appigliarsi l'Imperatore sulle due questioni.

Il Signor de Giers m'annunziò poi che l'Ambasciatore di Francia a Pietroburga gli aveva fatto oggi, a nome del suo Governo una domanda identica a quella fatta fare all'E. V. dal Gabinetto di Parigi. Il Governo Francese chiese cioè alla Russia di appoggiare presso il Vice Re d'Egitto la domanda di abdicazione Anglo francese, se il Vice Re consente all'abdicazione, gli sarà assegnata una larga lista civile e sarà assicurata in capo al di lui figlio primogenito la successione al Vice Reame. In caso contrario le due Potenze provocherebbero dalla Porta la destituzione del Vice Re, e questa destituzione potrebbe far passare la successione al vice reame nel ramo collaterale. Mentre appunto io m'intrattenevo col Signor de Giers, l'Incaricato d'Affari Inglese venne a fare a S. E. una comunicazione identica a quella fatta un'ora prima dal Generale Chanzy. Seppi inoltre dal Signor de Giers e dal Barone Jomini che uguali comunicazioni furono fatte dalla Francia o dall'Inghilterra o da entrambe ai Gabinetti di Berlino e di Vienna, e che entrambi i Gabinetti avevano dato una risposta adesiva.

Il Signor de Giers mi disse poi confidenzialmente che avendo il Barone Orczy chiesto all'Ambasciatore di Francia a Vienna, se la risoluzione d'esigere l'abdicazione del Vice Re, presa dalla Francia e dall'Inghilterra, era subordinata all'adesione delle altre Grandi Potenze, l'Ambasciatore aveva risposto negativamente.

Devo aggiungere infine che in presenza delle adesioni delle altre Potenze è probabile che la Russia non si rifiuterà ad associarsi alla domanda Anglo-francese, salvo a fare le debite riserve in favore dei diritti della Turchia, che è la Potenza Sovrana, e per un modo di procedere che s'appoggi sull'accordo di tutte le sei Grandi Potenze.

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, DEPRETIS, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CIALDINI

T. 329. Roma, 24 giugno 1879, ore 11.

Je ne pense pas que l'intervention personnelle de V. E. au service funèbre du prince Louis Napoléon (l) puisse donner lieu à des observations de la part de M. Waddington. La part éminente que V. E. a eue dans les événéments qui se sont accomplis en Italie pendant le second empire français justifierait au besoin l'attitude que votre sentiment vous diete et que le coeur des italiens approuve. Ce n'est pas autrement que je répondrais si on me faisait des observations à ce sujet.